Mondo Solidale

Flussi migratori e cambiamenti climatici: dati allarmanti nel nuovo report

È stata presentata a Roma 18 dicembre la seconda edizione del report “Crisi ambientale e migrazioni forzate. Nuovi esodi ai tempi dei cambiamenti climatici”. A Sud Onlus e il Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali lanciano l’allarme: “Sono più gli sfollati interni dei rifugiati internazionali. Oltre il 60% per emergenze ambientali”

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ROMA - Si tende a scindere le questioni. Un conto sono i migranti e un altro il clima. Lo fanno i politici e lo fa la stampa relegando ai primi ampio spazio sempre in chiave emergenziale. Delle questioni ambientali ci si ricorda in occasione dei summit mondiali, guardandosi bene dal correlare i due fenomeni. Costa caro farlo, perché parlare di migrazioni forzate a causa delle crisi ambientali impone una riflessione. E sul banco degli imputati c’è quello che ancora in molti considerano l’unico modello di sviluppo possibile, ovvero lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali e degli esseri umani. Dall’utopia della crescita infinita derivano conseguenze tragiche che incidono sulla vita di milioni di persone.
(ap)

Il racconto alla rovescia. Un primo tentativo di rendere note le connessioni tra l’ambiente e le migrazioni lo avevano fatto nel 2016 alcuni ricercatori e attivisti dell’ong A Sud Onlus insieme al Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali. Il risultato superò le aspettative. Tant’è che quel primo rapporto finì un anno fa nella sentenza storica del Tribunale de L’Aquila, che riconosceva la richiesta di asilo per ragioni ambientali a un cittadino del Bangladesh. A distanza di due anni, arriva la seconda edizione aggiornata, con nuovi casi di studio e un focus sull’Italia. Il lavoro corale smaschera anzitutto la percezione artefatta del fenomeno migratorio.

I dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati rivelano che su 68,5 milioni di persone costrette a fuggire dal proprio paese nel 2017, solo poco più di 113 mila sono arrivate in Europa. Vi sono flussi migratori interni ai paesi di tutt’altra portata. Basti pensare che l’anno scorso gli sfollati interni sono stati 30,6 milioni. Di questi, più della metà, il 61%, a causa di calamità naturali. L’incidenza maggiore si rileva in casi di eventi climatici estremi, come alluvioni e cicloni.
(reuters)

Fenomeni interdipendenti. In Asia orientale e nel Pacifico, in Asia meridionale e centrale, in America e in Europa milioni di persone fuggono da disastri naturali più che da guerre e conflitti. L’unico continente in cui vale il contrario è l’Africa, dove comunque nel 2017 i migranti per ragioni ambientali sono stati 2,6 milioni. Gli stessi dati Istat rivelano che i paesi di origine della maggior parte dei richiedenti asilo in Italia sono la Nigeria, il Pakistan e il Bangladesh. Ovvero paesi segnati da importanti disastri ambientali, causati da cicloni tropicali, inondazioni, piogge torrenziali e frane.

Un capitolo ancora inesplorato dal punto di vista statistico è quello relativo alle conseguenze delle grandi opere degli investitori privati. Gli stessi ricercatori ammettono che: “Siccità e progetti di sviluppo sono all’origine di decine di milioni di sfollati seppur diluiti nel tempo e interagendo con altre concause naturali o antropiche”. C’è l’urgenza di riconoscere una nuova categoria giuridica di richiedenti asilo. In teoria, spiegano gli autori, “i disastri possono rappresentare un'opportunità per promuovere strategie di sviluppo inesplorate”. Occorrerebbe prima riconoscere, però, che esiste un nesso di interdipendenza tra le crisi ambientali e le migrazioni forzate.