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Tennis, Federer parla del coach scomparso. E scoppia in lacrime

Federer si commuove durante l'intervista 
Intervistato dalla Cnn, il fuoriclasse ricorda la figura di Peter Carter, l'allenatore che lo forgiò ma non poté vederlo diventare un fuoriclasse. E viene sopraffatto dalla commozione. "Temeva che avrei sprecato talento, quando è scomparso ho capito che avrei dovuto lavorare duro" 
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Anche gli uomini piangono. Persino se sono campionissimi, iperosannati e miliardari. Come Roger Federer. La superstar del tennis mondiale è letteralmente scoppiata in lacrime durante un'intervista concessa alla Cnn. Al 20 volte vincitore di tornei del Grand Slam la conduttrice Christina Macfarlane aveva chiesto di ricordare la figura del suo primo allenatore, Peter Carter, il coach che lo aveva assistito nei primi passi del circuito professionistico. L'ex giocatore australiano era purtroppo scomparso nel 2002 - vittima di un incidente stradale in Sudafrica - poco prima che il Fenomeno, fino a quel momento solo un promettente e talentoso ventenne, muovesse i primi passi lungo la straordinaria parabola della sua leggenda.

Roger, che come si vede poco sotto ha postato la stessa emotional interview sul suo profilo twitter, non è nuovo a commuoversi in pubblico. Lo abbiamo visto in diretta televisiva mondiale, dopo trionfi o sconfitte. Come quando, nel luglio 2017, seduto sulla sua panca, fresco conquistatore dell'ottavo Wimbledon, non ha retto all'emozione, non appena il maxischermo ha mostrato le sue due coppie di gemelli che lo salutavano dalla tribuna; o quando, dopo la finale degli Australian Open 2009, domato per l'ennesima volta dall'eterno rivale, sopraffatto da quello che per lui sembrava un enigma tecnico-tattico-psicologico irrisolvibile, ha borbottato a Rafa Nadal: "Così mi stai uccidendo". Lui stesso ha confessato di singhiozzare spesso persino al cinema: "Chiedete a Mirka", ha detto una volta con ironia. E' la prima volta, però, che lo si vede così, rotto dal pianto "a freddo", in un'intervista condotta in apparente relax, seduto al tavolino, lontano dalle fatiche e dallo stress di un match da 4 ore e 5 set appena concluso.
È accaduto durante un faccia a faccia nel quale una giornalista dell'emittente Usa ha chiesto a Roger, alla vigilia degli Open di Melbourne, di descrivere il suo particolare legame con l'Australia e con il suo primo vero coach. Lui ha resistito alla prima domanda, quando la giornalista lo ha invitato a ricordare che cosa fosse stato per lui quell'ex giocatore del Down Under, dotato di grande tecnica, ma troppo esile gracile fisicamente per competere ad alto livello già negli anni '80, tanto da ritirarsi a soli 27 anni nel 1991. Federer ha raccontato del loro primo incontro, avvenuto all'Old Boys di Basilea, la società sportiva dove l'elvetico è cresciuto e che aveva assunto Carter, che si era trasferito in Svizzera, per rappresentarla nei tornei di club. Roger ha spiegato come a quel tempo lui fosse uno junior che cominciava l'avventura nel professionismo, circondato da grandi aspettative, al pari di Lleyton Hewitt. Il suo coetaneo del down-under era assistito da un altro ex giocatore aussie, Darren Cahill, originario di Adelaide, come Hewitt e come Carter, di cui era molto amico. I due coach si scambiavano spesso impressioni e pareri sui rispettivi allievi, i quali hanno cominciato ad allenarsi e a giocare contro prestissimo. E sono amici.

Il pathos però è cresciuto quando la conduttrice ha ricordato il dramma di Peter, la sua morte, avvenuta nell'agosto del 2002, in un incidente stradale, durante la luna di miele, in Sudafrica. Poi si è rivolta a Roger: "Peter è scomparso un anno prima del tuo primo slam, a Wimbledon: cosa proverebbe a vederti ora che ne hai conquistati 20?". Roger ha abbassato la testa per qualche secondo, prima di esplodere letteralmente in lacrime, mentre a stento dalla bocca gli usciva, la voce spezzata dal pianto, uno "spero che sarebbe fiero di me". Il tutto tra le scuse dell'anchorwomanm, il cui "sorry" sembrava sincero, nonostante il piccolo-grande colpo che aveva appena portato a casa.
Roger con Peter Carter 
"Immagino che lui non volesse vedermi sprecare il mio talento", ha poi aggiunto dopo essersi in parte ricomposto, ricordando i primi anni della sua carriera, quando, come ha  più volte ammesso, non era poi così ben disposto a fare sacrifici sul campo di allenamento e in palestra. "Penso che la sua scomparsa sia stata per me come un'ultima chiamata - ha come ragionato ad alta voce Federer, che al momento della tragedia aveva 21 anni, era già a ridosso dei top 10 ma non aveva ancora mostrato, se non a sprazzi, le meraviglie che molti si attendevano da lui -, perché da quel momento in poi ho cominciato a lavorare duro, come lui avrebbe desiderato facessi". Più rilassato, il genio di Basilea ha poi riflettuto - parlando sia del suo storico mentore, che degli allenatori successivi e degli altri membri del suo staff - sulla  "fortuna di esser stato circondato dalle persone giuste al momento giusto", fattore quest'ultimo più volte indicato dallo svizzero come una delle chiavi del suo successo.

L'affetto e la riconoscenza che Roger continua a dedicare a Peter, cui il fuoriclasse attribuisce anche il merito di avere forgiato il suo tennis, sul piano strettamente tecnico, non è un fatto nuovo. Rivelatrice una vicenda umana, scoperta dai media in tempi recenti, ma la cui genesi risale al periodo immediatamente successivo alla scomparsa dello sportivo di Adelaide. Dall'edizione 2005 degli Australian Open - quella che seguì la prima vinta da 37enne renano - nella tribuna riservata al tennista di Basilea siedono spesso due anziani signori. Sono i genitori di Carter. Roger prenota e fa recapitare alla coppia i biglietti aerei Adelaide-Melbourne e la ospita, nel suo stesso hotel, per le due settimane pari alla durata dello Slam. La storia è diventata di dominio pubblico dopo anni, non per bocca dell'interessato, né della famiglia Carter. Ennesima riprova del suo status di campionissimo, anche fuori dal terreno di gioco.
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