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22/11/2018 23:08:00

Marsala, la rappresentazione teatrale Marikhaide di Motya per L’immaginario simbolico…

Il 27 ottobre 2018, al Teatro Comunale “E. Sollima”, è andata in scena la rappresentazione teatrale Marikhaide di Motya, nell’ambito del 18° Seminario Itinerante “L’IMMAGINARIO SIMBOLICO”© 7° Workshop-Expo IL FEMMINILE E L’IMMAGINARIO.   

Di Alfredo Anania. Se la mitologia è frutto di sogni/fantasie/incubi collettivi di un popolo è evidente che la conoscenza della mitologia ha una grande utilità nell’aiutarci a riflettere su noi stessi e a comprendere aspetti inconsci della nostra psiche collettiva. Esistono anche miti moderni; la mitopoiesi non termina mai. Una trasformazione della realtà (fatti, persone, eventi, contesti culturali) può produrre ed essere rappresentata attraverso un racconto mitico collettivo e/o da immagini simboliche.

Se ora tentassimo di rispondere, con un riferimento al mondo attuale, alla domanda su come possa avvenire a livello collettivo la mitopoiesi, il primo evento che mi viene in mente è la caduta delle Torri Gemelle a New York l’undici settembre 2001. È con questo evento incredibile, straordinario, fantascientifico, superante le nostre capacità di immaginare scenari possibili nel mondo reale, che tornano in mente le paure ataviche dell’Altro, dello straniero, del nemico. Paure che nella realtà storica del meridione d’Italia evocano l’antico terrore per le incursioni piratesche dal Maghreb, o in generale la paura nei confronti dei Saraceni, dei Turchi, dei Mori, e più a Nord la paura per le discese dei barbari: gli Unni, i Vandali e così via.

«A partire dal 2007 nei miei Seminari Itineranti “L’IMMAGINARIO SIMBOLICO”© ho introdotto, tra i diversi momenti, anche un metodo sperimentale finalizzato a intrecciare insieme miti del tempo passato, eventi paradigmatici del tempo attuale e vicende umane di ogni tempo che non costituiscono soltanto parte saliente della tradizione romanzesca e della letteratura attuale ma che sono rintracciabili anche nella maggior parte delle creazioni mitologiche. Anzi è proprio nei miti e nella tragedia, non solo greca, che le passioni più bieche - incesti, parricidi, fratricidi e così via - trovano massima espressione narrativa.

La funzione drammatica si esplica nel profondo conflitto di idee e sentimenti, e/o nell’escalation di eventi, che rendono sempre più tragica la situazione vissuta dai personaggi. In questo modo, attori e spettatori sono trasportati in forma mediata sia in un mondo fantastico, impresso dal testo del dramma, sia dentro se stessi, attraverso i processi di identificazione inconscia, quali individui appartenenti ad un gruppo familiare originario (matrice relazionale del Self individuale) e quali appartenenti ad una cultura “contenitore” delle matrici culturali del Self collettivo storico nel suo divenire …

Suddetta formula rappresenta, inoltre, un tentativo di coprire un vuoto! Infatti, a differenza di quel che è avvenuto con i diversi i miti antichi di tutto il mondo e soprattutto per la cultura classica greca, tramite il dramma antico, mancano opere letterarie e teatrali che contribuiscano a rinnovare nella memoria l’antica cultura fenicia che pur rappresenta una componente non indifferente delle radici del Self Storico di diverse comunità del bacino mediterraneo». (da A. Anania Trilogia Fenicia, Psicologia Dinamica, anno 2010).

Il testo dell’opera teatrale Marikhaide di Motya contiene unificati in una singola opera diversi brani di opere delle quali sono autore già pubblicate in Trilogia Fenicia (Psicologia Dinamica Anno XIV N.2 Maggio-Agosto 2010: “Il Sacro Tophet di Tabaah”, “La Luna di Luana”, “La Nave di Yaphna”) e “La Forza di Genubiade” (pubblicato su www.psicologia-dinamica.it il 23 Agosto 2011) Tutti i drammi sono stati rappresentati in epoche diverse direttamente a Motya (Porta Nord) con eccezione di La Nave di Yaphna che è stato rappresentato nell’allora Museo Baglio Anselmi-Nave Punica di Marsala.

