Processo breakfast

Accuse di ‘ndrangheta, il ruolo di Scajola nel “sistema Ugolini” secondo la testimonianza del pentito Cosimo Virgilio

Ascoltata anche la testimonianza del commissario in servizio presso la Dia di Reggio Calabria Giuseppe Gandolfo

claudio scajola

Reggio Calabria. E’ stato rinviato al prossimo 25 marzo il processo “Breakfast” in corso a Reggio Calabria che vede sul banco degli imputati l’attuale sindaco di Imperia Claudio Scajola, accusato di avere favorito l’inosservanza della pena dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, condannato definitivamente dalla Cassazione per concorso esterno in associazione mafiosa, latitante a Dubai, e dell’ex moglie di questi, Chiara Rizzo.

Quel giorno verrà ascoltato il collaboratore di giustizia Pasquale Nucera che non si è presentato all’appuntamento fissato per lunedì scorso. Il presidente del tribunale reggino, Natina Pratticò, ha così disposto l’accompagnamento coatto del pentito, che dovrà rispondere alle domande del pubblico ministero Giuseppe Lombardo e a quelle degli avvocati della difesa.

Nel frattempo, emergono nuovi dettagli sul presunto coinvolgimento di Scajola nel cosiddetto “sistema Ugolini”, dal nome del diplomatico di San Marino Giacomo Ugolini, capo di una loggia massonica ‘spuria’. Un “sistema” di massoneria deviata in grado, secondo quanto emerge dalle testimonianze rese nel corso del processo, di gestire appalti e subappalti, le nomine di rilievo, il riciclaggio di denaro ‘sporco’ messo a disposizione dalla criminalità organizzata.

A parlare è ancora una volta il collaboratore di giustizia Cosimo Virgilio che, incalzato dal pm, racconta del suo incontro a San Marino con Claudio Scajola: “Lui (Scajola, ndr) partecipò a questa tornata, siamo nel 2003, diciamo, arrivò proprio quella sera che noi stavamo facendo l’iniziazione di cinque adepti. Arrivò lui insieme al primo ministro di San Marino, Marino Menicucci. Tra le altre cose mi ricordo che arrivarono in ritardo e l’ambasciatore Ugolini, che era in funzione di Gran Maestro quella sera disse: ‘ok, siete arrivati in ritardo, non vi preoccupate’. Non li fece partecipare a quella che era la parte finale dell’iniziazione”.

“Vorrei capire ora perché Scajola era lì e come si inserisce la sua figura in quel mondo massonico che lei ci ha raccontato la volta scorsa. Faceva parte del gruppo Ugolini? Era parte di altri contesti legati a Ugolini?”, chiede il pm. “Se lui partecipò quella sera alla tornata faceva parte, per certo doveva far parte, alla Gran Loggia che era retta da Ugolini. Diversamente non poteva parteciparvi. Che facesse parte del grande sistema di Ugolini, in quale veste e in quale posizione questo non lo abbiamo mai approfondito se non quando, qualche anno dopo, mi sembra nel 2005, lo stesso Ugolini in una richiesta che fu formulata a Gioia Tauro invitò la famiglia Cedro di andare a trovare Scajola presso la sua abitazione per fare il suo intervento presso Impregilo che aveva in gestione l’ammodernamento dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria, proprio il tratto da Mileto fino a Villa San Giovanni”. Già nell’udienza precedente, Virgilio aveva dichiarato che l’ex ministro dell’Interno e attuale sindaco di Imperia, aveva incontrato Carmelo Cedro, vicino alla cosca dei Molè, affinché la società Impregilo potesse godere di un ‘protettorato’ delle cosche della Piana di Gioia Tauro durante i lavori sulla Autostrada Salerno-Reggio Calabria. Scajola aveva replicato, negando gli addebiti, dicendo di non aver mai fatto parte della massoneria.

La loggia massonica di San Marino. “La Gran Loggia garibaldini d’Italia è una gran loggia che ha una serie di piccole logge, chiamiamole piccole ma sono logge normali. Ugolini era il serenissimo, così chiamato, gran maestro della loggia di San Marino. Però poi c’erano altre logge con altrettanti maestri venerabili a capo di ogni singola loggia e avevano delle diramazioni che potevano uscire al di fuori dello stato sammarinese. Scajola non faceva parte della gran loggia ma faceva parte di una di queste logge che facevano capo a Ugolini come gran maestro venerabile. Anche all’estero c’erano logge garibaldine”, ha spiegato sempre Cosimo Virgilio, che ha precisato che, a quanto ricordava, Scajola “faceva parte di una loggia toscana… dove c’era il core business del sistema Ugolini”. Un sistema che, sempre secondo Virgilio, aveva due facce: “C’era una parte pulita e c’era la cosiddetta ‘parte ombra’”.

Il nome di Scajola torna poi quando il collaboratore di giustizia parla di Pippo Marra, descritto come il “proprietario, insieme al figlio del defunto presidente della repubblica Cossiga, di Adnkronos. Pippo Marra, che tra l’altro era un ottimo amico di Claudio Scajola, faceva parte di un ordine cavalleresco ma non era ben inserito nel sistema Ugolini. Ne faceva parte, ma era un pochettino in disparte perché aveva in mano il mondo dell’informazione con la Adnkronos. Spesso ci si incontrava nella sua abitazione di fronte a Montecitorio in via Colonna Antonina”, racconta Cosimo Virgilio. Marra aveva un potere diverso: era meno in vista e aveva più potere, perché più si era in vista e meno potere si cominciava ad avere. Si era più attaccabili”.

