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Tennis, l'Italia e la Coppa Davis, quel "passaggio in India" di 34 anni fa. Panatta: "Fu un'esperienza di vita"

Adriano Panatta 
La nuova Coppa Davis degli azzurri comincia dall’India, dall’erba di Calcutta che nel 1985 fu fatale a Claudio Panatta, Gianni Ocleppo e Francesco Cancellotti. Il campione azzurro, che di quel gruppo era il capitano non giocatore, ricorda quel capitolo: "Quel viaggio ebbe un risvolto umano"
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ROMA - Il primo passaggio in India del tennis azzurro avvenne 34 anni fa e iniziò qualche giorno prima dell'imbarco della squadra mediante la spedizione di medicinali per l'orfanotrofio di Maria Teresa: "Ci sembrava davvero il minimo e quando fummo lì capimmo che esistono altri mondi, purtroppo, che le nostre angosce di occidentali ammalati di benessere sono bazzecole, vedere certe realtà ti fa passare la fantasia di incavolarti perché sono finiti i biscotti nella credenza", ricorda Adriano Panatta che di quel gruppo era il capitano non giocatore (e poi svolse anche altre mansioni). L'Italia era composta da una bella squadra, "cui contribuivano anche coloro che stavano dietro la quinta principale", aggiunge Gianni Ocleppo, che dopo essere stato per dieci anni commentatore di tennis su Eurosport oggi sarà al microfono di Supertennis proprio per la nuova sfida India-Italia della nuova Coppa Davis. "Penso allo staff medico guidato allora da Vincenzo Candela, a Franco Bartoni, nome leggendario del tennis romano, membro dei council Atp e Wta e nostro team manager (scomparso nel 2005, ndr)".

Fu un'esperienza per tutti. Diversa, insolita, per certi versi inaspettata. "Ebbe un risvolto umano", prosegue Adriano, "che sopravanzò forse le esigenze dello sport e della competizione. Viaggiavamo tanto anche allora, ma come l'India che toccammo con mano e con il cuore non c'era stato nulla prima". Andarono da Maria Teresa, fu quasi straziante. Claudio Panatta si immerse anche nel Gange. E il viaggio ai templi provocò emozioni indescrivibili. Come i Beatles quando incontrarono Maharishi Yoga, l'India cambiò i ragazzi del tennis. Che non sarebbero più stati gli stessi. Si sentivano quasi in imbarazzo ad essere ospitati da un albergo a cinque stelle. Guardavano fuori e la vita gli rimandava immagini antitetiche alle facoltose condizioni cui erano abituati. "Ma non perdemmo per quello vedemmo", riconosce Adriano. L'India di Vijay Amritraj vinse per 3-2 sull'erba amica tra l'8 e il 10 marzo del 1985 (l'erba era sicuramente più amica loro di quanto non fosse di Cancellotti, Panatta e Ocleppo). Era una piccola potenza, quell'India in cui Amritraj svolgeva il doppio ruolo di giocatore e capitano. Arrivarono in finale nel '66 ma vennero schiantati dall'Australia. Nel '74 non scesero in campo per protestare contro l'Apartheid in Sudafrica e così il Sudafrica vinse una Davis assurda. Tornarono in finale nel 1987 e persero dalla Svezia.

Gianni fu colpito da una specie di vendetta di Montezuma asiatica. Non bastò che Adriano, dopo le scorte per i bimbi di Maria Teresa, decidesse di spedire anche un container con acqua, pasta, pomodoro e parmigiano. "Bevvi dell'acqua ghiacciata e fu la fine". Adriano lo trovò in bagno. Così Claudio e Francesco. "E adesso che facciamo?". Ocleppo non riusciva ad uscire dall'hotel. Accidenti, proprio qui doveva succedere. "Avrei dovuto giocare il singolare ma dovetti abdicare. Dissi ad Adriano: guarda che non mi reggo in piedi". E giocò Cancellotti. Ocleppo si sarebbe ripreso per il doppio, che l'Italia vinse, ma non servì a nulla. "Eppure ho solo ricordi bellissimi, nonostante la sconfitta", ammette Claudio. "Come al solito mio fratello cucinava per tutti, cosa che peraltro faceva spesso: ama cucinare e lo fa ancora, appena può".

Il "pellegrinaggio" durò una settimana: "Fu un'immersione nell'anima del mondo, quello fu il vero matchpoint", ricorda Adriano, ancora commosso. La sfida venne decisa da due match allungati al quinto set, i primi due: Cancellotti cedette a Krishnan, mentre Claudio Panatta, che era sotto 2-0, portò Amritraj al quinto set che però si dovette giocare il giorno dopo. Benedetto riposo indiano: Vijay ritrovò le forze, che non aveva più, e chiuse in 6-3. Uno dei raccattapalle si chiamava Leandro Paes e sarebbe diventato uno dei più forti doppisti della storia del tennis: "Venne da me", racconta Claudio, "e mi chiese la maglietta". Ocleppo gli regalò un polsino. Anni e anni dopo, a Wimbeldon i due si incontrarono di nuovo: "Mi dava ancora del lei", ricorda Ocleppo, "e mi disse che quel polsino ce l'aveva ancora".
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