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A partire dagli anni trenta le intuizioni pionieristiche furono incanalate in progetti più concreti, come la
costruzione di un vettore in grado di portare uomini e mezzi al di fuori del pianeta. Un primo tentativo
riuscito risale all’Americano Robert Goddard, che aveva fatto volare un primo razzo a propellenti liquidi già
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nel ’26, ma saranno i Tedeschi sotto la guida di Wernher von Braun (1912-1977) a giungere durante la
guerra alla costruzione dei primi missili balistici, i famigerati V-1 e V-2. Nello stesso tempo sempre i
Tedeschi pensavano ad un‘applicazione militare dello specchio solare di Oberth, battezzata Sun Gun. Nel
’45 fu invece Arthur C. Clarke a rifarsi al progetto di Noordung, proponendo la sistemazione di tre basi in 2
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orbita geostazionaria intorno all‘equatore ad un‘altezza di 42000 km e distanziate di 120° ciascuna, in
modo da funzionare come dei ripetitori per le telecomunicazioni. Lo stesso von Braun all‘inizio degli anni
’50, ormai trasferito negli USA e dipendente dell‘esercito, progettò una stazione spaziale circolare,
cosiddetta ruota, che secondo i suoi progetti sarebbe stata il primo passo per la conquista della Luna.
La propulsione a razzo
I viaggi spaziali divennero però possibili solo quando le scoperte del XX secolo fornirono le basi per gli
sviluppi della propulsione a razzo e dei sistemi di guida e di controllo degli stessi veicoli spaziali. Come
detto, il primo razzo a propellente liquido venne lanciato con successo il 16 marzo 1926 dal fisico
statunitense Robert Goddard e nello stesso periodo accurati studi sulla propulsione, anche applicati
all'esplorazione dello spazio, vennero condotti da fisici e scienziati di molte parti del mondo. Il primo missile
moderno venne però realizzato da Wernher von Braun e trasformato immediatamente nella terribile arma
da guerra divenuta tristemente famosa con il nome di V2. La seconda guerra mondiale diede infatti un
considerevole impeto allo sviluppo di razzi suborbitali a grande gittata a scopo militare: Stati Uniti, Unione
Sovietica, Gran Bretagna e Germania svilupparono contemporaneamente vari razzi, una parte dei quali
venne utilizzata al termine del conflitto per voli sperimentali.
I motori dei razzi utilizzati per il lancio di veicoli spaziali sono principalmente di due tipi: a propellente solido
e a propellente liquido. I primi impiegano prodotti chimici che bruciano in modo simile alla polvere da
sparo, mentre nel secondo caso vengono usati carburanti liquidi e ossidanti in serbatoi separati. Poiché la
tecnologia di costruzione dei vettori spaziali è molto simile a quella dei missili balistici a lunga gittata, tra il
1957 e il 1965 gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica furono i soli due paesi ad avere la possibilità di lanciare
satelliti.
2 Ingegnere statunitense di origine tedesca, noto per aver progettato il razzo a combustibile liquido. Si laureò in fisica all’università di Berlino nel 1934
e dal 1937 al 1945 diresse il centro di ricerche sui razzi di Peenemünde, sul mar Baltico, con l’incarico di mettere a punto il V-2, un razzo a lunga
gittata e combustibile liquido. Nel 1945 si stabilì negli Stati Uniti dove partecipò, come consulente tecnico, al programma spaziale che si svolgeva a
White Sands, nel Nuovo Messico. Nel 1950 si trasferì a Huntsville, in Alabama, dove diresse per dieci anni il programma missilistico Redstone.
Ottenne la cittadinanza americana nel 1955 e nel 1960 divenne direttore delle operazioni di sviluppo del George C. Marshall Space Flight Center
(NASA) di Huntsville. Fu responsabile della progettazione del missile Saturno V usato, insieme alla navicella spaziale Apollo, nel programma di
sbarco dell’uomo sulla Luna.
