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domenica, 28 Aprile 2024

I “giornali scomparsi” di Monfalcone: Italia e Namibia quasi a pari merito nella libertà d’espressione

05.10.2018 – 08.38 – Se n’è parlato nei giorni scorsi, e ora la questione dei giornali “scomparsi” dalla biblioteca di Monfalcone finisce in Parlamento, attraverso un’interrogazione presentata al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte da parte delle deputate del Partito Democratico Debora Serracchiani e Tatjana Rojc, che parlano di vera e propria “censura”.

La notizia era stata lanciata dal quotidiano “Il Piccolo” e poi ripresa da diverse testate nazionali. La sindaca leghista Anna Maria Cisint ha prima tagliato i fondi per l’acquisto de “Il manifesto” e poi, quando grazie a una colletta popolare sono stati ripristinati gli abbonamenti, ha dirottato le copie cartacee verso la casa di riposo.

Diverse sono state le reazioni di sconcerto da parte di movimenti politici e associazioni, come “Sinistra italiana” e “La sinistra per Monfalcone”, nei confronti dell’azione della prima cittadina monfalconese. Ma hanno fatto eco anche voci di singoli cittadini e quella del presidente della Federazione Nazionale della Stampa, Giuseppe Giulietti. Quanto ai giornali “nel mirino”, il quotidiano comunista ha commentato così: “È bello sapere che ‘Il manifesto’ venga letto in una casa di riposo, perché gli anziani sono molto più saggi di tanti politici. Tuttavia è molto grave che l’abbonamento attivato grazie all’impegno democratico di tanti non venga consegnato all’istituzione pubblica alla quale è destinato”. “L’Avvenire” ha affermato invece che con quel “deliberato ‘scarto’ di due giornali che hanno fatto e fanno la storia dell’informazione italiana”, “si è ristretta l’area del pluralismo delle idee. E questo è un grave errore, rimediare al quale è salutare e giusto”. Nella casa di riposo, dopo un breve periodo, i giornali non sono più arrivati perché era necessario recarsi alla biblioteca per recuperarli e nessuno era più disponibile a farlo, sostengono le associazioni. Nel frattempo, dopo l’ondata di proteste, la sindaca ha fatto retromarcia, rendendo disponibili i giornali nell’atrio del Comune.

Gli episodi di questo tipo costituiscono un ulteriore fatto, nuovo e preoccupante, indice di un atteggiamento nei confronti della stampa che non può facilmente essere interpretato come segno di libertà d’opinione e d’espressione; è recente l’attacco di Luigi Di Maio: “I giornali degli imprenditori editori ormai ogni giorno inquinano il dibattito pubblico e la cosa peggiore è che lo fanno grazie anche ai soldi della collettività”. Di Maio ha anche annunciato tagli nella legge di bilancio: “Porteremo il taglio dei contributi pubblici indiretti e stiamo approntando la lettera alle società partecipate di Stato per chiedere di smetterla di pagare i giornali con investimenti pubblicitari spropositati e dal dubbio ritorno economico per evitare che si faccia informazione sui loro affari e per pilotare le notizie in base ai loro comodi”. Secondo Di Maio, la stampa è colpevole di produrre ‘Fake News’ – notizie false – sul governo. “Non sarà più così. Il nostro paese ha bisogno di un’informazione libera e di editori puri senza altri interessi che non siano quelli dei lettori”, ha concluso.

Gli indici internazionali identificano l’Italia come un paese in cui il desiderio di libertà d’espressione si realizza all’80 per cento; è il valore di un paese libero. Però, analizzando meglio e incrociando più metodologie (che danno un risultato fra il trentaquattresimo e il settantasettesimo posto), l’Italia si posiziona mediamente, come libertà di stampa, poco al di sotto della Namibia, con Norvegia e Svezia come paesi più liberi e Corea del Nord a chiudere, senza sorprese, la classifica. Occorrerà quindi attendere lo svilupparsi delle politiche del governo per capire che cosa si possa intendere come ‘editore puro’ e in quale direzione la libertà d’espressione italiana andrà, con particolare riferimento agli editori più piccoli e indipendenti che rischiano di essere fortemente penalizzati.

 

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