fimottadiovatta
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IL PRIMO NOVECENTO
Nell’Italia del primo novecento, ancora fortemente arretrata, vediamo man mano uno sviluppo industriale che porta all’affermarsi del proletariato, e a un’emigrazione interna, dalle campagne alle città. Con l’avvento del governo Giolitti la situazione migliorò, egli vara importanti provvedimenti a tutela di lavoratori, donne e bambini, si ha un netto miglioramento dell’economia, una modernizzazione dei paesaggi cittadini grazie anche alla diffusione dell’elettricità, ma comunque i problemi sociali non si possono considerare risolti, poiché aggravano, soprattutto con lo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914, a cui l’Italia parteciperà nel 1915.
Prima di decidere per l’interventismo vi erano comunque contrapposizioni tra neutralisti e interventisti, però prevalsero gli ultimi, tra i quali vi erano nazionalisti, che volevano affermare l’Italia come potenza egemone, irredentisti che volevano liberare città dall’Austria, intellettuali come D’Annunzio che vedevano nell’intervento una sorta di riscatto. Nel primo novecento vi è il tramonto del positivismo, e l’affiorare di nuove teorie e tendenze:
• La teoria della relatività di Einstein, la quale dimostra che anche le scienze ritenute vere si fondano su presupposti relativi.
• L’avvento di Nietzsche che respinge i facili ottimismi del progresso e della storia.
• L’avvento di Bergson che insiste su una concezione dinamica e in continuo divenire della realtà, in cui la vita è intesa come slancio vitale, in perenne creazione.
• L’idealismo di Croce, il quale crede che l’opera d’arte è intuizione pura, espressione del sentimento, è autonoma, non è prodotto di circostanze sociali e ambientali come credeva il Positivismo.
• La psicoanalisi di Freud, il quale afferma che la vita psichica è condizionata dall’inconscio, che sfugge alla coscienza.
Gli stimoli che derivano da tutti questi atteggiamenti spingono l’uomo all’esigenza di rinnovamento, e gli intellettuali sentono il bisogno di intervenire nella vita nazionale, infatti si crea il “partito degli intellettuali” i cui maggiori esponenti sono Papini e Prezzolini, che vogliono trasformare la cultura e la letteratura italiana ma vogliono anche apportare miglioramenti alla società tramite critiche.