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sabato, 4 Maggio 2024

Trieste bohémien. Storia degli “scapigliati” del Circolo Artistico triestino

19.01.2019 – 09.11 – Sussiste una notevole distanza tra come una società si considera, ovvero come si auto-rappresenta, e dall’altro com’è realmente, alla prova dei fatti. C’è allo stesso modo una differenza notevole tra come un’organizzazione, una classe o un partito si descrive e propone al mondo e dall’altro come davvero si comporta, sottoposto a un’analisi oggettiva.
La borghesia vittoriana, specie anglosassone, amava presentarsi come un modello di purezza morale, ma sotto un’apparenza di rettitudine si nascondeva uno sfruttamento e una depravazione superiore all’hard work della classe operaia.
Molto banalmente ogni conflitto propone questa dicotomia, laddove ciascuna parte si presenta come “giusta” e “santa”, pur constatando l’oggettiva realtà di una fazione che svolge il ruolo di aggressore e un’altra che difende la sua integrità territoriale. La convinzione del Presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush junior di essere “guidato da Dio” all’alba della catastrofica invasione in Iraq è un esempio facile di quest’ideologia.

Passando dalla storia contemporanea alla storia locale e alla Trieste ottocentesca, occorre ad esempio considerare come e quanto Giuseppe Verdi sia stato banalizzato dai nazionalisti e dall’irredentismo.
Senza negare l’evidenza, ovvero il ruolo di “Cantore del Risorgimento”, andrebbe evidenziato come a Trieste la sua musica inizi a essere considerata “patriottica” e “sovversiva” solo dall’ultimo quarto dell’ottocento, quando il clima culturale venne avvelenato dai reciproci nazionalismi.
Matej Santi, con il breve saggio Musica a Trieste tra impero sovranazionale e nazionalismi, analizza come Verdi diventi una figura politicamente ingombrante a Trieste solo dalla sua morte (27 gennaio 1901). Il necrologio del Piccolo, dai toni ardenti di passione patriottica, seguì a un altrettanto infervorata “Verdi-mania”, con la costruzione di una mitologia nazionale finora assente.
Mario Nordio descriveva così nel 1951 la prima del Nabucco a Trieste con i toni commossi di un’italianità senza reali fondamenti: “Da quando nel 1843 per la prima volta commosse i cuori e li trasportò all’entusiasmo il canto “Va pensiero…” Verdi è fra noi: interprete sovrano dell’anima popolare, simbolo di conforto, luce di speranza nelle ore oscure dello scoramento e dell’abbandono, incitamento alla fierezza, alla resistenza, alla fede del nostro italico triestino”.
Tuttavia la realtà di quegli anni e di un 1843 ancora lontano dalla Primavera dei Popoli e dall’idea di nazione descritta qui sopra, contraddice platealmente Nordio.
Il Nabucco era stato eseguito sì, nel settembre del 1844 (e non 1843!), ma non aveva nelle intenzioni di Verdi un significato anti-austriaco. L’opera era stata apprezzata particolarmente proprio dall’Imperatore Ferdinando I e dalla consorte e soprattutto Verdi stesso aveva dedicato il Nabucco all’Arciduchessa Adelaide d’Austria.
Verdi all’epoca era ancora agli inizi della sua carriera e il motivo della patria, come rileva M. Santi, era un topos, una tematica ricorrente di quegli anni…

Consiglio direttivo del Circolo Artistico di Trieste (Museo Sveviano)

