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mercoledì, 1 Maggio 2024

Proposta di nuovo regolamento per le scuole dell’infanzia: punti focali e perplessità

15.11.2018 – 09.00 –Sbarca a Trieste nei giorni scorsi (ansa) la proposta di un nuovo regolamento per le scuole dell’infanzia comunali, deliberata dalla giunta Dipiazza e presentata come opera di ordinaria revisione della materia. Il documento, fortemente contestato dall’Unione Sindacale di Base <Pubblico Impiego> FVG attraverso un comunicato stampa (“Giù le mani dalle scuole dell’infanza“), presenta diversi punti in linea con le ultime politiche di governo nell’ambito dell’istruzione pubblica. Per essere precisi, stiamo parlando di bambine e bambini di età tra i tre e i sei anni.

Entrando ancora più nel merito, andiamo a vedere quali sono i passi principali, uno alla volta.

Vengono previsti: la centralità dell’insegnamento della religione cattolica presentata come fondante il piano dell’attività formativa, l’obbligo di apporre il crocifisso in classe, una quota del 30% di bambine/i non di cittadinanza italiana per sezione, la partecipazione attiva da parte delle famiglie a sfavore dell’autonomia didattica ed educativa scolastica. Inoltre sembrerebbero sparire alcune garanzie finora acquisite, tra cui quella di avere insegnanti di sostegno e sostituzioni tempestive delle assenze del personale. 

La carne messa al fuoco è davvero tanta, si parla per certi versi di andare a revisionare la

immagine di repertorio

prospettiva di alcuni principi fondanti dei regolamenti precedenti. Nell’ultima correzione del regolamento (relativa al 2016) possiamo leggere per esempio che l’insegnamento della religione cattolica veniva garantito, mentre ora si parla di renderlo centrale nell’attività formativa di base; la presenza del crocefisso ai muri prima era prevista, mentre nella proposta di nuovo regolamento risulterebbe ora obbligatoria. Su questi due punti gli interrogativi non mancano: che bisogno c’è di rendere centrale l’insegnamento della religione cattolica alle bambine e ai bambini di quest’età, in una scuola pubblica di uno stato costituzionalmente a principio di laicità? Perché l’articolo 7 della Costituzione prevede che lo Stato e la Chiesa siano fondamentalmente separati: indipendenti e sovrani; da questo articolo dovrebbe derivare anche l’impossibilità -per lo Stato- di dare prevalenza a un orientamento religioso rispetto a un altro.

L’altro nodo focale che fa nuovamente discutere è il limite di scolari stranieri per sezione. Che cosa comporterebbe in termini di cambiamento? Abbiamo già ampiamente affrontato il delicato tema in questa stessa rubrica (qui) in occasione della decisione analoga (ma con tetto del 45%) della sindaca di Monfalcone Anna Cisint, e le perplessità da parte dell’opinione pubblica e dei cittadini rimangono più o meno le stesse anche a Trieste. Perché apporre un simile limite in classi di bambini così piccoli, imponendo oltretutto lo spostamento degli alunni in sovrannumero in scuole situate non nel territorio di appartenenza? Per molti questo criterio risulterebbe discriminatorio e assolutamente non necessario, in più andrebbe a compromettere il diritto all’istruzione senza vincoli previsto dalla nostra Costituzione. Questo tipo di intervento inoltre non sembrerebbe necessario per bambine/i di tale età, che imparerebbero la lingua italiana insieme ai compagni senza difficoltà e senza intralciare alcun programma.

La questione è complicata e purtroppo strumentalizzata da varie parti e in vari modi. Non per forza negativa secondo altri l’idea di distribuire gli alunni sul territorio in maniera da evitare le scuole o le classi ghetto, ma per farlo bene bisognerebbe prevedere provvedimenti aggiuntivi ad hoc, quali per esempio il trasporto nelle altre scuole lontane dal territorio di residenza, o la valutazione del livello linguistico dei bambini per decidere in quali classi debbano stare (senza la quale il provvedimento risulterebbe fatto meramente su base etnica).

Che dire poi della compromissione dell’autonomia didattica ed educativa a favore delle famiglie che dovrebbero, secondo questo regolamento, avere il diritto scegliere il genere di istruzione da impartire ai propri figli? Sembrerebbe essere in linea con i tempi d’oggi, in cui le scuole e gli insegnanti si ritrovano sempre più spesso a dover giustificare/modificare ogni scelta didattica e ogni brutto voto dato ai propri studenti, davanti alle sempre più frequenti e violente proteste dei genitori; e ricorda la progressiva tendenza ad attenuare la differenza tra pubblico e privato, per arrivare a una Scuola che sempre più tenderebbe ad assomigliare a un’azienda. Bene dunque la collaborazione tra Istituzione e Famiglia a buon uso dello studente, purché non infici la scelta dei programmi ministeriali, che dovrebbero rimanere in linea con quelli europei.

Per finire, negli ultimi dieci anni sembrerebbero essere di miliardi di euro i tagli fatti all’istruzione: su questa stessa lunghezza d’onda anche la decisione di non ritenere più così importante la presenza degli insegnanti di sostegno ove richiesto precedentemente e previsto dalle norme. Nemmeno la tempestiva sostituzione in caso di assenze del personale risulta fondamentale per offrire un servizio di qualità, secondo questa proposta di nuovo regolamento. Insomma, mentre in Europa l’istruzione rappresenta la quarta voce di spesa, l’Italia risulta tra le ultime nelle classifiche internazionali per gli investimenti in formazione. Tirando le fila, il futuro della scuola pubblica italiana non sembra affatto roseo.

Per entrare nel merito del comunicato stampa del 9 novembre, l’Unione Sindacale di Base richiede risposte diverse alle esigenze del servizio pubblico da parte dei nostri amministratori, garantendone resa, qualità e accessibilità attraverso precisi investimenti: organici adeguati, garanzia del personale di sostegno, sostituzioni tempestive delle assenze, dotazioni adatte di materiali, re-internalizzazione dei servizi appaltati, presenza di mediatori culturali laddove necessario, analisi delle situazioni territoriali e attivazione di eventuali progetti specifici di integrazione.

Quello che si propone di chiedersi questo articolo invece è: quando mai nella storia degli stati e delle nazioni è accaduto che il limitare, il togliere e il tagliare, in campi come istruzione o ricerca, ha dato effetti positivi sullo sviluppo (anche economico) dei paesi in questione?

 

 

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