Sab. Apr 20th, 2024

La trasmissione Nemo ricostruisce il retroscena che ha portato alla morte del giornalista slovacco, Jan Kuciak. Antonino Vadalà, uno dei calabresi arrestati e poi rimesso in libertà, si difende: «Sono stato usato come parafulmine dal governo» .

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LAMEZIA TERME È avvolta dal mistero la linea sottile che collega la Calabria e la Slovacchia. Ma ad oggi l’unica certezza è che due giovani 27enni hanno perso la vita, uccisi nella loro casa da una mano ignota. Uno dei due era anche un giornalista che aveva provato a capire quei rapporti poco chiari che legano due realtà così diverse. “Nemo – Nessuno escluso”, il programma di approfondimento di Rai2, nella puntata di venerdì 8 marzo, ha provato a ricostruire la vicenda. Una racconto che si incrocia tra Bova Marina, in provincia di Reggio Calabria e Michalovce, in Slovacchia. Proprio qui, Jan Kuciak, come raccontato dai giornalisti di Nemo, aveva sulla sua scrivania un libro in particolare: “’Ndrangheta” di Francesco Forgione. Un libro non a caso perché Jan stavo proprio indagando sui rapporti tra i calabresi e i poteri forti del suo paese. C’era anche uno schema della ‘ndrangheta in Slovacchia, dove saltano all’occhio le figure di Antonino Vadalà, Maria Troskova, il premier Robert Fico e il capo della sicurezza slovacco, Viliam Jasan. Poi dopo l’omicidio l’arresto di 10 persone, di cui 7 calabresi. Ma dopo poco più di 48 ore vengono tutti rilasciati per insufficienza di prove. Tra questi c’è anche Diego Rodà, imparentato con Antonino Vadalà perché ha sposato una delle sue figlie. Racconta di come la vicenda possa aver danneggiato la sua immagine. «Le banche e le grosse aziende mi hanno voltato le spalle», spiega al giornalista. Poi spiega dei rapporti di Vadalà con Maria Troskova, sospettati di avere una relazione. «Avevo avvertito mia figlia di tenere gli occhi aperti – racconta ancora Rodà al cronista -. Lui è imprenditore che vale oltre 60 milioni di euro perché è arrivato fin qui facendo imbrogli».
Dopo vari tentativi anche Antonino Vadalà racconta la sua versione. «Non so cos’è la ‘ndrangheta – dice di fronte alle telecamere della trasmissione -. È vero, sono stato accusato di associazione mafiosa ma davanti alla Corte d’appello il comandante del paese testimoniò che non ero io quel Nino Vadalà». «Con Maria Troskova invece – spiega ancora Vadalà al giornalista – c’era un rapporto di amicizia ma non era la mia amante».
Dalla Calabria, anche Giovanni Vadalà, padre dei fratelli arrestati in Slovacchia, cerca di allontanare qualsiasi accusa dando alla giornalista la sua versione dei fatti. «I miei figli sono onesti – spiega ai microfoni -. Non siamo nessuna cosa e non siamo imparentati con il “lupo” (riferendosi agli ‘ndranghetisti, ndr). Qui siamo tanti Vadalà, di tutte le razze». «Ma quali ‘ndranghetisti, che siamo morti di fame. Sono 10 giorni che non dormo, mi hanno portato via anche i fucili – conclude Vadalà rispondendo alle domande della cronista -. Hanno sbagliato i giornalisti e la Procura. Queste sono robe di Stato».

Fonte: corrieredellacalabria.it

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