Il federalismo fiscale non è stato imposto dalla Lega ma da una norma costituzionale
LARINO. Il federalismo fiscale non è stato imposto dalla Lega ma da una norma costituzionale.
L'onorevole Occhionero, riferendosi al ‘regionalismo differenziato’, ha parlato di riforma maldestra e pericolosa perché “favorisce le regioni settentrionali e mette a rischio l’unità nazionale. Dare più autonomia alle Regioni è indispensabile ma bisogna farlo dando pari opportunità e non aumentando distanze che sono già evidenti”. Per il consigliere regionale Scarabeo “si rischia di penalizzare gravemente tutto il Sud d’Italia ed in particolare il Molise. Le Regioni più povere diventeranno sempre più povere a discapito di quelle più ricche”. Se questo è il ‘réfrain’, è necessario fare un passo all’indietro per capire come va il ping-pong sull’'argomento. Anni fa, invitato a ‘Telecamere’ per la questione-Sanità, l’allora Presidente Iorio dichiarò di essere “un federalista convinto”. Ma, mentre pronunciava queste parole, il suo omologo della Regione Veneto Saia sorrideva incredulo perché ricordava quando – nel giugno del 2008 – durante un convegno tenutosi nel Meridione, Iorio disse:”Il modello di federalismo fiscale della Regione Lombardia piace al Ministro Bossi? Bene. Se piace a lui, non piace a noi. Perciò, bisogna sgombrare il campo da idee che non ci appartengono, come quella di punire il Sud e quella di tagliare in due l’Italia”.
Eppure il federalismo fiscale non è un pallino della Lega. E’ una necessità imposta dalla riforma costituzionale varata alla fine degli Anni ‘90 dal Centrosinistra con la ‘Bassanini’, che introdusse nella Costituzione il principio di sussidiarietà, ridisegnando i poteri del Governo centrale e quelli delle amministrazioni periferiche. Fu la più importante ristrutturazione istituzionale dal dopoguerra in poi, una svolta di ammodernamento approvata con soli 4 voti di maggioranza. Dunque è stata la ‘Bassanini’ a preludere al federalismo fiscale, inteso come capacità delle Regioni di governare anche le proprie risorse, fatto salvo il principio di solidarietà nazionale. La riforma ha dato a questi Enti sovraordinati i poteri ma non i soldi, che arrivano da Roma senza controllo: una sorta di rimborso a pie’ di lista. Le Regioni presentano il conto e l’Amministrazione centrale salda.
Si è creata una spirale per cui gli enti virtuosi hanno contenuto i costi, assunto poco personale, sviluppato le competenze con responsabilità; gli altri hanno sperperato, tant’è che ogni anno i Governi hanno dovuto commissariare le gestioni sanitarie del Centro-Sud per tappare i buchi di bilancio. Di contro il federalismo fiscale impone un principio di responsabilità: non si potrà più decidere (con leggi regionali) spese ed investimenti che poi Roma salderà (con i soldi di tutti). Vanno introdotti i criteri del “costo-standard” per le prestazioni sanitarie (anziché del costo storico) e il principio del “fallimento politico“, e gli amministratori incapaci non potranno ricandidarsi. Non si tratta di una rivolta del Nord contro il Sud, ma di un intervento per riportare sotto controllo la spesa pubblica che si è enormemente dilatata con il progressivo trasferimento dei poteri alle periferie: un passaggio previsto dalla Costituzione (e non una richiesta leghista, dunque).
Secondo il prof. Panebianco “le Nazioni sono tutte, storicamente, comunità ‘inventate’. Esistono o non esistono a seconda di quanti credono, o non credono, nella loro esistenza”. La Padania non esiste come nazione, perché il 30% degli elettori del Nord (che votano Lega) lo fanno per il programma economico (meno trasferimenti al Sud), istituzionale (meno burocrazia centrale), di ordine pubblico, e per la capillare presenza del Carroccio sul territorio. E la Padania rappresentava il contenitore simbolico che unificava tutte queste istanze. Tuttavia è emerso drammaticamente il nodo dell’incapacità di risolvere i problemi del Sud. Nessuno, nei 150 anni di unità nazionale, è stato in grado di porvi rimedio. Per questo, dice ancora Panebianco, non è della Padania che ci si deve occupare ma del Mezzogiorno, creando in fretta le condizioni per uno sviluppo autonomo del Meridione. Come ha capito persino il Presidente della Campania De Luca che, da quell’orecchio, non aveva mai sentito.
Claudio de Luca