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Autonomia e coerenze: un disastro

L’autonomia differenziata sancisce gli squilibri che già esistono e li rende definitivi e insuperabili.

“Credo fortemente in un sistema scolastico nazionale e pubblico. La scuola, mai come in questo difficile momento che il mondo sta vivendo, rappresenta una forte speranza di salvezza e di garanzia dei diritti costituzionali”. Sono parole di un paio di mesi fa (non anni fa) della vicepresidente della Regione Calabria, con delega all’istruzione, Giusi Princi, che, in merito all’autonomia differenziata applicativa della riforma del titolo V del 2001, evidenzia di avere già rappresentato quanto sopra al ministro per gli affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli, nel corso della sua visita a gennaio in Regione, al quale ha rivendicato l’unitarietà del sistema nazionale di istruzione e la necessità di scongiurare ulteriori diseguaglianze tra regioni. “Le nostre azioni, condivise con l’Ufficio scolastico regionale e con il mondo sindacale – dice ancora la Princi – sono orientate all’elaborazione delle nuove linee guida regionali sul dimensionamento scolastico e su una nuova legge del diritto allo studio che vede quella della Regione Calabria ferma al 1985. La nostra mission principale sarà, infatti, quella di fronteggiare la povertà educativa, salvaguardare le aree marginali per evitare la dispersione scolastica. In un momento così delicato occorre pertanto evitare, di determinare ulteriori differenze di qualità dell’istruzione tra studenti e scuole dello stesso territorio, tra studenti e scuole calabresi e tra studenti e scuole italiane”.

Fin qui sembrerebbe tutto bene. A parole siamo a posto ma il punto di domanda e’ un altro e richiama coerenza: cosa concretamente si fa per bloccare in Calabria il DDL Calderoli? Se Princi dice queste cose e la sua maggioranza, a Roma e in Calabria, da’ pero’ il via libera a Calderoli (con tutti i distinguo del caso) non e’ il caso di fermarsi senza prendere invece in giro i calabresi tutti?

Il dibattito in corso sull’autonomia differenziata procede, infatti, fra toni accesi e scontri politici ma non affronta coerentemente tutte le materie del progetto governativo, in particolare l’attenzione si dovrebbe soffermare sull’istruzione. La scuola è stata, infatti, una dei principali artefici dell’unità nazionale, della stessa nascita e consolidamento della comunità nazionale. E continua ad esercitare tale ruolo. E poi è lo strumento principe per formare il cittadino, per eliminare o ridurre le varie differenze esistenti tra i cittadini e tra i diversi territori in cui si articola il paese.

Invece, l’autonomia differenziata sancisce gli squilibri che già esistono e li rende definitivi e insuperabili. Su questo aspetto nell’editoriale pubblicato sabato scorso 25 febbraio sul Quotidiano si trovano già tutti i numeri e le cifre di un disastro annunciato.

Il gap di servizi nella scuola, nella sanità, negli asili, in tanti servizi del welfare, nelle risorse di sostegno all’apparato produttivo, etc., diventerà infatti “legittimo”, un privilegio etnico-territoriale immodificabile. Insomma, chi, all’interno della stessa nazione, abita in territori particolari e benestanti ha più diritti di chi invece ha avuto la ventura di abitare in territori disgraziati. La nazione diventa così matrigna per alcuni cittadini e per alcune aree che hanno la colpa di essere cresciute meno di altre.

Per esempio, sottolinea Guido Leone che ha diretto per anni l’Ufficio Scolastico Regionale, se teniamo conto che il gettito fiscale del Veneto è il doppio del gettito fiscale della Calabria ci rendiamo conto che una scuola o un ospedale del Veneto riceverebbe un finanziamento doppio a quello della Calabria, con la conseguenza di una compressione violenta dei diritti primari, costituzionalmente garantiti (diritto all’istruzione, diritto alla salute, ecc.) dei cittadini calabresi.

È fondata, perciò, la preoccupazione che una deriva regionalistica del sistema di istruzione possa accentuare gli squilibri già oggi esistenti fra le diverse aree territoriali del Paese, con esiti ancor più penalizzanti per quelle economicamente e socialmente più in sofferenza come la Calabria nei suoi vari servizi alla persona. Quali gli effetti di una simile manovra sulla scuola?

Dice ancora Leone: ‘’non avremmo più un unico sistema nazionale di istruzione ma tanti sistemi regionali quante sono le Regioni con autonomia differenziata. I soldi di cui ogni amministrazione scolastica potrà disporre verrebbero determinati in rapporto al reddito pro capite della regione di appartenenza a tutto vantaggio delle Regioni del Nord che godono mediamente di una ricchezza doppia rispetto alle regioni meridionali come doppio è mediamente il PIL, tra il Nord e il Sud. Il Ministero dell’Istruzione verrebbe svuotato e depotenziato delle sue principali funzioni e dei suoi apparati direzionali e ispettivi, senza più un unico centro di programmazione e indirizzo nazionale per le riforme; senza più un coordinamento centrale dei processi di cambiamento e un controllo ispettivo centrale della gestione educativa’’.

Con l’istruzione regionale sarebbe negato l’esercizio del diritto allo studio in maniera uguale su tutto il territorio nazionale e si realizzerebbe un doppio regime fra quello nazionale e quello regionale. Le scuole si differenzierebbero sempre più radicalmente, il divario Sud-Nord non potrebbe che aumentare, la diffusione uniforme di scuole dell’infanzia e tempo pieno sarebbe definitivamente negata, il valore legale del titolo di studio sarebbe compromesso e le regioni potrebbero decidere autonomamente su programmi, strumenti e risorse.

Proprio il contrario della direzione verso cui tende il PNRR che investe il 40% delle risorse nel sud del Paese finalizzato al superamento delle disparità e degli squilibri ancora persistenti tra le varie regioni.

Per queste ragioni il progetto governativo di autonomia differenziata va contrastato e sconfitto con la più ampia partecipazione possibile. L’istruzione deve rimanere statale e nazionale con pari livelli delle prestazioni, senza condizionamenti di natura politica e quindi fuori da qualunque percorso di autonomia differenziata. La nostra comunità non può tollerare che un diritto fondamentale come quello dell’istruzione possa essere esposto a forme di razzismo territoriale. Il mondo della scuola, docenti, studenti, personale scolastico tutto, più esposto a questi processi pseudo riformatori che minano l’unità culturale della nazione dovrebbe dunque reagire e insieme a difendere l’autonomia delle loro scuole e a salvaguardarne i valori di democrazia e solidarietà, sotto l’egida della Costituzione. Ma non ci sembra che lo faccia. Chiarezza e coerenza ci vorrebbe anche dal mondo politico e soprattutto istituzionale ai livelli più alti, ma come si e’ detto nulla di nuovo sotto il sole.

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