Il Circolo Artistico è un’altra realtà della Trieste ottocentesca che andrebbe considerata diversamente, dalla sua nascita (1884), ai suoi anni d’oro della Belle Époque, al declino del primo e secondo dopoguerra. Il Circolo Artistico si oppose sempre al Circolo Schiller “austriacante” e così si considerò (e venne considerato) italiano e irredentista.
E tuttavia il Circolo – aperto a ogni genere di arte e artista – era decisamente liberale, suscettibile delle più diverse influenze, con una notevole tendenza sovversiva.
Il suo carattere spiccatamente liberale lo trasformava nel raduno di tutti gli artisti della città; non solo degli artisti italiani nazionalmente impegnati. La sua storia rivela inoltre involontariamente la crescita e l’evoluzione di quella classe che più sosteneva e foraggiava il Circolo, ovvero quella borghese. Italiana, certo, ma non solo.
Il Circolo Artistico infine rappresentava un’arte autenticamente locale e triestina, che introdusse motivi provenienti dall’estero – l’impressionismo tedesco, ad esempio – lontani dall’essere solo patriottici.
È possibile dunque notare uno “scollamento” tra l’auto-rappresentazione del Circolo come “italiano”, contrapposto al “malvagio” Schiller, e dall’altro la realtà storica di un Circolo triestino e liberale.

Il Circolo Artistico di Trieste nacque verso gli anni Settanta dell’Ottocento con l’obiettivo di fornire uno spazio e quanto oggi definiremmo una “visibilità” agli artisti locali.
Un luogo e un’istituzione che presentasse loro la possibilità di esporre le opere, discutere di arte e – perché no? – trovare committenti e ricchi mecenati.
Il primo tentativo avvenne nel 1873, quando il pittore Antonio Lonza, reduce dagli studi a Roma, propose l’idea a Giuseppe Garzolini. Obiettivo: liberarsi dell’oppressiva “Società delle Belle Arti”. Questa indiceva una mostra annuale al palazzo Revoltella e si caratterizzava per avere più antiquari che artisti tra le proprie fila, con un monopolio sulla scena locale.

Il manifesto, redatto presso il Caffè Chiozza, recitava: “A Trieste tanto gli artisti quanto i dilettanti di belle arti sono pochissimi e quasi niente incoraggiati nei loro studi e nei loro lavori. Le cause principali di questo male sono due: la prima che gli artisti vivono isolati e poco si curano di far conoscere al pubblico i progressi nelle arti; la seconda è l’egoismo di certuni, i quali giova tener occulta l’abilità degli artisti triestini. Per distruggere ambedue le cause del male nulla sarebbe tanto opportuno quanto il costruire una Società di artisti e dilettanti triestini o residenti a Trieste, che dovrebbe avere un’esposizione permanente dei lavori di pittura e scultura dei soci stessi”.

Il tentativo di Lonza non ebbe seguito, ma dieci anni dopo, nel 1883, Riccardo Zampieri riproponeva l’idea agli amici artisti nello studio dello scultore Ivan Rendic.
Lo statuto, presto approvato dalle autorità, prevedeva quale presidente Giuseppe Lorenzo Gatteri, primo vicepresidente Eugenio Scomparini e secondo vicepresidente Giuseppe Savorgnani.
La prima riunione avvenne nel Palazzo Hierschel in Corso, a cui seguì nel gennaio 1884 l’appartamento di un edificio nella stessa zona e infine una sede più o meno stabile in via Genova, in Palazzo Carciotti. Il Circolo venne lì inaugurato con un concerto che vide la partecipazione di una “star” del tempo, la cantante triestina Anna Salem d’Angeri.
A distanza di due anni, il Circolo Artistico compì il primo salto di qualità, quando si trasferì nel palazzo nuovo di zecca dell’architetto Giovanni Berlam di Via Carducci 10. Lo spazio disponeva di un’ampia sala, che venne presto utilizzata a buon fine con un concerto dei maestri Sinico e Zampieri (14 febbraio 1887).
Un grande successo, sotto le note dello “Stabat Mater” di Pergolesi.

