Porti aperti all’invasione “umanitaria”? E’ un’enorme tratta di uomini, donne e bambini

Porti aperti all’invasione “umanitaria”? E’ un’enorme tratta di uomini, donne e bambini

Si è svolta ieri anche a Rimini la manifestazione “l'Italia che resiste”. Per "resistere alle scelte disumane di questo governo che vuole lasciare morire in mare chi scappa da guerra, fame e povertà". Stanno proprio così le cose? Quella che viene presentata all'opinione pubblica mondiale come una “operazione umanitaria”, in realtà è un'operazione economica di trasporto per nave da un continente all'altro di masse finora mai viste nella storia del pianeta, con un numero importante di morti e costi sanitari e psicologici altissimi.

In piazza Cavour (così come in varie altre città) si è svolta ieri la manifestazione “l’Italia che resiste”, promossa da “associazioni e cittadini di Rimini autoconvocati per resistere alle scelte disumane di questo governo che vuole lasciare morire in mare chi scappa da guerra, fame e povertà, che interrompe i percorsi di integrazione, che istiga all’odio e alla xenofobia dimenticando gli storici valori di accoglienza e convivenza civile”. Partecipanti? A stare larghi 300 persone, radunate da ben 35 sigle di realtà che hanno promosso l’appuntamento, fra le quali, Pd, Rimini attiva, Rifondazione comunista, Cgil, Sinistra italiana, Giovani democratici, Pacha Mama, Arci e Arci Gay, Anpi, Coop. Eucrante, Rumori sinistri ed altre. C’erano anche Cécile Kyenge, due esponenti della giunta (Gloria Lisi e Mattia Morolli), qualche consigliere comunale, esponenti della sinistra variamente assortiti.
L’Italia che resiste a cosa? Il trasporto per nave da un continente all’altro di masse finora mai viste nella storia del pianeta, con un numero importante di morti e costi sanitari e psicologici altissimi, può essere contrabbandato per una “operazione umanitaria”? Proponiamo l’intervento che Claudio Risè ha scritto oggi per La Verità.

Gli “eroi” umanitari hanno portato alla distruzione degli uomini europei

di Claudio Risè

Una presenza ingombrante pesa sulla nostra psiche e la nostra anima, anche se facciamo di tutto per non vederla e tenerne conto. Si tratta delle centinaia di milioni di persone che in Africa si dichiarano intenzionate a emigrare in Europa, come ci ha ricordato in recenti interviste e conferenze Niall Ferguson, storico scozzese professore nelle due maggiori università americane, Stanford e Harvard, osservatore non di parte dell’attualità internazionale.
“Centinaia di milioni” sono troppe per l’Europa, piccolo continente già densamente popolato e con equilibri economici e sociali molto delicati, come dimostra qualsiasi ricerca sociologica in ognuno dei suoi Paesi.
Purtroppo però, sull’esistenza di queste masse e sulla loro determinazione di attraversare il Mediterraneo si è organizzata la più importante tratta di persone umane in Occidente dopo quella condotta dall’Africa verso gli Stat Uniti dal 1400 al 1800. La popolazione africana è quasi due miliardi di persone: quella europea di solo 500 milioni; in Africa è altissima la povertà e soprattutto gli equilibri sociali e culturali. Come si può ancora continuare a non chiamare le cose con il loro nome e non parlare di invasione?

