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'Life is but a dream', coloni ebrei nei territori occupati: "Un mondo a parte"

Il doc di Margherita Pescetti negli avamposti israeliani tra Gerico e Ramallah per raccontare la storia di Gedalia e la sua famiglia: "Mettersi davvero in gioco significa anche cercare di avvicinarsi a chi la pensa in maniera diversa"
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Sono riusciti a entrare negli avamposti dei coloni israeliani in territorio palestinese dando un passaggio a uno di quegli ebrei che faceva autostop per tornare a casa sua, costruita proprio su quella terra occupata. "Altrimenti sarebbe stato impossibile, ogni colonia è chiusa da mura, recinzioni, cancelli, telecamere", racconta Margherita Pescetti che ha poi trascorso mesi negli avamposti israeliani tra Gerico e Ramallah per raccontare la storia di Gedalia e la sua famiglia: la moglie Shira, incinta di otto mesi, e i loro cinque figli, passati da una parte all'altra del muro di Israele per abbandonare uno stile di vita fatto di orari, regole, lavoro, scuola, corsa al denaro, e dedicarsi a una vita scandita dal volere di Hashem, Dio, costruita giorno per giorno, alla costante ricerca di libertà. "Più volte ho dato voce ai palestinesi, ma loro hanno fior fiore di registi che narrano di un'occupazione che va avanti da oltre cinquant'anni - continua Margherita - e a un certo punto, nonostante la mia posizione politica precisa e definita, ho sentito di voler raccontare anche l'altro. Perché è facile lavorare su ciò su cui siamo tutti d'accordo, ma mettersi davvero in gioco significa anche cercare di avvicinarsi a chi la pensa in maniera diversa".

Quando però si è trattato di trovare qualcuno che producesse il suo documentario la risposta che Margherita si è vista sbattere in faccia praticamente sempre è stata: "Ancora su Israele e Palestina?". Life is but a dream è quindi il risultato di un lavoro collettivo, autoprodotto dalla stessa regista e da Pietro Masturzo che ha curato la fotografia e Arianna Cocchi che si è occupata del montaggio. Il film presentato al Filmmaker Festival di Milano dopo aver vinto il premio Mymovies.it, il premio del pubblico, all'ultimo Festival dei Popoli a Firenze. "Il cinema si fa per il pubblico - ha commentato Margherita - e ricevere quel premio mi ha fatto piacere perché evidentemente il pubblico ha capito quello che i produttori non avevano capito. Evidentemente c'è ancora interesse sulla questione e voglia di capire cosa sta succedendo in quei territori".


Quando Margherita e Pietro sono arrivati a Mitzpe Agit, sulle colline che scendono verso la valle del Giordano, Gedalia litigava con il vicino che con la ruspa stava scavando la terra affianco alla sua. Il vero motivo di discussione, però, è che, a differenza di Gedalia, il vicino è un ebreo laico. "Aveva pregato Dio perché gli mandasse una videocamera: voleva denunciare il vicino alla comunità ultraortodossa pubblicando un filmato su YouTube, così quando siamo arrivati ci ha visto come la risposta alle sue preghiere e ci ha accolto". Una fortuna, se si considera che "c'è chi punta pistole in faccia a chiunque provi a entrare che non sia israeliano. Sono mondi molto chiusi". Margherita può così iniziare a conoscere Gedalia e sua moglie Shira e a capire, e di conseguenza raccontare, il perché alcuni ebrei decidano di andare ad occupare quei territori: "Per comodità, quasi sempre. La maggior parte dei coloni appartiene alla classe medio-borghese che si stabilisce lì perché lì può permettersi la villa che non potrebbe comprare a Tel Aviv, che dista dalle colonie solo venti minuti in auto".

Gedalia ha vissuto negli Stati Uniti, in Ohio, fino a 23 anni, poi si è trasferito in Israele. Anche sua moglie ha passato i primi anni di vita a New York. A dire la verità, la giovinezza di Gedalia è stata tutta all'insegna di sesso, droga e rock and roll. Il ragazzo si è avvicinato alla religione solo dopo una visione avuta in seguito a una overdose e da quel momento ha deciso di cambiare totalmente vita: ora costruisce giorno dopo giorno la sua casa impastando l'argilla e con i copertoni delle auto. Alleva animali, educa personalmente i suoi figli, va in città a chiedere l'elemosina e sogna un'esistenza lontana dalla schiavitù del denaro, in un territorio che vorrebbe trasformare in una sorta di comune di hippie: "Qui tutti gli ebrei possono prendere gratuitamente quello di cui hanno bisogno", dice.

'Life is but a dream', il doc di Margherita Pescetti


Shira cucina, lava, bada alla casa e ai figli, la pensa quasi sempre come il marito, ma qualche volta, come quando Gedalia inizia a ballare come un pazzo in soggiorno, sulla musica dei Daft Punk, Shira sospira e sembra chiedersi se sia davvero la scelta di vita giusta, soprattutto per i bambini. "Gedalia ha un ego abbastanza grande - spiega Margherita - potrebbe mandare i suoi figli in scuole religiose israeliane ma non vuole. Vuole invece essere lui il loro maestro di vita, ma la conseguenza è che ora i bambini in casa parlano inglese, ma sanno leggere solo l'alfabeto ebraico, imparato nei primi anni di vita, a scuola. Non saranno mai davvero liberi e non troveranno un posto nella società se non lo stesso del loro padre". Quei bambini che non hanno possibilità di scelta rappresentano, in un certo senso, per la regista il punto di vista palestinese che resta fuori dal documentario: "Spesso conta di più quello che resta fuori dal quadro - dice Margerita - ho cercato di rendere i palestinesi presenti nell'assenza". Lo ha fatto con due forti riferimenti espliciti, il primo viene proprio da Gedalia che valuta come "necessario" lo sterminio: "Sai come è nata l'America? - dice nel film - dalle colonie che da New York e dal Connecticut si sono spinte sempre più in là uccidendo tutti gli indiani. Ma a Israele questo non è consentito". Il secondo invece arriva da Shira che in un inaspettato e improvviso sfogo razzista se la prende con tutti i palestinesi che vengono fatti entrare nelle colonie israeliane per lavorare, confermando allo stesso tempo la loro condizione di schiavitù: "Li pagano due euro e mezzo l'ora" dice la donna.

Gedalia e Shira fanno ormai parte della macchina di occupazione. Per essere liberi di decidere ogni mattina se e quanto lavorare, pregare, assumersi la responsabilità delle proprie azioni, hanno approfittato della situazione di colonizzazione esistente. "Anche la sua idea di religione alla fine viene distrutta", dice Margherita. È Gedalia stesso infatti ad affermare: "Se pensi razionalmente a Dio - Hashem - non puoi credere nella sua esistenza, per questo io non voglio pensarci razionalmente". Per un attimo il colono si scorda anche di chiamarlo con il nome ebraico di Hashem. Si corregge subito.