La nuova, lussuosa, sede permise al Circolo Artistico d’inaugurare una successione senza sosta di concerti, rappresentazioni teatrali, feste e incontri che trasformarono presto il Circolo in una delle associazioni più attive e ricercate della città.
I soci salirono presto a seicento e vennero inaugurati due grandi eventi, destinati a sopravvivere nella storia culturale di Trieste. Il primo era un grande ballo in costume con tema l’Antico Egitto; le decorazioni della sala, letteralmente “faraoniche”, erano talmente belle che il Circolo scelse di mantenerle per una settimana, lasciando che i curiosi potessero ammirarle. Era peraltro un’ottima pubblicità per il Circolo stesso, essendo pitture dei soci.
Il secondo evento fu il Premio Roma, sotto il patrocinio della baronessa Cecilia de Rittmeyer. Il premio venne vinto dal giovanissimo Carlo Wostry.
In tema di aneddoti, la festa dell’anno seguente venne dedicata al Medioevo e vide l’architetto Enrico Nordio comparirvi con un’armatura risalente al XII secolo.

Sala egizia: festa al Circolo Artistico (1896), copyright dei Civici musei di storia ed arte

Accanto alle feste e al premio Roma, largo spazio avevano le sfrenate “sabatine”, serate culturali a tema dove ci si scatenava tra concerti, declamazioni di poesie e soprattutto parodie di drammi e opere in voga. Le “sabatine” si caratterizzavano per gli ospiti illustri, come Ettore Monteverde e Giulio Ferrari, così come per le splendide cene del cuoco di punta Nino De Amicis.
Carlo Wostry, nell’opera Storia del Circolo Artistico di Trieste (1934), regala un indimenticabile ritratto di quei tempi: “A queste cene era talvolta obbligatorio di presentarsi camuffati in varie guise. Una sera tutti vestiti da donna; un’altra trasformati in personaggi storici, e ci si diede il caso che Napoleone Buonaparte si trovò a gomito a gomito con Luigi… Ma era Luigi Nosella, una macchietta triestina poco prima scomparsa; una terza tutti vestiti da romani, e qualcuno interpretava la verità storica al punto di finire in qualche loco col dito in gola…
Le feste nascondevano però un oggettivo problema del Circolo, che non disponeva di spazi per allestire quelle mostre d’arte per le quali era nato. Ci si rassegnò infine a realizzare le rassegne nelle sale del Palazzo Revoltella. Ironicamente il Circolo seguiva le orme di quella Società di Belle Arti contro cui si era tanto battuto…

La prima fase della storia del Circolo – forse la sua fase più innovativa e dinamica – terminò con lo spostamento nel 1891 presso il Palazzo del Teatro Fenice. Il Circolo sfruttò immediatamente la nuova località per ampliare le attività e a buona ragione gli anni d’inizio ‘900 vanno considerati il periodo d’oro, nonostante già il Circolo andasse ingessandosi per l’anzianità dei suoi membri.
Merita ricordare almeno la concessione di uno spazio apposito per le mostre in Piazza Grande (dell’Unità) nel luglio 1906, l’anno seguente il tentativo di trasformare la sede in un museo, le prime mostre di stampe giapponesi in Austria-Ungheria nel 1908 e nel 1912, la mostra di caricature triestine del 1911 e tanto altro ancora…

I Portici di Chiozza, luogo di ritrovo dei soci (cartolina)

Il passaggio all’Italia e in seguito il regime fascista troncarono con brutalità questa felice esperienza: il Circolo venne sì sostenuto, ma aveva perso quella freschezza giovanile caratterizzante gli anni sotto l’Austria. Fu particolarmente tossica la scelta di far iscrivere intellettuali e artisti al Sindacato Regionale, imbrigliandone ogni autonomia e originalità.
Il tentativo di far rinascere il Circolo nel secondo dopoguerra non incontrò maggiore fortuna, avendo come nemico il “Circolo della Cultura e delle Arti”, che lo condannò a una lenta agonia per tutti gli anni sessanta del Novecento, prima della definitiva chiusura.

Attualmente, dal 2010, il Circolo Artistico è risorto e continua la sua ormai plurisecolare attività a favore dell’arte triestina, qualunque forma assuma.

Zeno Saracino
Zeno Saracinohttps://www.triesteallnews.it
Giornalista pubblicista. Blog personale: https://zenosaracino.blogspot.com/

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