La tomba di Sennedjem a Deir el-Medina

Nel 1886 il console spagnolo in Egitto penetrò nella tomba inesplorata dell’artigiano Sennedjem, decorata con eleganti pitture

Cappella funeraria di Sennedjem vista da dietro, con il villaggio di Deir el-Medina sullo sfondo

Cappella funeraria di Sennedjem vista da dietro, con il villaggio di Deir el-Medina sullo sfondo

Foto: Toni Espadas

Erano le cinque di pomeriggio del primo febbraio del 1886.Eduard Toda, 31 anni, nativo di Reus (Tarragona) e dal 1884 console generale di Spagna in Egitto, si trovava a Luxor insieme al suo caro amico Gaston Maspero – direttore del Museo egizio del Cairo e del Servizio reperti archeologici egiziani – e ad altri illustri egittologi. Era da settimane che viaggiavano lungo il Nilo a bordo del battello Bulaq, ammirando i magnifici monumenti del Paese. Quel giorno, mentre tornavano da una visita al tempio di Karnak, gli si avvicinò un beduino «dall’aria misera» (secondo le parole di Toda). L’uomo voleva informare Maspero della scoperta di quella che pareva essere una tomba intatta nella necropoli dell’antico villaggio dei costruttori delle tombe reali, Deir el-Medina, situato sulla sponda occidentale del Nilo. Salam Abu Duhi, così si chiamava il beduino, aveva chiesto una settimana prima l’autorizzazione per effettuare scavi nell’area della necropoli tebana contigua a Gurna, il suo villaggio natale. Il permesso gli era stato concesso perché si riteneva che in quella zona non ci fosse nulla di interessante. Maspero inviò immediatamente un rais (guardiano del museo) sul luogo del ritrovamento, per evitare che durante la notte i ladri potessero sottrarre degli oggetti di valore dal sepolcro.

Eduard Toda travestito da mummia nel museo di Bulaq, al Cairo, nel 1885

Eduard Toda travestito da mummia nel museo di Bulaq, al Cairo, nel 1885

Foto: Gérard Blot/Rmn-Grand Palais

Una tomba intatta

Il giorno seguente Maspero, Toda e il resto della missione scientifica si diressero a Deir el-Medina e raggiunsero le tombe che ricoprivano il pendio della collina immediatamente a ovest del villaggio. Avanzarono quindi tra le rovine, che ostacolavano la marcia a ogni passo. Toda riferì che lungo il cammino si imbatterono in frammenti di vasellame, sudari e teschi sparsi sulla sabbia, che descrisse come «disgustosi resti di cui pascevano le iene o gli sciacalli del deserto». Della cappella funeraria situata all’esterno della tomba non restava nulla. Tuttavia, tra i cumuli di macerie Toda e gli altri individuarono l’accesso a un pozzo di quattro metri di profondità, che si apriva nella bianca roccia calcarea. Questo era rimasto nascosto dai detriti delle tombe vicine, salvandosi così dai saccheggi. In fondo al pozzo scorsero l’entrata a una galleria che scendeva per due metri su un piano inclinato e portava a un’anticamera e a un corridoio scavato nella roccia viva.

Con grande emozione scoprimmo in fondo a quest’ultimo corridoio l’ingresso della camera funeraria, nella cui cornice di pietra rimaneva intatta la porta di legno chiusa dal sacerdote dopo avervi depositato dentro l’ultimo cadavere

Era evidente che si trovavano di fronte a una tomba ancora inesplorata. Gli archeologi ruppero il sigillo di argilla con l’effigie del dio Anubi, l’architrave e il montante che sostenevano la porta e penetrarono all’interno della camera mortuaria. Ciò che videro li stupì profondamente: il pavimento era ricoperto di mummie. Undici si trovavano per terra mentre nove erano deposte in sarcofagi di legno. Tra queste, in una bella bara policroma, c’era il titolare della tomba, Sennedjem, un artigiano vissuto durante la XIX dinastia, sotto i regni di Seti I e di suo figlio Ramses II.

Sarcofago esterno di Khonsu, figlio maggiore di Sennedjem, decorato con il capitolo 17 del Libro dei morti

Sarcofago esterno di Khonsu, figlio maggiore di Sennedjem, decorato con il capitolo 17 del Libro dei morti

Foto: Bridgeman/Aci

Sul suolo erano sparsi vasi di ceramica, pane, frutta, fiori secchi e suppellettili del corredo funerario. Maspero incaricò Toda di documentare, asportare e inventariare il contenuto della tomba. Il giovane console spagnolo ricevette quest’incarico perché aveva dimostrato grande interesse per l’antico Egitto, tanto che aveva imparato anche a decifrare i geroglifici. Innanzitutto Toda caricò le mummie sul Bulaq per trasportarle poi al museo del Cairo.

Dei venti cadaveri rinvenuti nel sepolcro, i nove chiusi nei sarcofagi di legno erano perfettamente conservati e fu possibile trasportarli senza problemi fino all’imbarcazione. Non così gli altri undici, che, gettati disordinatamente a terra, […] si disfecero tra le mani degli arabi che avevano cercato di sollevarli

Tuttavia, ciò che più attirò la sua attenzione fu la bellezza delle pitture della camera funeraria, uno dei migliori esempi di Deir el-Medina. I muri erano coperti di dipinti di grande qualità tecnica ed eccellente fattura. Vi erano testi e scene del Libro dei morti, immagini della mummia di Sennedjem sdraiata su un letto funebre dentro un santuario, sacerdoti intenti a fare offerte e divinità funerarie come Anubi. E ancora, immagini del defunto e di sua moglie che arano e mietono i campi dell’aldilà.

Sennedjem e sua moglie, inginocchiati sulla tomba e vestiti con abiti festivi

Sennedjem e sua moglie, inginocchiati sulla tomba e vestiti con abiti festivi

Foto: Dea/Album

Poco dopo il ritrovamento, Eduard Toda pubblicò il suo lavoro con le foto della tomba. Ciononostante, la sua carriera di egittologo fu di breve durata: lo stesso anno della scoperta fu trasferito in un’altra sede. In ogni caso, Toda era riuscito a realizzare quello che per molti sarebbe rimasto solo un sogno: essere il primo egittologo a documentare una tomba intatta dell’antico Egitto.

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