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mercoledì, 8 Maggio 2024

Wärtsilä Italia, lavoratori oggi in sciopero a Bagnoli della Rosandra. Perché?

25.01.2019 – 07.48 – La contestazione fatta a un gruppo di operai, 11, relativamente a scarsa produttività e ritardo nel lavoro – che avrebbe causato, secondo l’azienda Wärtsilä Italia di Bagnoli della Rosandra, a Trieste, un ritardo nell’uscita di un motore al termine delle attività di predisposizione e montaggio – fa scattare la protesta dei sindacati: le RSU di Wärtsilä hanno indetto per oggi venerdì 25 gennaio una giornata di sciopero, con presidio all’ingresso e aspettativa, da parte dei sindacati, di forte adesione.

La contestazione, oltre al richiamo formale, se confermata prevede una trattenuta sullo stipendio pari a 3 ore di lavoro; le RSU denunciano la mancanza di una spiegazione oggettiva da parte dell’azienda che spieghi le “situazioni concrete, circostanziate anche con riferimento alle persone, allo spazio e al tempo” che possano consentire ai lavoratori di incontrare l’azienda per presentare e discutere le loro ragioni. “Un’azienda”, proseguono i sindacati nel comunicato, “che non è più in grado di gestire le cose e le persone, che demanda la gestione delle risorse umane completamente ad una dirigenza di produzione che agisce con il manganello per nascondere i propri limiti e riaffermare la loro arroganza del potere. Oggi tocca a qualcuno, ma domani potrebbe capitare a ciascuno di noi”.

Che cosa succede? Al di là del caso Wärtsilä di oggi, il rapporto fra le esigenze dell’azienda e quelle del lavoratore è un tema complesso, mai generalizzabile, poche volte fatto del bianco e del nero che sta sul comunicato sindacale o sulla nota dell’azienda; un tema che, negli anni, e in quelli recenti con fortissima accelerazione, è molto cambiato, ed è influenzato ogni giorno di più dal cambiamento, anche generazionale, che la società sta attraversando. E il mondo del lavoro, che della società è una parte fondamentale, con essa.

Non da oggi, la scarsa produttività del lavoratore può giustificare il richiamo formale dell’azienda nei confronti del lavoratore fino ad arrivare al licenziamento per scarso rendimento. Lo ha confermato più volte, negli ultimi quarant’anni, la Corte di Cassazione. Punto chiave che consente all’azienda di applicare questa misura estrema e arrivare in casi gravi fino alla terminazione del rapporto di lavoro è l’individuazione di parametri oggettivi e precisamente individuati; parametri che un lavoratore di diligenza e professionalità medie deve essere in grado di rispettare. Se questo manca, e la mancanza si protrae nel tempo – il cosiddetto rendimento è infatti il risultato dell’attività di lavoro nel tempo identificato come finestra o arco temporale all’interno del quale completare l’attività stessa – il richiamo e il licenziamento possono essere legittimi. Non è facile, però, dare una definizione certa; il legislatore ha fornito quindi alcune indicazioni, come risultato atteso (che deve rientrare nella media dei risultati degli altri lavoratori con stessa qualifica e mansione), scostamento (per poter giustificare un richiamo si deve essere in presenza di uno scostamento notevole tra ciò che fanno mediamente gli altri e ciò che ha fatto il lavoratore richiamato) che deve essere avvenuto per responsabilità del lavoratore, comportamento del lavoratore anche in questo caso nel tempo (non può essere preso come base di un richiamo un singolo episodio). Per essere oggetto di un richiamo da parte dell’azienda, riassumendo, un lavoratore deve aver fatto molto poco rispetto alla media degli altri lavoratori e più volte nel tempo: lo scarso rendimento, per poter essere sanzionato, deve essere diventato un’abitudine. Vale anche per il caso di ripetute assenze dal posto di lavoro, anche se non dipendenti dalla volontà del lavoratore e quindi incolpevoli.

