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14/10/2018 06:00:00

Tu quoque, Francesco, papa nostro?

    [Ogni domenica, da oggi, i lettori di Tp24.it potranno gustare le osservazioni critiche di Sélinos,  che è pseudonimo di un noto giornalista e scrittore italiano.]

Diceva l'abate Dinouart che si dovrebbe parlare solo per dire cose che valgano più del silenzio. E  il proverbio cinese suggerisce che prima di parlare, su qualsiasi argomento, si dovrebbe arrotolare la lingua almeno sette volte. Ma alle antiche saggezze, si sa, nessuno presta più ascolto. In tutto il mondo è ormai una gara spietata a chi le spara più grosse. È una corsa dissennata allo sproloquio, al turpiloquio, al grido mendace e al sibilo minaccioso, al fragore delle reazioni verbali incontrollate, ovviamente favorite dalla dinamica feroce dei cosiddetti social network, Facebook, Twitter e compagnia martellante.

Le cronache offrono senza tregua esempi copiosi di questa possessione diabolica universale. Nei vecchi e nei nuovi continenti, sempre meno sono quelli che si salvano dal contagio, e non vengono sopraffatti dal diavolo cornuto della esternatio precox. Tanto per andare su un antipasto leggero, da un sito di gossip apprendiamo per esempio che l'attrice americana Linda Gray – la celebre Sue Ellen di “Dallas”, silente fin da prima della caduta del muro di Berlino – qualche giorno fa ha aperto bocca per proclamare il diritto delle donne ad avere sempre l'orgasmo. Perché l'orgasmo, dice lei, è una cosa “importantissima”. E siamo d'accordo, ci mancherebbe altro. Alla faccia del bicarbonato, direbbe Totò. Ma il punto è che Linda – 78 anni suonati –  si riferisce a se stessa, e per ovvia estensione alle donne già avviate oltre la meta delle ottanta candeline. Il che vorrebbe dire,  se il buon senso non c'inganna, che i loro amanti o mariti ultraottantenni, per soddisfare quel “diritto” avrebbero il “dovere” di amare le loro vecchiette con la stessa energia focosa di quando  avevano la metà dei loro anni. Impresa che nemmeno l'uso combinato del viagra e del pervitin (la famigerata droga euforizzante di cui s'ingozzavano le truppe d'assalto di Hitler) sarebbe in grado di garantire.

(E d'altra parte, la gloriosissima fine del povero Zanza – il super stallone riminese fulminato da un infarto all'età di 63 anni mentre faceva l'amore con una ragazza ventenne – dovrebbe suggerire in tali approcci una certa prudenza a tutti i maschi da un po' di tempo in pensione. A meno di non credere che quello si possa considerare il modo più bello per andarsene al creatore).

Ma lasciamo perdere l'America: dovremmo aprire sennò il fosco capitolo di Donald Trump. E ci sarebbe da scrivere un dossier troppo lungo sulle fesserie abominevoli che quell'esimio parrucchino impomatato ci propina con la stessa frequenza delle eruzioni stromboliane. Limitiamoci al nostro Paese. E perché? Perché noi italiani siamo senza ombra di dubbio gli esemplari di Homo Insipiens più cialtroni del globo. Quelli che perdono sempre le migliori occasioni per restarsene zitti. Quelli che nell'arte dello sfogo verbale, delle battute triviali, delle cretinerie, delle fanfaronate e delle chiacchiere a vanvera non conoscono rivali. Vogliamo riepilogare solo alcune delle “voci dal sen fuggite” dei nostri compatrioti in tempi più o meno recenti? In rapidissima sintesi, per non annoiare con la moviola del déja vu:

Rocco Casalino (osceno): “Mi salta il Ferragosto” (per il crollo del ponte di Genova).

Mario Giordano (gihadista): “La legge è sacra” (ma solo quella che inchioda i suoi odiati avversari politici).

Diego Fusaro (stalinista): “Demofoba turbomondialista” (insulto riferito a una giornalista del Corsera che osava garbatamente criticare la politica immigratoria di Salvini).

Matteo Salvini (maschio littorio): “Me ne frego”. E anche: “Tireremo diritto”.

Luigi Di Maio (apocalittico): “Occorre l'impeachment di Mattarella per evitare reazioni del popolo”.

Luigi Di Maio (onnisciente): “Il nostro corpo è composto al 90 per cento di acqua”.

Danilo Toninelli (visionario): “Le merci corrono nel tunnel del Brennero”.

Matteo Renzi: (iperattivo) “Stiamo costruendo il tunnel del Gottardo”.

(Detto per inciso: questa storia dei tunnel porta una sfiga particolare ai nostri politici, basti rammentare l'epica, ancora oggi insuperata affermazione dell'ineffabile ministra Gelmini sull'esistenza di un tunnel Svizzera-Gran Sasso).

Ma ora basta, per carità. Perché queste cose, in fondo, fanno ridere fino a un certo punto. Il tentativo di sghignazzare si muta subito in avvilimento, al pensare che questi sono i signori che governano le opinioni del popolo. Eppure... Eppure un'ultima, tristissima parola va pur detta (dopo non sette ma settanta arrotolamenti di lingua) sull'anatema pronunciato pochi giorni fa da papa Francesco in tema di aborto. Sua Santità ha definito “sicari” i medici e gl'infermieri che lavorano nelle unità ospedaliere dedicate alle interruzioni di gravidanza. Sono migliaia in Italia e nel mondo. Lo fanno non per gioia o per sadismo omicida, ma per obbedire a delle leggi di Stato. Lo fanno per le molteplici e ben note e gravi ragioni che in passato generavano il fenomeno drammatico e sovente letale dell'aborto clandestino. Santità, lei compie benissimo il suo dovere pastorale nel combattere eticamente la piaga dell'aborto. Ma apostrofare come “sicari” quei medici e quegli infermieri, gettando benzina sul fuoco su un tema così lacerante, è stato un errore.

E allora, per finire, e per sdrammatizzare un po', ecco la morale della favola valida per tutti, nella pura tradizione siciliana:

Sutta u lettu da za' Cicca

c'è un rinale di merda sicca:

cu primu parla si la licca!

Chi ha orecchie per intendere, intenda. O taccia per sempre.

 

Sélinos