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"Sudore, sabbia e cuore: i miei 220 km di corsa nel deserto del Wadi Araba"

Giuliano Pugolotti racconta la sua impresa nelle distese tra Mar Morto e Mar Rosso: "Ormai per me sono quattordici anni di running nel nulla. Fa miracoli la passione e io, che spesso mi chiedo il perché, non riesco dopo tanto tempo a dare una risposta concreta".
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C’E' UNA lunga striscia di deserto tra il Mar Morto e il Mar Rosso. Si chiama Wadi Araba. Da una parte la Giordania e poco più in là, nel versante opposto, Israele. Nel mezzo, quel nulla che amo tanto chiamato deserto. Un vuoto apparente con dentro tutto quello che cerco. Ho corso qualche anno fa nella parte più aspra e desertica della terra per 300 chilometri, in Pamir sul Tetto del Mondo dove a 5000 metri di altitudine ho visto come fa il vento a muovere le nuvole. Anche per questo sono andato fino al Mar Morto a meno di 400 metri sotto il livello del mare. La depressione più marcata della terra. Volevo unire questi due luoghi da tanto tempo. Il punto più alto e quello più basso. In mezzo la mia passione. Quattordici anni di corse nei deserti e quasi 5500 chilometri nel nulla. Fa miracoli la passione e io, che spesso mi chiedo il perché, non riesco dopo tanto tempo a dare una risposta concreta.

Ho iniziato la sfida con quel rispetto che ho per il deserto. Lui, Monsieur Le Desert, e io, il piccolo puntino che spesso vedo nelle mie foto lontano e insignificante al cospetto di un luogo così forte. Sono partito all’alba dal Mar Morto,un luogo bellissimo e spettrale. Non c’era traccia di vita e il silenzio era assoluto su quelle acque divise a metà lungo un confine che non appare tracciato tra due nazioni: Giordania e Israele hanno firmato la pace solo nel 1994 ed ancora oggi rimangono i segni. Il Wadi Araba racchiude tanti deserti e tanti luoghi. Ho passato canyon rocciosi spettacolari, aspri e infiniti. E’ dura correre dentro a questi serpenti di roccia lunghi anche più di 30 chilometri, dove il cielo entra solo attraverso una fessura in alto. Il fondo è terribile, smosso e sempre diverso, da interpretare al momento. Attorno uno spazio vuoto riempito dall’eco dei miei passi e da qualche imprecazione sfuggita al mio autocontrollo.
Poi c’è la parte desertica, fatta di sabbia fine e sottile, dove il vento è sempre costante e spazza ogni cosa. In mezzo a questo niente eterno, qualche villaggio con la gente del posto gentile ed ospitale a chiedersi chi sono e da dove vengo. Qualcuno riconosce la bandiera italiana sulla mia maglia e lì esplode automatica l’ammirazione per il calcio. Anche qui i calciatori vanno di moda più di ogni altro sportivo. Il più famoso credo sia Totti, anche se non gioca più. Raccolgo acqua e calore umano ogni volta in questi villaggi parlando più con i gesti che con le parole di una lingua che non conosco. Dopo tanto tempo passato da solo nel deserto, anche un semplice gesto dà conforto.

Ci sono tanti militari in questo luogo. Penso che loro, i militari, mi guardino anche quando, ruotando il mio sguardo a 360 gradi, non vedo nulla. Forse è solo un impressione, ma ho imparato che anche quella, l’impressione, ha un peso. Alcuni ragazzi in età scolastica sono vestiti con la mimetica militare che qui nel Wadi Araba è come un distintivo che rende la persona importante. Dopo tutti questi anni nei deserti del mondo, ho imparato a non giudicare mai. Assorbo quel che vedo, imparo, ma non mi chiedo il perché. Troppo facile andare in un luogo che non si conosce e dir: questo è giusto e questo è sbagliato.

Proprio in uno di questi villaggi per me senza nome, durante una notte ho sopportato un diluvio di alcune ore. Acqua a volontà, violenta pesante e con tanti lampi ad illuminare il deserto. Sono riuscito a ripararmi in una moschea. Poi come in ogni angolo del mondo, il temporale anche nel deserto finisce ed è magico il ritorno delle stelle. Lucenti, chiare e vicine. Certo, dormire sulla sabbia bagnata, all’interno di un sacco a pelo bagnato mi ha tolto gran parte della poesia del luogo. Faceva un freddo cane in quella notte nel Wadi Araba e ho aspettato la mattina e il sole come un miraggio.Ricordo che verso le quattro ho contato i minuti in attesa della luce. E così alle sei ero già in piedi e di corsa, perché scaldarsi e muoversi è vita e vitalità.

Ho impiegato quasi tre giorni per arrivare alla mia meta. Aqaba sul Mar Rosso è un punto di arrivo per chi va per mare e in questo caso lo è stato per me che vado per deserti. E’ stata una sfida bellissima in un luogo per me unico e sorprendente. E’ il mio deserto numero 23. In Giordania hanno scritto sui principali giornali di questa mia sfida unendo l’aspetto sportivo a quello ecologico. Il Mar Morto si abbassa ogni anno e senza un intervento del governo finirà per scomparire. Insomma, quel nome che porta potrebbe avere in sé il proprio destino. Il mio destino mi ha unito a questo luogo tanto da essere associato alla salvaguardia del Mar Morto la cui sopravvivenza dipende da un’opera di collegamento proprio con il Mar Rosso su parte della rotta che ho seguito.

Anche questa sfida è andata, 220 chilometri tra il Mar Morto e il Mar Rosso volati via come il vento. "Sudore, sabbia e cuore" è lo slogan che porto da sempre con me, perfetto anche qui nel Wadi Araba.
 
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