3 Orbita in cui il satellite ruota intorno alla Terra nello stesso senso di rotazione di questa, compiendo un giro in 24 ore in sincronismo con la rotazione
della Terra stessa; Il rientro a terra
Un altro problema posto dall’esplorazione umana dello spazio che gli ingegneri dovettero superare prima di
lanciare il primo uomo fu il rientro a terra. Il rientro pone numerosi problemi, in particolare è necessario 3
rallentare la navicella in modo che essa possa atterrare senza essere distrutta dal calore sviluppato per
effetto dell'attrito con l'atmosfera. Nelle navicelle statunitensi Mercury, Gemini e Apollo il problema della
protezione della superficie venne brillantemente risolto per mezzo di uno schermo appositamente
progettato, di metallo, plastica o ceramica: durante il rientro questi materiali fondevano e vaporizzavano,
dissipando il calore in eccesso senza danni per la capsula o per gli astronauti.
Il programma Apollo
Con l'avvio del Programma Apollo nel 1967 iniziava la fase più importante: mettere a punto tutta la
tecnologia necessaria per arrivare sulla Luna. Eppure incombevano sempre due costanti: i Russi con il loro
Programma Spaziale e la fretta di batterli sul tempo. Furono proprio i satelliti spia della CIA ad individuare
una piattaforma di lancio Sovietica con un vettore (l'N1) pronto per il decollo ad accrescere tale disagio. Di
conseguenza l'industria Americana ebbe un surplus lavorativo eccezionale riuscendo a mantenere attiva la
produzione delle numerosissime parti che avrebbero formato il Saturno V, il LEM e tutta la componentistica
informatica di Terra e di bordo. Ovviamente, non si doveva sbagliare nemmeno un pezzo secondario, pena
il fallimento dei lanci stessi!
N1 Saturno V
Comunque l'N1 sovietico esplose in volo, tutte le volte, poco dopo il decollo e gli USA si ritrovarono, per
sfortuna dei Russi, in vantaggio pressoché totale.
Partire, percorrere il tragitto Terra-Luna, atterrare sulla Luna, decollare dalla Luna e tornare sulla Terra
avrebbe richiesto un sistema relativamente "leggero" e agevole; quindi alla NASA si pensò inizialmente di
adottare un unico vettore per tutta la missione. Successivamente si pensò a due vettori che avrebbero poi
svolto in orbita terrestre le manovre di aggancio tra il modulo principale e un secondo modulo lunare. Ma 4
entrambi questi metodi sarebbero risultati troppo pesanti e pericolosi. Che accadde? Un "semplice"
ingegnere di nome John Houbolt, mettendo al tappeto tutta la schiera gerarchica della NASA propose una
soluzione diversa: un vettore unico contenente il modulo principale e un modulo lunare che avrebbero
operato distintamente. Dapprima, nell'orbita terrestre, il modulo lunare sarebbe stato estratto ed
agganciato al modulo principale; successivamente entrambi avrebbero percorso il tragitto Terra-Luna.
Giunti sulla Luna, il LEM sarebbe sceso, mentre il modulo principale doveva restare in orbita; infine,
terminata la fase esplorativa sulla Luna, il modulo lunare sarebbe decollato senza la sua piattaforma base e,
riagganciandosi al modulo orbitale, potevano rientrare sulla Terra. Naturalmente il LEM ed il serbatoio del
modulo principale alla fine si abbandonavano e rientrava in atmosfera solo la capsula abitativa.
Una tecnologia davvero straordinaria , ma non esente da problemi: l'Apollo 1 andò distrutta per un
cortocircuito che fece incendiare la cabina, con i tre membri dell'equipaggio, satura di ossigeno puro ad alta
pressione, per cui il portello non si riuscì ad aprire dall'interno. L'Apollo 13, sempre a causa di un
cortocircuito, rischiò di andare in pezzi perché esplose un serbatoio di ossigeno sul modulo principale
(Odyssey).
Che dire dell'Apollo 11? La missione rischiò di fallire proprio nel momento più culminante, mentre il LEM
era a pochi passi dal suolo lunare! Motivo? Un errore tra i computer e i radar. Pare che la telemetria da
Terra dava valori diversi rispetto a quanto dicevano i computer di bordo. Così il punto previsto di
atterraggio fu perso e, per una botta d'occhio del pilota, si trovò una piccola porzione di terreno adatta per
un atterraggio quasi di fortuna. Oltretutto il carburante stava per finire (mancavano 10 secondi) e la
velocità di discesa era troppo elevata. La missione fu salvata, ancora una volta, grazie ad un personaggio
"secondario" il quale disse di ignorare i dati dei computer e di procedere manualmente.