Si parla poi della figura di Gianni Letta, politico e giornalista, che Virgilio avrebbe incontrato in “un ristorante alle porte di Catanzaro e fu in un’occasione, quando tramite il senatore Mascaro, scese in Calabria perché il gruppo dei Lloyds doveva fare investimenti nel settore turistico. Lui era riferimento del gruppo, del sistema Ugolini. Il riferimento in Calabria era Gianni Letta.
[…] Letta era la parte politica del sistema, poi c’era la parte cattiva, che era quella della criminalità che aveva bisogno di investire i soldi però in cambio c’era la gestione del serbatoio elettorale. Quindi Letta gestiva o, diciamo, si confrontava con coloro i quali dovevano portare questo pacchetto di voti, per cui lui si assicurava che ci fosse sempre la disponibilità di questo flusso elettorale”.

Il potere politico. A un certo punto si affronta il tema delle elezioni regionali in Calabria, a dire di Cosimo Virgilio ‘pilotate’ dallo stesso Ugolini. “Forza Italia perderà quelle elezioni regionali anche per interessamento di Ugolini che si sentì un po’ sottovalutato rispetto a quello che era il suo ruolo. Una parte del sistema cominciava a vederlo come un po’ anziano. Tant’è che avevano fatto degli accordi in Calabria e anche nel Lazio senza rispettare quelle che erano le sue idee, le sue linee guida. E lui riuscì a boicottare gli interessi del suo stesso gruppo che in quel momento voleva Storace in Lazio e un governatore di Forza Italia in Calabria”.

I fratelli Pizza, Giuseppe e Massimo e il coinvolgimento della Chiesa. “Giuseppe Pizza era da tempo una persona molto vicina sia al sistema Ugolini sia al vecchio sistema di Leone che a quello di Nino Gangemi (soggetto di ‘ndrangheta) in Calabria”, racconta Virgilio, “Per muoversi bene in determinati ambienti si ha bisogno di un viso politico, in quel momento storico uno dei visi politici è Pizza Giuseppe che è utilizzato da Nino Gangemi per garantire quel portafoglio di voti in cambio della gestione dei riciclaggi di quei denari sporchi che venivano fatti anche all’interno del sistema Ugolini e poi messi al sicuro nella Banca Vaticana. Tant’è che nel momento in cui Ugolini ha il problema della tentata truffa di oltre 1 milione di euro con il tentato acquisto della villa di Guendalina Ponti sui castelli romani interviene proprio il Giuseppe Pizza insieme al cerimoniere del Papa, monsignor Camaldo, per risolvere questo annoso problema perché Ugolini era fortemente arrabbiato. Allora per sedare Ugolini, lo stesso Pizza si propone di parlare con il fratello ‘che riuscirà a fare questo sistema con i notai e far sì che il rogito della villa venga concluso’. Ugolini versò altri 380mila euro al fratello di Pizza che però scomparve. Immediatamente però sia Giuseppe Pizza che il monsignore Camaldo tornarono indietro con questi soldi, assegni Ior su Ior e in contanti con oltre 100mila euro dati da Balducci, ex presidente dei Lavori Pubblici”.

DIA. In aula è stato poi ascoltato il sostituto commissario in servizio presso la Dia di Reggio Calabria Giuseppe Gandolfo che ha parlato delle indagini svolte e di una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali e di pedinamenti che hanno fatto emergere il “ruolo pregnante di Vincenzo Speziali (imprenditore e politico, ndr) all’interno di un gruppo di soggetti, anche di carattere istituzionale, imprenditori, personale del servizio (in particolare dell’AISE, ex SISMI, sia in Italia che all’Estero)”. 
Anche Gandolfo ha citato Claudio Scajola parlando della latitanza di Dell’Utri. “Dell’Utri scappa, si dà latitante, e una serie di personaggi contattato Speziali per sapere che fine ha fatto Dell’Utri. In modo particolare c’è la telefonata del 9 aprile 2014 quando è lo stesso Scajola che chiede a Speziali se Dell’Utri è dalla sue parti”.

Dell’Utri e Matacena. “Il punto fondamentale di unione dei due soggetti (Marcello Dell’Utri e Amedeo Matacena, ndr) era un banchiere, un certo Robert Sursock che poi vedremo più avanti che è il tesoriere di Amin Gemayel. Il banchiere era presidente della filiale libanese di Gazprombank”, dichiara Gandolfo, che aggiunge: “Nello scambio documentale fra vari uffici di procura e Dia di Palermo, emerge un particolare: la squadra mobile di Roma e il ROS, facendo un’attività sulla cosiddetta Mafia Capitale, quella del gruppo Carminati, intercetta una conversazione in un ristorante, L’Assunta Madre di Roma: c’erano Dell’Utri Alberto, fratello gemello di Marcello, e Mancuso Vincenzo. Parlano di cosa deve fare Dell’Utri per darsi latitante”.

Le intercettazioni. Ci sono diverse registrazioni che riguardano l’ex ministro dell’Interno. “Quelle registrate tra Chiara Rizzo Claudio Scajola in ordine alla questione Beirut del 17 ottobre 2013”, dice il commissario. Poi quella “tra Scajola e Speziali Vincenzo dell’11 aprile 2014 alle 21 dove praticamente c’è sempre il fatto di Vincenzo (Speziali, ndr) che cerca di far fuggire ogni sospetto su di lui sulla cattura di Dell’Utri e dice che Pippo Marra l’ha chiamato per chiedere notizie su Dell’Utri”. 
Poi un’altra intercettazione ancora, in cui Claudio Scajola, relativamente a Matacena, avrebbe detto: “Potremmo trovargli un lavoro là”.

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