Ambientata in un contesto storico che evoca la fine di Motya, l’opera teatrale Marikhaide di Motya narra l’avventurosa vita di un’affascinante donna ricca di anima e di passione. Pur se collocata in un tempo lontano la storia di Marikhaide risulta attuale perché trascina lo spettatore entro le vicende umane di ogni tempo collegate all’amore, al desiderio, all’odio, al tradimento, alla vendicatività, alla distruttività ma anche al recupero della speranza, della forza d’animo e della capacità di lottare attraverso la spiritualità.

Marikhaide, unificando le figure femminili presentate nei precedente drammi, in altri termini rappresenta l’Eterno Femminino con la sua passionalità, le sue contraddizioni, le sue ambiguità, le sue incertezze ma anche la sua forza morale, il suo potere sessuale, il suo magico fascino, la sua capacità di donazione di sé, la sua abnegazione, la sua capacità di attendere e di contenere, la sua spiritualità.

Marikhaide, appena superata l’adolescenza, come tutti i giovani di ogni tempo, sogna di lasciare il paese natio e di affermarsi in una grande città perciò fugge con un mercante di porpore per raggiungere Cartagine ma vive in un tempo in cui il pericolo d’essere rapita dai pirati e venduta come schiava, come le è avvenuto, era incombente e questo a noi può ricordare l’attuale tratta delle immigrate, attraverso i barconi dall’Africa e non solo, costrette alla prostituzione. Riesce a lasciare Cartagine ma la nave punica sulla quale si è imbarcata per tornare in patria affonda in prossimità di Capo Lilibeo in seguito ad una tremenda tempesta, ma trascinata sugli scogli chiamati le Tre Roche, Marikhaide rimane miracolosamente in vita.

La conquista amorosa del Sovrano di Motya quando appare in tutto il suo splendore dalla prua di una nave “adorna di variopinte vele colma di multiformi ceste di fiori” evoca l’arrivo di Cleopatra d’Egitto a Roma ma anche il grande gioco di seduzione che ai tempi nostri, ad opera di avvenenti sensuali giovani e sovente anche di donne più mature d’età, non di rado è al centro di disfacimenti familiari in un contesto sociale in cui la coppia è non di rado fortemente in crisi.

Mi sono sempre posto il problema con quale stato d’animo i genitori fenici affrontassero l’offerta al dio Moloch del primogenito maschio nelle notti di luna piena come prescriveva il rito del Tophet diffuso nell’area cartaginese anche se bisogna riconoscere che il sacrificio umano era praticato in tutto il bacino mediterraneo come dimostra il biblico Sacrificio di Isacco che simboleggia il parziale superamento della barbarie con la sostituzione del sacrificio umano con il sacrificio animale. Scampata alla maldicenza della gente e trovato un sincero compagno nel marito Butakh, natole un figlio, Marikhaide rimane addolorata, come Maria di Nazareth durante la passione di Cristo, quando viene a sapere che il proprio piccino è stato eletto per il sacrificio del Tophet.

Assistendo al rito cade in una trance comunicativa telepatica con il figlio appena trucidato dal sommo sacerdote. Si può dire che l’assoggettamento a vedere sacrificati i propri figli a interessi estranei alle famiglie e alla gente comune persiste nel mondo attuale se pensiamo che sono i giovani ad essere inviati a combattere e morire anche sotto l’egida religiosa fondamentalista come un tempo con le “sante crociate” o come in atto con le “stragi kamikaze”, o anche costretti a soggiacere alle ingiustizie di una società gerontocratica ed economicamente imperialista multinazionale che non offre alcuna sicurezza sociale ed economica soprattutto alle generazioni più giovani.

Marikhaide rimasta vedova e senza figli mentre è intenta a lavare i panni vede un bellissimo giovane sconosciuto che si aggira a riva, se ne invaghisce pazzamente sino ad aiutarlo, lui che è una spia di Dionisio di Siracusa in guerra con Motya, a travestirsi da donna e ad addestrarlo alle movenze femminili in modo da potere aggirarsi ovunque impunemente e scoprire i segreti militari di Motya da trasmettere a Dionisio. Ma Teseo, così si chiama il giovane, tradisce Marikhaide la quale allora si anima di spirito di tremenda vendetta e, anche se ancora profondamente innamorata, sogna di vedere Teseo morto.

Motya viene invasa e rasa al suolo, Marikhaide rimane tra i pochi superstiti e Teseo si reca da lei per rivederla prima di tornare per sempre a Siracusa e per fare l’amore con lei. Marikhaide lo convince che prima di fare l’amore vuole vederlo con addosso la tunica che lo travestiva da donna, lui cede al capriccio della donna, indossa la tunica che lei, prefigurando l’incontro, aveva in precedenza cosparso di un veleno mortale in grado di sciogliersi al contatto con il calore del corpo, infatti ne rimane ucciso. La morte di Teseo evoca la Tunica di Nesso che anch’essa intrisa di veleno condusse a morte Ercole che l’aveva indossata sotto invito dell’ignara sposa Deianira.

