Spettacoli

Ultim'ora

Rai, il messaggio di Sergio e Rossi: “Non sapevamo della malattia di Di Mare”

'Bulli e pupe' l'Italia dei Cinquanta tra cinema, parole e boogie

Al Tff 36 il documentario Bulli e pupe - Storia sentimentale degli anni Cinquanta. Steve Della Casa e Chiara Ronchini firmano una particolare storia d’Italia, dal dopoguerra all'alba dei Sessanta, tra cinema, radio e musica attraverso sogni, mode e aspirazioni dei giovani di allora
3 minuti di lettura
Una storia sentimentale degli anni Cinquanta: Bulli e Pupe, presentato al Torino Film Festival 36 nella sezione Festa Mobile è l’antefatto di Nessuno ci può giudicare, il documentario premiato con un Nastro d’Argento che rappresentava la società italiana degli anni Sessanta attraverso i “musicarelli”, Steve Della Casa e Chiara Ronchini firmano a quattro mani un altro capitolo di questa particolare storia d’Italia, affrontando stavolta il dopoguerra del secondo conflitto mondiale fermandosi all’alba dei Sessanta, riallacciandosi idealmente la film precedente.

Quando la fantasia ballava il boogie: al Torino Film Festival 'Bulli e pupe. Storia sentimentale degli anni Cnquanta'


Si apre sulle macerie dell’Abbazia di Cassino, immagini aeree mai viste prima, per mostrare l’orrore della guerra, per poi raccontare la faticosa ricostruzione, la fuga dalle campagne e la nascita delle metropoli, non solo per trovare lavoro ma anche per sfuggire alla noia della campagna. Quindi le grandi migrazioni verso il Centro e il Nord, i prodromi di quell’atteggiamento che poi sarebbe diventato razzismo verso chi veniva dal sud. E il cinema, i sogni, la rabbia, la protesta, l’alienazione. “Un momento folgorante, un pugno di anni in cui l’Italia si scoprì viva, libera, e diventò quella che ancora oggi viviamo”, dice Della Casa. Il film è costruito con immagini rare e splendide dell’Archivio storico Luce, della Titanus, di altri archivi. Eduardo che esprime le sue buffe e acute perplessità sul piano Marshall, e poi le immagini dei film di Risi, Germi, Castellani, Corbucci, Zurlini e altri.  Titoli come Gioventù perduta, Quando la fantasia ballava il Boogie, Lazzarella, Bulli e Pupe. Le voci di intellettuali che alla radio intervenivano con riflessioni e analisi: Parise, Bianciardi, Ortese, Flaiano, Pasolini, Calvino. Ma anche di tanti ragazzi e ragazze dell’epoca, molti dei quali consapevoli e attenti alle parole.
 

Parlavamo all'americana: al Torino Film Festival 'Bulli e pupe', quando l'Italia si scoprì giovane


Perché i bulli e le pupe. Steve Della Casa racconta la genesi di Bulli e pupe – Storia sentimentale degli anni Cinquanta: “Questo film è figlio di Nessuno mi può giudicare. Due anni fa ci eravamo resi conto che c’era molto materiale sul decennio precedente che non s’era visto, e la scelta è stata appunto di prendere cose che non si mostrano abitualmente. Abbiamo pensato che, dopo i giovani ribelli dei Sessanta, fosse interessante capire come si muovevano i fratelli maggiori, che tipo di idee avevano e come si sono confrontati con un paese disastrato. Abbiamo lavorato su questo, mescolato vari archivi; Luce, Titanus e Superottimisti, fondamentali nella loro racconta precisa e puntuale di materiali Super8 che raccontano la vita privata dei cittadini: come si muovevano, camminavano, che tipo di vita facevano. Così è venuto fuori il film”.

Cinquanta della parola. “La tesi di fondo – spiega Della Casa - è che gli anni Cinquanta sono stati raccontati soprattutto come periodi di contrapposizione forte tra comunisti e democristiani, Usa e Urss… In realtà c’era qualcosa di più e di diverso. C’era una nuova generazione che usciva dagli orrori della guerra: da questo punto di vista è forte l’immagine di Montecassino bombardata, riprese a colori che non si erano mai viste”. L’altra cosa che hanno notato i due autori è che “molti intellettuali dell’epoca interveniva sulla contemporaneità in modo puntale e preciso. Appartenendo a parti politiche molto diverse. Da Pasolini e Calvino a Prezzolino, Piovene. Intellettuali che si interrogavano sulla contemporaneità e cercavano di dare un progetto all’Italia”.
 
Storia sentimentale.
“Il sottotitolo è stato scelto perché non volevamo affrontare la storia o la politica o la sociologia di quegli anni. Ci interessava raccontare come, secondo noi, i giovani si affacciavano a un mondo distrutto dalla guerra e dall’atomica cercando un proprio ruolo e una centralità”. A scandire le bellissime immagini, molti discorsi radiofonici, “alcuni sono stati digitalizzati per noi, erano su disco, c’erano cose mai sentite. Rappresentano un materiale importante perché la radio all’epoca era davvero molto più della televisione lo specchio del paese. Era fondamentale che ci fosse nel nostro film”.
 
Quando la fantasia ballava il boogie
. Della Casa racconta il diverso lavoro fatto sulla musica rispetto all’altro film. “Gli anni Sessanta erano rutilanti, in quanto a musica. La musica era una fatto identitario. Nei Cinquanta lo era di più il cinema. C’erano milioni di biglietti venduti. Nei Sessanta la musica prende il posto del cinema, nei Settanta, che sarà il nostro terzo capitolo, sarà ancora di più così, ci saranno molta più musica e teatro”.
 
Steve Della Casa e Chiara Ronchini al Torino Film Festival (lapresse)
Discorsi e speranze.  “Mi sono stupito, guardando le immagini, di come ragazzi normali fossero così capaci di esprimersi, manifestare le loro inquietudini. Gli ultimi due ragazzi intervistati, un operaio e una casalinga, fanno discorsi lucidi, forti, ben articolati. Mi ha colpito anche che i giovani all’epoca, che la storiografia vuole stretti tra oratorio e casa del popolo, avessero in realtà una loro personalità molto forte. Erano i padri e i fratelli maggiori del Sessantotto. Si vedono i semi della rivolta che verrà in come questi ragazzi parlano e si comportano”. Quei ragazzi “avevano una speranza di futuro, era l’epoca in cui si pensava che il futuro con la tecnologa si sarebbe evoluto in modo positivo. Che tutti sarebbero stati meglio, le malattie scomparse. Erano viste in modo positivo anche cose che noi valutiamo diversamente, tipo il nucleare. C’era una grande fiducia della scienza che poi si è persa”.