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Wall di Cam Christiansen con David Hare apre ufficialmente il 4° Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo

Wall di Cam Christiansen è una riuscita ibridazione tra documentario e animazione che racconta la vita ai tempi del muro tra Israele e Cisgiordania

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Wall di Cam Christiansen ha aperto ufficialmente il 4° Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo che si tiene a Milano in questi giorni, alla presenza dell’attrice Lorenza Indovina, madrina della manifestazione, e del direttore Francesco Bizzarri. Ospiti d’onore della serata il regista e David Hare, interprete del film, intervistati, alla fine della proiezione, dal direttore artistico di Visioni dal Mondo Fabrizio Grosoli.

Wall è una pellicola molto particolare e originale: un documentario che utilizzando la tecnica del motion capture ha trasformato i movimenti dei corpi e dei volti degli attori ripresi frontalmente per utilizzare poi l’animazione digitale. Il risultato è alquanto sorprendente e unico nel suo genere, non potendo paragonare Wall a opere precedenti che hanno utilizzato lo stesso procedimento per i mezzi limitati a disposizione e il lavoro artigianale e certosino eseguito dal regista canadese, che ha dedicato otto anni della sua vita per la realizzazione dell’opera. Un lavoro “sartoriale”, come ha testimoniato lo stesso David Hare, interprete principale e sceneggiatore del film tratto da un suo monologo teatrale del 2009.

Il film parla della costruzione del Muro intorno ai territori occupati della Cisgiordania iniziato subito dopo l’ultimo attentanto avvenuto a Tel Aviv nel 2001, in cui un giovane palestinese si fece saltare in aria in una discoteca uccidendo 81 ragazzi e ferendone altri 182. La reazione degli israeliani fu, appunto, la costruzione lungo tutto il territorio di una barriera composta da piastre di cemento, filo spinato, torrette di avvistamento, check point permanenti, creando una militarizzazione permanente del territorio e cambiandone lo spazio geografico.

David Hare è la voce narrante e il protagonista di un diario di viaggio all’interno di questo territorio, dove incontra lo scrittore David Grossman a Gerusalemme, discute della situazione e del significato del muro con un gruppo di amici israeliani, ma soprattutto compie un viaggio all’interno della Cisgiordania (West Bank), con un amico inglese e un conoscente palestinese, con la scusa di mettere in piedi uno spettacolo interculturale a Londra. Il viaggio si dipana tra Nablus, importante centro commerciale, ma ormai in decadenza per l’isolamento a cui è sottoposta è le grandi difficoltà a raggiungerla, e Ramallah, capitale politica dell’Autorità palestinese.

Il valore aggiunto del soggetto fornito da Hare – ricordiamo, drammaturgo, sceneggiatore, regista (Orso d’oro al Festival di Berlino nel 1985 per Il mistero di Wetherby) – sta proprio nella narrazione di una situazione in cui tutti sono sconfitti: da un lato, gli israeliani che si circondano di una barriera per un senso di protezione, per tenere fuori le persone, di cui i personaggi dichiarano di vergognarsi, ma che è efficace, visto che gli attentati sono drasticamente diminuiti; dall’altro, i palestinesi che si ritrovano in prigione, con libertà di movimento condizionata, un’economia strozzata dalla mancanza di qualsiasi scambio commerciale e sociale. Il muro diventa così un simbolo materiale di un fallimento generale, oltretutto metafora di tutti i muri che si stanno alzando nel mondo per tracciare una linea di divisione tra un dentro e un fuori. La sceneggiatura di David Hare di Wall è molto equilibrata, lavora per contrapposizione, facendo parlare i personaggi, oppure per sineddoche: come la strage della discoteca per tutti gli attentati e il clima di perenne timore di attacco degli israeliani; o come la visita al più famoso caffé di Nablus, una volta pieno di gente, e adesso decadente, con pochi avventori, o alla visita al mercato semideserto, a rappresentare una società un tempo fiorente e ormai sprofondata in una crisi economico-sociale e politica di cui non si vede soluzione.

Certo, Wall è raccontato dal punto di vista dello stesso commediografo, che presta corpo, volto e voce (anche se camuffato dall’animazione), ma in modo piano, per capitoli, diviso in due parti (tra una rappresentazione della vita in Israele e una in Cisgiordania) come è diviso il territorio in due stati. Fanno eccezione solo due momenti in cui il punto di vista da osservatore neutrale prende posizione: il primo, lo abbiamo nel giudizio negativo della trasformazione di Gerusalemme in una città dove il cemento e le nuove costruzioni hanno cambiato il volto della città ed eliminato tutto il suo antico fascino; il secondo, nel caffé di Nablus, dove è appeso al muro un ritratto di Saddam Hussein, in cui condanna il falso mito del modello eroico per i Palestinesi (“Si è ribellato agli americani” dice il suo interlocutore), declamando con forza, le brutalità e le stragi compiute dal dittatore nei confronti degli arabi.

Il secondo valore aggiunto di Wall è la sua immersione nell’animazione compiuta da Christiansen, che al di là degli aspetti tecnici e del lavoro di cui abbiamo parlato sopra, vogliamo evidenziare gli aspetti stilistici. Una certa meccanicità e lentezza dei movimenti dei personaggi, il tratto dalle linee geometriche dure e spigolose, l’utilizzo della monocromia (un grigio utizzato in tutte le sue sfumature) – dovute ai limiti tecnici con cui il regista ha dovuto fare i conti – se, da un lato, sono una scelta che massimizza il risultato del prodotto, dall’altro risultano forma che rappresenta visivamente e immediatamente il mondo soffocato, paludato, ingabbiato, in cui due popoli si sono condannati a vivere. Un mondo, appunto, grigio nel suo quotidiano sentire che si esprime nel cromatismo dell’animazione. Ciò permette, alla fine, la possibilità dell’esplosione del colore, attraverso l’animazione dei graffiti dal lato palestinese del muro, in una rappresentazione pacifica e forte della protesta delle condizioni di vita. E l’animazione, il disegno, permette la disgragazione del muro stesso, di creare una falla. In questo senso, l’utilizzo dell’animazione diviene un’arma in cui la fantasia è produttrice di futuro e speranza, di trasformazione della realtà, al di sopra del camuffamento effettuato dal disegno digitale.

Insomma, Wall di Cam Christiansen è un’interessante e riuscita opera-manifesto in cui la forma produce contenuto (e viceversa) per dimostrare allo spettatore che i muri (fisici e mentali) che si innalzano intorno a noi non portano che a un impoverimento generale, affogando in un falso senso di sicurezza.

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  • Anno: 2017
  • Durata: 82'
  • Genere: Documentario, Animazione
  • Nazionalita: Canada
  • Regia: Cam Christiansen