Il giovane Teseo nel suo travestimento femminile evoca il ritrovamento della enigmatica statua detta del Giovane di Motya, enigmatica perché la statua raffigura un giovane uomo che indossa morbide vesti e presenta movenze femminili ma ben rappresentato nei suoi cosiddetti “attributi” maschili, allora il pensiero va immediatamente all’impresa di Teseo quando si reca a Creta per uccidere il Minotauro e fa travestire i suoi compagni con abiti femminili per non essere scoperti dagli abitanti del luogo. Così come Arianna aiuta Teseo ad uccidere il Minotauro e a fuggire da Creta anche Marikhaide aiuta il nemico e contribuisce indirettamente alla fine di Motya “La storia di Marikhaide, peccatrice, insegna che mai una città cade allo straniero senza complicità dei suoi abitanti”, “Le catapulte lanciano, senza sosta, balle infuocate, la buia notte è illuminata da innumerevoli asteroidi artificiali.

Le due torri gemelle appaion due pire immense, là sono asserragliati i più valorosi, senza scampo dal fuoco che avvolge entrambe le fortezze. S’aggiungono i colpi degli arieti, cade la prima torre e s’abbatte sulla gemella che precipita con gran fragore in mille pezzi incandescenti. Prima che l’alba innocente colori di rosa la profondità del cielo, Motya è rasa al suolo” (dal testo Marikhaide di Motya). In questo caso il pensiero va subito agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 e alla caduta delle due Torri Gemelle, attentati di portata tale anche dal punto di vista organizzativo da rendere difficile escludere una più o meno inconscia complicità di alcune persone del luogo quali gli addetti a diversi livelli alla sicurezza degli aeroporti e dei voli: vistosi scotomi magari favoriti da abbondanti annaffiature di denaro.

Marikhaide, ormai anziana, sogna la dea Tanit che le promette che è vicino il tempo in cui le donne torneranno, come agli inizi dell’umanità, ad essere “regine della creazione, della danze, del canto, delle tele variopinte” e finalmente capaci d’opporsi ai costumi sociali più barbari, capaci di saper dire di no, capaci a “disobbedire a ogni rito che addolora i cuori, a dare inizio davvero a un nuovo mondo!” Così le dice la dea apparsale inl sogno e Marikhaide si va a purificare nel Tempio di Tanit “pacificata nell’anima, alleggerita nella spirito” serenamente pronta ad andarsene per sempre contenta di “aver vissuto al di là del bene e del male” il romanzo della propria vita, di “aver compiuto il proprio compito terreno”. Il sipario si chiude.

Il mio più profondo ringraziamento va agli artisti di primordine che hanno realizzato la pièce teatrale con grande abnegazione, passione e professionalità. Li ho scelti per la grande bravura, che li renderebbe degni anche di più importanti palcoscenici, e per la grande stima che da sempre nutro dei loro confronti; li voglio qui nominare ad uno ad uno: il musicista Gino De Vita, la coreografa Elisa Ilari e le sue bravissime giovani danzatrici, il regista Andrea Scaturro, la Compagnia Teatrale D’altra P’arte composta dagli attori Luisa Caldarella, Gianfranco Manzo, Andrea Scaturro.

Il merito personale che mi prendo è di aver riunito grandi artisti di varie muse che mai avevano lavorato insieme e che hanno finito per realizzare quello che possiamo definire un vero team artistico composito.
Un sentito ringraziamento va al pubblico che ha seguito con sensibile attenzione un testo difficile carico di pathos e che ha ripagato la bella perfomance del team artistico con un prolungato caloroso applauso.

Infine un sentito ringraziamento va al Comune di Marsala che ha patrocinato l’evento e in particolare al Sindaco Dr. Alberto Di Girolamo, all’Assessore alla Cultura Prof.ssa Clara Ruggieri e al Dirigente del Settore Cultura e Turismo Dott. Giuseppe Fazio.
Lo scritto Marikhaide di Motya è pubblicato sulla rivista Psicologia Dinamica anno XXII, N. 1,2,3 Gennaio-Dicembre 2018; il filmato dell’intera rappresentazione teatrale è su You Tube all’indirizzo www.youtube.com/watch
 

 



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