DEGRADO
L’enorme tratta di uomini, donne e bambini, organizzata soprattutto con grandi barche e navi, come in altri grandi spostamenti di popolazione nella storia, è stata in questo caso presentata come operazione umanitaria, grazie all’appoggio fornito alla versione dalla maggior parte dei media internazionali. Eppure fin dall’inizio furono numerosi i morti, anche per via della bassa qualità delle imbarcazioni utilizzate dalle misteriose organizzazioni che hanno provveduto alla maggior parte dei trasporti. Che oltretutto avvengono a caro prezzo, stando a quanto poi i migranti dichiarano quando arrivano vivi.
All’arrivo poi, i neri vengono per lo più lasciati in situazione di autentico degrado, e forniti di sussidi monetari che ne disincentivano ulteriormente la motivazione al lavoro. Gli organizzatori della tratta sono espressione di una zona opaca, per la maggior parte non riconducibili ad attori noti e riconosciuti dalla comunità internazionale. Il profilo medio è quello di avventurieri. Per i tratti finali, i più spettacolarizzati, cui si prestano politici locali, compaiono sigle che inalberano sulle loro navi bandiere di Paesi che poi dicono di non sapere nulla di loro, e di non prendersi la responsabilità dei loro carichi e delle loro azioni. Nessun tratto del lungo viaggio è regolarmente e ufficialmente documentato. Come poi è risultato dalle inchieste per terrorismo, per molte di queste persone non si conosce neppure l’autentica identità, l’età, il luogo di nascita.
Eppure l’intera Europa, per anni, non ha fatto niente per chiarire queste oscurità, fino a quando (per molti anni e governi) l’Italia ha accolto gli arrivi sulle sue coste, fattisi via via più numerosi nel corso degli anni. L’unica posizione ufficiale evidente è stata quella del finanziere miliardario George Soros e delle fondazioni che a lui fanno capo, da sempre favorevole all’immigrazione africana e in prima linea nel nascondere la realtà di principale sfida geopolitica europea di oggi, per travestirla da questione umanitaria. Se non altro lui la faccia ce la mette.

Soros è l’unico che esce allo scoperto non solo per interesse e vanità personale, ma anche per temperamento e per mestiere. E’ da molti decenni forse il più abile e spregiudicato finanziere internazionale, quindi non teme guai e ritorsioni in fabbrica o su iniziative immobiliari: è imprendibile, come appunto il capitale finanziario. Se lo infastidiscono a Londra, va a New York. Le sue mosse però sono estremamente significative per capire dove vada e cosa voglia il grande capitalismo globale contemporaneo e quale ne sia la psicologia e la visione del mondo. Quando provocò il “mercoledì nero” delle Borse internazionali, il 16 settembre 1992, vendendo sui mercati dei cambi internazionali “allo scoperto” (senza possederli) miliardi di sterline inglesi e di lire italiane, provocandone il crollo e obbligando così i due Paesi a svalutare le rispettive monete, non stava facendo soltanto uno straordinario affare (con la sola sterlina guadagnò in un giorno un miliardo di dollari).
Stava anche appoggiando una linea che avrebbe poi ispirato i successivi 25 anni di politica europea e occidentale, e che si era appena profilata con gli impegni siglati dai governi europei con il trattato di Maastricht che prevedeva l’Unione economica e l’istituzione della Commissione e della Banca centrale europee (che sarebbe poi entrata in funzione più tardi). Il colpo inferto da Soros all’Inghilterra, uscita da poco dagli otto anni di rilancio del governo di Margaret Thatcher, la costringeva a un atteggiamento più accomodante verso l’Europa.

Sul continente si affermava intanto sempre di più il potere della Germania, riunificata da poco e in piena espansione. Il Paese, dove Berlino era già la prima città turca d’Europa per la tradizionale immigrazione dell’area ottomana, chiedeva nuova manodopera. Nei centri del potere industriale europeo si volevano nuovi lavoratori a basso costo e al di fuori della visione antropologica europea. Meno “choosy”, schizzinosi (per dirla con la parola messa di moda in Italia dalla ministra del professor Mario Monti, Elsa Fornero, per definire i giovani lavoratori italiani disoccupati). Ma soprattutto erano ben accette le persone più sradicate possibili. Perché erano (si credeva) le più condizionabili. Le socialdemocrazie del continente, riorganizzatesi nei mesi successivi al “mercoledì nero” di Soros, hanno amministrato politicamente i nuovi sviluppi industriali e sindacali.
Soros, allora come oggi, è infatti il perfetto rappresentante degli aspetti più avidi del capitalismo anarchico, allergico a ogni forma di vita tradizionale che stabilisca confini alle velleità di libertà individuali (di cui parla anche il filosofo Giorgio Agamben nel recente Creazione e Anarchia. L’opera nell’età della religione capitalista, Neri Pozza editore). Le battaglie del finanziere (di famiglia ebraica antisionista) per le associazioni Lgbt, le pratiche anticoncezionali, l’abolizione dei confini, la libertà di immigrazione, l’eutanasia (ha offerto alla madre un aiuto per morire), la libertà nelle droghe, descrivono un programma politico di abolizione di qualsiasi regola nei desideri individuali e soprattutto di distruzione di qualsiasi rapporto con la propria storia e tradizione. Una caratteristica non sorprendente nella finanza. Il suo risultato, però, è la distruzione degli uomini coinvolti nelle sue operazioni, in questo caso il bianco europeo e cristiano, e della sua soggettività personale.

