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27/03/2018 07:24:00

Mafia, Castelvetrano: 11 anni a Rosario Firenze. Condanne lievi per gli altri cinque

E’ stata un’autentica mazzata (considerando che il rito abbreviato prevede lo sconto di un terzo di pena) la condanna a 11 anni di carcere che il gup di Palermo Roberto Riggio ha inflitto al 47enne imprenditore castelvetranese Rosario Firenze per associazione mafiosa, turbativa d’asta e intestazione fittizia di beni. Firenze è considerato dagli inquirenti vicino al clan del boss latitante Matteo Messina Denaro.

Secondo il pm della Dda Carlo Marzella, “Saro” Firenze, per il quale erano stati invocati 12 anni, si sarebbe aggiudicato diversi appalti pubblici grazie all’intercessione di Cosa nostra. Il processo è scaturito dall’operazione antimafia dei carabinieri “Ebano” (14 dicembre 2016). “Saro Firenze – ha, infatti, spiegato il defunto ‘dichiarante’ Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del superlatitante - è il compare di Anna Patrizia Messina Denaro, la sorella di Matteo. A lei consegna i soldi”.

Nella stessa indagine del Comando provinciale dell’Arma era rimasto coinvolto, con l’accusa di turbativa d’asta, anche Salvatore Sciacca, di 45 anni, geometra dell’impresa Firenze, che secondo la Dda avrebbe intrattenuto i contatti con i funzionari “infedeli” del Comune di Castelvetrano. Per lui erano stati chiesti tre anni di reclusione. Il giudice Riggio, però, escludendo l’aggravante dell’agevolazione a Cosa Nostra, lo ha condannato a un anno.

Firenze a Sciacca furono arrestati dai carabinieri del Ros. Sempre per turbativa d’asta sono stati processati anche gli imprenditori Giacomo Calcara, di 40 anni, Benedetto Cusumano, di 70, Fedele D'Alberti, di 43, e Filippo Tolomeo, di 40. Per loro il pm aveva invocato due anni. Il giudice ha, invece, condannato a 10 mesi D’Alberti e Cusumano e ad 8 mesi Tolomeo e Calcara. Anche per loro il giudice ha escluso l’aggravante dell’agevolazione alla mafia. Tolomeo e Calcara, difesi dall’avvocato Francesco Messina, sono stati, inoltre, assolti per uno dei tre appalti contestati. Esprimendo “soddisfazione per l’esclusione dell’aggravante speciale dell’agevolazione a Cosa Nostra e per l’assoluzione per un capo d’imputazione”, l’avvocato Messina ha commentato: “Un giudice berlinese a Palermo ha deciso che a Castelvetrano non tutto è mafia”. L’indagine, condotta dai carabinieri del comando provinciale di Trapani, ha svelato che Firenze, negli ultimi anni, era stato il “ras” degli appalti al Comune. L’uomo di Messina Denaro, secondo gli investigatori, razziava soldi pubblici destinati a lavori piccoli e grandi, con affidamenti diretti o subappalti, una buona percentuale dei guadagni l’avrebbe recapitata al latitante attraverso la sua famiglia. Firenze gestiva il suo potere sui lavori pubblici del Comune di Castelvetrano attraverso le imprese dei fratelli. Due aziende edili di famiglia, il cui valore è stato stimato in sei milioni di euro, gli sono già state sequestrate. Fra i lavori al centro dell’inchiesta, quelli per la realizzazione della condotta fognaria, per la manutenzione ordinaria di strade e fognature, per la demolizione dei fabbricati fatiscenti all’interno dell’ex area dell’autoparco comunale. Il 14 dicembre 2016, il divieto di esercizio di impresa era scattato per Calcara, Cusumano, D'Alberti e Tolomeo. A due fratelli di Rosario Firenze (Giovanni e Massimiliano, di 44 e 41 anni) e a due dirigenti del Comune di Castelvetrano, sospettati di avere aiutato Cosa Nostra ad aggiudicarsi gli appalti, fu invece notificato un avviso di garanzia. Per gli inquirenti è documentata la "persistente vitalità della famiglia mafiosa di Castelvetrano". Saro Firenze sarebbe riuscito, attraverso l'intestazione fittizia delle società ai fratelli, a partecipare alle gare d'appalto per l'assegnazione dei lavori pubblici, come la realizzazione della condotta fognaria nella via Montessori, i lavori di manutenzione stradale del 2014 e la demolizione dei fabbricati fatiscenti all'interno dell'ex autoparco comunale di Piazza Bertani. Dopo essere stato raggiunto da una interdittiva antimafia, aveva infatti ceduto, fittiziamente secondo l’accusa, l’impresa ai fratelli. E sempre nonostante l’interdittiva, era riuscito a restare iscritto nell’elenco delle imprese di fiducia del Comune di Castelvetrano.