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Il grande fratello Zuckerberg: una nuova corsa all’oro dei dati dietro la svolta sulla privacy

Il ceo di Facebook, Mark Zuckerberg
Il ceo di Facebook, Mark Zuckerberg (ap)
L'annuncio dell'integrazione dei servizi di messaggistica tra Facebook, Instagram e Whatsapp potrebbe aprire la strada a un monopolio sul grande mercato dei servizi digitali personalizzati
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L'IMMAGINE di Mark Zuckerberg diventato improvvisamente paladino della privacy sarebbe un bel paradosso. E infatti probabilmente non è reale. A sorpresa, qualche giorno fa, il fondatore di Facebook ha annunciato di voler riorientare il suo modello di business e la ricerca tecnologica dell’azienda verso la messaggistica privata. Obiettivo da raggiungere interconnettendo le piattaforme già in suo possesso - Messanger, messaggi diretti di Instagram e Wathsapp - e cominciando a rispondere alle esigenze di comunicazione privata che il pubblico, soprattutto giovane, sta mostrando di privilegiare negli ultimi tempi.
 
La grande piazza virtuale del Newsfeed, le bacheche dove i 2,3 miliardi di iscritti a Facebook discutono più o meno pubblicamente, non sparirà ma il focus del giovane miliardario si sposta sul “salotto di casa”, per dirlo con le parole del suo post, dai toni insolitamente filosofici: non l’annuncio di un prodotto ma un manifesto programmatico per la strategia dei prossimi anni nell’officina di Menlo Park.
 

Ad accelerare i tempi della svolta è forse anche l’imminenza di una stretta regolatoria negli Stati Uniti che, sulla scia dei provvedimenti europei come la Gdpr (General Data Protection Regulation), si apprestano a imporre paletti più rigidi alla raccolta e alla gestione dei dati personali degli utenti delle piattaforme tecnologiche. Nel gennaio del 2020 entrerà in vigore in California una nuova legge sulla privacy, mentre al livello federale la Trade Commission, che tutela i diritti dei consumatori, sta preparando normative che dovrebbero restituire agli utenti più efficaci poteri di controllo sui propri dati.
 
Ed ecco allora che Zuckerberg anticipa tutti e si butta sulla privacy. In concreto, nell’immediato, non molto dovrebbe cambiare. Il newsfeed resterà forse terreno di diffusione di contenuti dei media, di comunicazione aziendale, anche di propaganda, e sempre una finestra sul mondo soprattutto per la fascia più anziana degli utenti. E’ lì, nei contenuti condivisi sulle bacheche, che si raccoglie e si continuerà a raccogliere quello che è stato finora l’oro di Facebook: i dati personali profilati accuratamente a cui gli investitori pubblicitari attingono, e su cui Zuckerberg ha fondato la sua fortuna.
 
Secondo gli analisti, il social network probabilmente rimarrà stabile nell’immediato futuro, nei profitti e nella crescita, con i suoi 2,3 miliardi di utenti, 22 miliardi di profitti nel 2018 e un incremento costante, seppur rallentato (9% di utenti in più nel mondo negli ultimi 3 mesi dello scorso anno). L’abbandono progressivo dell’accumulo di dati “in chiaro” sugli utenti avrà certo un costo anche se, assicura Zuckerberg, “già oggi non usiamo il contenuto dei messaggi per fare della pubblicità mirata”. Ma in ogni caso il core business deve spostarsi: diventare il gigante (monopolista) della messaggistica privata offre prospettive di crescita potenzialmente dirompenti.
 
Nella rinuncia alla piazza globale c’è senz’altro una resa all’evidenza di un’inadeguatezza. Zuckerberg ha capito di non poter gestire una posizione che non prevedeva di dover ricoprire: quella di editore globale, responsabile attraverso la sua creatura di aver dato voce anche a contenuti violenti, di propaganda, a manipolazioni elettorali e campagne razziste.
 
Dopo due anni di pesanti polemiche per la carenza di controlli sui contenuti e sulle attività fraudolente delle terze parti che tramite Facebook venivano in possesso di dati personali degli utenti (culminata con lo scandalo di Cambridge Analytica e mesi di perdite in Borsa), Zuck deve aver deciso che era ora di aprire un capitolo nuovo, e ritirarsi - se non a vita privata - nelle vite dei privati.
 
E in privato miliardi di persone in tutto il mondo ormai tendono a dire, fare, scambiare tutti gli aspetti della propria vita. Dall’ordinare un cappuccino senza fare la fila, al dare la mancia a un musicista di strada, dal dividere il conto al ristorante, al prenotare un volo o un taglio di capelli, al comunicare con amici e parenti senza più dover scrivere email o telefonare. Ad ogni ora del giorno e della notte e nello spazio di uno schermo di smartphone.
 
Il sogno proibito di Zuckerberg è già realizzato in un posto al mondo. Paradossalmente, proprio il Paese in cui più di tutti lui avrebbe voluto sbarcare e che forse ora gli sbarrerà definitivamente le porte, perché il suo governo non accetterà mai la presenza sul proprio territorio di chat criptate inaccessibili ai controlli esterni. In Cina un paio di piattaforme tecnologiche (WeChat e AliPay) hanno ormai creato un ecosistema integrato che copre la gran parte delle attività, pubbliche e private: un miliardo di cinesi utilizza già l’onnipresente WeChat che offre, oltre alla messaggistica e alle funzioni classiche del social network, l’accesso a servizi di pagamento e una profilazione personale tramite codice QR, che permette l’accesso e il processamento in tempo reale di ogni tipo di attività personale. Un grande vantaggio, che gli utenti ottengono in cambio della rinuncia totale alla tutela della propria privacy. A Business Insider un dirigente di un’azienda tecnologica cinese ha spiegato chei dati raccolti con queste piattaforme sono “così specifici e mirati che aiutato i marchi a capire che tipo di prodotti costruire in futuro e su quali consumatori puntare, non solo che tipo di pubblicità fare adesso”.
 
Potrebbe essere questo l’obiettivo di lunga distanza dello Zuckerberg “privato”: rendere Facebook la WeChat del pianeta, a un click di distanza da tutto quel che ci serve, e di quel che può aiutare Facebook a crescere ancora. A patto che la politica non gli sbarri la strada.