Fu l’estate sarda di Putin e Berlusconi: vacanze al mare in assetto da guerra

Agosto 2003. L’incrociatore lanciamissili Moskva e il cacciatorpediniere Smetlivj gettano le ancore nella baia di Santo Stefano, nell’arcipelago di La Maddalena. All’epoca le due navi militari russe erano la punta di diamante della flotta del Mar Nero, la cui base navale si trova a Sebastopoli sin dal lontano 1783, fondata dal principe Grigorij Aleksandrovič Potëmkin (che diede il nome alla corazzata resa nazional popolare da Fantozzi). L’approdo del Moskva e dello Smetlivj è un evento storico rimasto, sinora unico: dalla rivoluzione d’Ottobre nessuna nave con l’Aquila Imperiale o la Stella Rossa ha mai avuto accesso al Sancta Sanctorum della Nato, quella la base navale blindata, con relativo deposito di armamenti di ogni genere,  che per oltre trent’anni, a partire dal ’72, è stata ad esclusivo appannaggio della Marina militare americana. La Us Navy in acque sarde.

L’occasione per tale dispiegamento di forze venne fornita dalla visita che il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, fece in Sardegna all’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Basta qualche numero: la Moskva possedeva – e possiede tutt’ora – la capacità di lanciare sedici missili antinave Ss-N-12 Sandbox. Si tratta di un razzo che nel 2003 poteva trasportate testate nucleari da 350 kilotoni, ora sostituite da una tonnellate di esplosivo convenzionale

Krasivyy, ochen krasivyy!“. Bello, bellissimo!, aveva esclamato Vladimor Joseph Mazorin, l’ammiraglio della flotta russa (l’ultimo ufficiale di marina ad aver ricevuto tale incarico) non appena scorse il granito dell’arcipelago maddalenino. Mazorin rimase estasiato nel vedere le sculture di pietra scolpite dal vento. È stato lui il primo militare delle forze non alleate a trovarsi a poche centinaia di metri dalla inviolabile e super segreta base statunitense che, durante la Guerra fredda, era stata la spina nel fianco e il deterrente mediterraneo contro l’ex Armata Rossa.

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Certo, all’alto ufficiale russo toccò in sorte quel passaggio avendo a disposizione una potenza di fuoco impressionante: sedici tubi lanciamissili, quattro torrette armate di cannoni a prua, cannoncini antiaerei e chissà quali altri armamenti. Tuttavia agganciò il primato, anche se gli americani non restano indifferenti. Per evitare eventuali interferenze e su diretta disposizione del Pentagono, la Us Navy ordinò di far salpare le ancore alla Emory Land, la gigantesca nave officina che nella base di Santo Stefano forniva assistenza logistica e tattica ai sottomarini atomici di classe Los Angeles. Gli arcinoti ‘hunter killer” della Marina a stelle e strisce.

L’ancoraggio concesso dal governo italiano alle due navi della federazione russa fece storcere il naso all’allora presidente Usa George Bush Jr., ma anche al capo di Stato francese, Jacques Chirac. I due non avevano condiviso l’iniziativa intrapresa dal premier italiano, tuttavia dovettero ingoiare il rospo. Anche se sul Moskva e sullo Smetlivj, in segno di rispetto per la cortesia di Berlusconi, vennero tenuti spenti i potenti radar e i sistemi di disturbo elettronico. Un gentile omaggio anche ai francesi, non fosse altro che tra Sardegna e Corsica il confine tra le acque territoriali dei due Stati coincide.

La gentilezza, comunque, fu apparente più che totale. Da ambo le parti. Perché i controlli, reciproci, non si fermarono: li fecero sia i satelliti spia della Nasa americana che quelli in dotazione alla Fsb, ovvero l’ex Kgb di cui il colonello Putin fu uno degli ultimi dirigenti.

Putin, ovviamente, non atterrò da sola in terra sarda. In quella torrida estate due aerei Tupolev della Federazione russa portarono all’aeroporto Costa Smeralda di Olbia lo staff diplomatico del presidente e uno stuolo di agenti dei servizi segreti, incaricati di proteggere il premier russo e la sua famiglia: l’allora moglie Ludmilla Putina e le figlie Mascia e Katia.

La ex first lady della Russia e le sue ragazze vennero ospitate a Porto Rotondo, nella mega villa di un magnate russo diventato in seguito sindaco di Mosca. È la stessa maison nella quale l’ex presidente Boris Eltsin, nell’agosto del 2005, si ruppe il femore scivolando in piscina. Lo ‘zar’ Vladimir Putin, appena saputa la notizia, non restò a guardare, ma a disposizione del suo mentore e predecessore mise a disposizione i servizi segreti e l’aereo di Stato perché Boris potesse fare subito rientro in patria.

Giampiero Cocco

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