Soros è l’etichetta “umanitaria” del programma politico di liquidazione della tradizione occidentale e della sostituzione della sua popolazione con le masse africane spinte in Europa dai trafficanti di esseri umani. E’ in gran parte per la sua intelligenza e spregiudicatezza se la più importante operazione geopolitica del XX e XXI secolo, realizzata con un’operazione economica di trasporto per nave da un continente all’altro di masse finora mai viste nella storia del pianeta, con un numero importante di morti e costi sanitari e psicologici altissimi, ha potuto venire presentata all’opinione pubblica mondiale come una “operazione umanitaria”.

LA BREXIT
Tanto più che gli operatori sono dei “trafficanti di uomini” come li ha definiti il professor Ferguson, che “gestiscono un grosso giro d’affari e cercheranno sempre di passare”. Facendo inoltre notare che non arretrano di fronte a nessun pericolo per i trasportati cercando persino di spingere i migranti in inverno alla pericolosa traversata della Manica. Questa spregiudicatezza dei trafficanti era già stata una delle cause della Brexit, ma politici e giornalisti “umanitari” non l’hanno mai detto, insistendo invece sull’arroganza e il passatismo degli inglesi.
Ci sono pochi dubbi, per fortuna, sul fatto che l’operazione abbia già provocato, finora, la liquidazione dell’intera classe politica europea che l’ha appoggiata e sostenuta, nei vari Paesi e nelle diverse sedi. “Il percorso dell’integrazione europea è probabilmente terminato”, ha dichiarato Ferguson nell’intervista a Federico Fubini del Corriere della Sera, “la sola vera domanda riguarda la velocità della disintegrazione”. Un intero continente, con la sua umanità e la sua storia, è stato tradito.
L’Europa politico burocratica non potrà probabilmente fare più granché, ma forse l’urgenza di cambiare strada porterà “ogni Stato a garantire la propria sopravvivenza (John Mearsheimer, The perils of Anarchy), regola d’oro del pensiero realista, completamente dimenticata nell’epoca dell’anarchia degli interessi travestiti da umanitarismo. Sarà un sentiero duro: “non abbiamo ancora visto niente”, dice e scrive Niall Ferguson. Ma potrà generare nuove e più autentiche forze, rispetto ai programmi luccicati che conducono a sicura fine.

La Verità, 3 febbraio 2019

Chi è Claudio Risè
Claudio Risé (Milano, 1939) è uno scrittore, giornalista, docente universitario e psicoterapeuta italiano di formazione e orientamento psicoanalitico junghiano (iscritto all’Ordine degli psicologi della Lombardia, già membro del Consiglio Direttivo dello stesso). È stato fino al 2008 docente di Psicologia dell’Educazione alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca, e precedentemente di Sociologia della comunicazione e dei processi culturali alla Facoltà di Scienze dell’Università dell’Insubria, e di Polemologia al Corso di Laurea in Scienze Diplomatiche della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste. Ha scritto numerosi saggi sul dono, la psicologia del maschile, la figura del padre, oltre a svariati libri su temi di psicologia sociale ed educativa. Giornalista professionista (in passato inviato a L’Espresso, la Repubblica, Corriere della Sera, Vice Direttore a Espansione, condirettore a Tempo Illustrato), conduce il blog Psiche lui su IO Donna, settimanale del Corriere della Sera, e collabora a quotidiani e settimanali. Dal 2006 al 2015 è stato Presidente della Fondazione Piccolo Teatro di Milano.

Fotografia: Claudio Risè.

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