La Luna dei poeti
Ludovico Ariosto (1474-1533) 5
Orlando Furioso (Canto XXXIV)
Siamo nel XXXIV canto del Furioso: Astolfo in groppa all'ippogrifo vola fin sulla cima del paradiso terrestre
dove viene accolto in uno splendido palazzo da san Giovanni Evangelista, che gli spiega che è giunto fin
lassù per riprendere il senno che Orlando aveva perso inseguendo il desiderio di possedere la bella pagana
Angelica ( Dio l'aveva così punito facendolo uscire di testa). Italo Calvino nel suo racconto del Furioso a
questo punto scrive:
"Nulla mai nell'universo va perduto. Le cose perse in terra, dove vanno a finire? Sulla Luna. Nelle sue
bianche valli si ritrovano la fama che non resiste al tempo, le preghiere in malafede, le lacrime e i sospiri
degli amanti, il tempo sprecato dai giocatori. Ed è là che, in ampolle sigillate, si conserva il senno di chi ha
perduto il senno, in tutto o in parte.”
La Luna quella notte passava proprio vicino alla montagna. Astolfo e san Giovanni Evangelista, salendo sul
carro d'Elia, vedono il corno lunare farsi enorme e la Terra, là in basso, rimpicciolire, diventare una pallina.
Per distinguervi i continenti e gli oceani, Astolfo deve aguzzare le ciglia.
"Passando la sfera del fuoco senza bruciarsi, entrano nella sfera della Luna, d'acciaio immacolato. La Luna è
un mondo grande come il nostro, mari compresi. Vi sono fiumi, laghi, pianure, città, castelli, come da noi;
eppure altri da quelli nostri. Terra e Luna, così come si scambiano dimensioni e immagine, così invertono le
loro funzioni: vista di quassù, è la Terra che può essere detta il mondo della Luna; se la ragione degli uomini
è quassù che si conserva, vuol dire che sulla terra non è rimasta che pazzia" (Orlando Furioso raccontato da
Italo Calvino, Einaudi, pagg. 219-220).Leggiamo le ottave a cui si riferisce Calvino:
Tutta la sfera varcano del fuoco,
et indi* vanno al regno de la luna. *da qui
veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar* che non ha macchia alcuna; * come un acciaio
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò che in questo globo si raguna,* * è raccolto
in questo ultimo* globo de la terra, * il più lontano da Dio nel sistema tolemaico
mettendo* il mar che la circonda e serra**. * comprendendosi ** chiude
Quivi ebbe Astolfo doppia maraviglia:
che quel paese appresso* era era sì grande, * visto da vicino
il quale a un picciol tondo rassomiglia
a noi che lo miriam da queste bande*; * da queste parti, dalla terra
e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s'indi la terra e 'mar ch'intorno spande
discerner vuol*; che non avendo luce, *se vuole distinguere la terra e il mare che si spande
l'imagin lor poco alta si conduce*. * poiché non avendo la terra e il suo mare luce
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi* *loro
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor* cacciano belve. *continuamente
Non stette il duca a ricercare* il tutto; *esplorare
che là non era asceso a quello effetto* *scopo. 6
da l'apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto* *raccolto
ciò che si perde o per nostro difetto,
per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, là si raguna* *si raccoglie
Non pur* di regni o di ricchezze parlo, *soltanto
in che la ruota instabile lavora;* * sui quali l'instabile ruota della Fortuna opera
ma di quel ch'in poter di tor, di darlo
non ha Fortuna, intender voglio ancora*. *ma voglio anche intendere di ciò che il caso non
Molta fama è la su, che, come tarlo, ha il potere di togliere o di dare
il tempo a lungo andar qua giù divora:
là su infiniti prieghi* e voti stanno, *preghiere
che da noi peccatori a Dio si fanno.
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l'inutil tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo di uomini ignoranti,