È quindi il lavoratore a essere, spesso ingiustamente, parte debole che l’azienda molto più grande e più forte di lui può minacciare o vessare? Abbiamo usato questi termini come voluta iperbole e non con riferimento a situazioni specifiche; nel contesto europeo attuale, e in particolare nelle grandi aziende multinazionali, le politiche nei confronti dei dipendenti si sono arricchite, negli anni recenti, di numerose forme di tutela interna al di qua e al di là della molte volte discussa questione dell’Articolo 18 e del ‘Jobs Act’ di Matteo Renzi – il quale, di per sé stesso, rappresenta uno spartiacque fra il ‘prima’ e il ‘dopo’ che è difficile ignorare. L’azienda, sia essa azienda di vendita e di servizi o, come Wärtsilä Italia, nuova Industria 4.0, è cambiata: è dovuta necessariamente cambiare, e dovrà cambiare ancora di più per poter affrontare e superare con successo le Colonne d’Ercole del 2030, anno in cui nulla, secondo le previsioni degli economisti e degli studiosi di tutti i campi, in Europa, nel mondo del lavoro, sarà come prima.

L’Industria 4.0 rappresenta un nuovo paradigma, un cambiamento di modelli fondamentale per tutti gli eventi collegati al processo manifatturiero e alla produzione, che sembra poter essere affrontato in un solo modo: assieme, e con un cambio di mentalità. Nell’Industria 4.0 i processi legati alla produzione sono digitalizzati e interconnessi in tempo reale e lo slittamento di un evento può diventare il fattore scatenante del crollo di una catena di eventi, fino ad arrivare alla loro inutilità: o funziona come un orologio, quindi, o la catena si ferma, e il lavoro, per l’azienda e per il lavoratore, può diventare inutile. È una situazione che è diventata reale nel mondo contemporaneo e che, al di là del giudizio ‘bello’ o ‘brutto’ – libertà del singolo – non si può ignorare. Il braccialetto brevettato da Amazon, che accompagna il lavoratore nel corso della sua giornata, è stato riconosciuto come non comportante alcuna forma di controllo a distanza. Consentito sia dal vecchio Articolo 4 (1970) dello Statuto dei Lavoratori che dal Jobs Act (2015), perché il vincolo di preconcordare con le rappresentanze sindacali l’uso di qualsiasi strumento che possa trasmettere dati sarebbe, se applicato oggi, palesemente assurdo in presenza ad esempio dell’iWatch al polso di chi lavora, il braccialetto Amazon nel mondo dell’Internet delle Cose serve a migliorare i processi aziendali e non controlla la persona, perché non trasmette né dati sulla quantità né dati sulla qualità del lavoro. Senza di esso, probabilmente, e senza i robot collaborativi, il pacco con il regalo che abbiamo ordinato oggi non sarebbe a casa nostra domani.

E torniamo in conclusione di nuovo alla domanda: è il lavoratore a essere troppo debole nei confronti dell’azienda? È l’azienda a subire per qualche ragione ritardi che, nell’era dell’Internet delle Cose e dell’Industria 4.0, non può più permettersi, pena l’uscire dal mercato e chiudere?

È possibile che la risposta possa stare proprio nella necessità di dialogo – di un tipo di dialogo forse mai fatto prima – fra il lavoratore e l’azienda, tutti e due sotto questo nuovo ‘ombrello 4.0’. Il braccialetto Amazon non comporta alcuna forma di controllo a distanza e aiuta l’azienda a essere quello che noi, clienti finali, vogliamo che sia. Il braccialetto Amazon, però, o i sistemi di raccolta dei dati lungo il percorso di montaggio, fanno vivere bene, da un punto di vista psicologico e a volte anche fisico, il lavoratore? Questo è il punto che va verificato, anche in termini, certamente, di distribuzione equa del maggior profitto che la produttività più alta garantisce. Pensare di poter ignorare il cambiamento, e di decrescere felicemente, è purtroppo un’illusione.

Roberto Srelz
Roberto Srelzhttps://trieste.news
Giornalista iscritto all'Ordine del Friuli Venezia Giulia

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