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lunedì, 29 Aprile 2024

Cina e Trieste, geopolitica: la stampa asiatica riparla di TLT

18.04.2019 – 11.08 – Si riparla del Territorio Libero di Trieste: questa volta, il richiamo alle memorie del 1947 e successivamente del 1954 arriva da Singapore. La ‘Città del Leone’, figlia ‘minore’ del dio Cina, ha da sempre, per motivi politici e strategici, fortissimi legami con gli Stati Uniti, pur avendone mantenuti su un piano commerciale di altrettanto forti con Pechino. Negli anni recenti Singapore si è trovata però al centro del confronto proprio fra il supporto statunitense, divenuto con Donald Trump più instabile e rivolto al protezionismo, e la potenza economica proprio della Cina, sempre più grande e tesa alla modernizzazione con il suo leader Xi Jinping. Più di 30.000 americani vivono a Singapore, e l’accordo di libero commercio fra gli Stati Uniti e Singapore crea 215.000 posti di lavoro americani con un surplus positivo di 20 miliardi di dollari l’anno.

 

[Lucio Caracciolo illustra l’importanza geopolitica del porto di Trieste. Roma, Mercato Centrale, 20 marzo 2019. Limes.]

Non sorprende quindi che anche in Asia stia continuando la discussione politica sugli accordi fra l’Italia riguardanti il Porto di Trieste, e la Cina, accordi definiti dalla stampa di Singapore un gioco di “fumo e specchi”, con l’Italia che è naturalmente ansiosa di sottoscrivere trattati commerciali sfruttando l’opportunità del suo porto sull’Adriatico, che però – e qui la ‘sorpresa’ – non apparterrebbe all’Italia o all’Unione Europea. Perlomeno, secondo “Asia Shipping Media” e “Shin Min”, importanti media locali (il primo tematico, l’altro generale), che si stanno occupando della questione già da marzo. Secondo la stampa della ‘Città del Leone’ l’Italia sarebbe titolare dal 1947 e poi dal 1954 solo di diritti temporanei di amministrazione su Trieste, assegnatigli dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, principali amministratori di Trieste su delega del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come stabilito dalla risoluzione S/RES/16 proprio del Consiglio di Sicurezza stesso. In altre parole, Trieste sarebbe un “porto libero per qualsiasi nazione con la proibizione, per qualsiasi nazione, di esercitare su di esso un controllo esclusivo”.

Trieste non è e non è mai stata, economicamente e questioni politiche e culturali lasciate a parte, con buona pace di tutti, di primario interesse per l’Italia, complice la situazione di un confine sulla, di allora, Cortina di Ferro, ma è perfettamente collocata nel centro dell’Europa, e proprio per le nazioni centroeuropee è da secoli una porta verso il mare e verso l’est. Nella fase iniziale della discussione relativa alla BRI, “Belt and Road Initiative” o “Nuova Via della Seta”, l’Italia aveva sposato la posizione statunitense e dell’Occidente, sottolineando che la Cina stava alla fine cercando di rafforzare la sua azione egemonica guadagnando il controllo di alcuni punti strategici attraverso la diplomazia-trappola del debito, e che la “Nuova Via della Seta” presentasse rischi molto grandi legati alla sicurezza, che avrebbero accresciuto la militarizzazione della regione europea. La Grecia aveva visto invece nella BRI un’opportunità differente: quella di risollevare la propria economia, disastrata, anche qui con buona pace di tutti, oltre che da errori e omissioni iniziali dei governi greci di fine anni Novanta, proprio dalla successiva cattiva gestione della situazione del debito greco congiuntamente fatta da Unione Europea e Occidente. Da qui il matrimonio con la Cina e l’accordo per il porto del Pireo, acquisito al 51%. Operazione che aveva risvegliato dal suo sonno più di uno stato del Vecchio Continente: Austria e Germania in particolare, ma non solo, anche l’Italia, che però aveva dichiarato un avvicinamento alla Cina sulla base di un ‘sistema di porti’, sottolineando che il nostro paese era in grado di offrire una piattaforma migliore di quella del Pireo in termini logistici, con una possibile espansione di interesse, attraverso accordi, in Nordafrica. Sempre parte dei pre-memorandum italiani erano le precisazioni che l’Italia non avrebbe venduto asset alla Cina, neppure quelli comprendenti strutture in stato di crisi, ma incoraggiato invece partnership e investimenti. L’aspettativa principale italiana di allora, quella di far confluire l’interesse primariamente sul porto di Genova.

La Cina, però, ha rilanciato la mano al poker con un ‘vedo’, e in un certo senso spiazzato l’Italia dichiarando l’interesse nei confronti di Trieste, cosa che ha portato poi agli accordi con CCCC. Trieste è perfetta: retaggio del suo passato di porto dell’Impero Austro-Ungarico sono i collegamenti con l’Austria, con il Belgio, Repubblica Ceca, Germania, Ungheria, Lussemburgo e Slovacchia. Un porto strategico, con un fondale di 20 metri e lo stato di zona franca, per i traffici attraverso Suez, il Mediterraneo e lungo i corridoi ferroviari centroeuropei, con la nuova Rotta Artica di primario interesse per la Russia. Trieste può contribuire in modo cruciale agli accordi commerciali fra Europa, Cina e stati dell’Asia – Azerbaijan, Turchia, Iran, Russia stessa – consentendo, oltre ai traffici marittimi e ferroviari di aggiungere valore alle merci in transito attraverso la loro trasformazione nell’area extra doganale. La cosa più importante, quindi, non è il numero di container in più che transiteranno: essi saranno un, importantissimo, benefit – ma la cosa fondamentale è proprio il valore che al prodotto contenuto in quel container sarà aggiunto con servizi e lavorazioni fatte a Trieste.

Da qui l’accordo firmato fra Cina e Italia. Che è di grandissima importanza per Trieste ma che, allo stesso tempo, visti gli attori, non può piacere agli Stati Uniti: di fatto il porto di Trieste può diventare una ‘testa di ponte’ sul mare per l’espansione economica, vera e propria guerra commerciale, cinese a ovest, e per un re-ingresso di un piedino della Russia in Europa in un loro scenario pan-asiatico. Con tutto ciò che ne consegue anche su un piano di azione politica locale; compreso un sipario impolverato che, lentamente, con la proposta di istituzione di un meccanismo di sorveglianza centrale europeo, si rialza sull’antica, mai sopita questione, della responsabilità sulla sicurezza di Trieste, la quale secondo il trattato del 1954 sarebbe della NATO e non dell’Italia. E della proprietà effettiva di quello che viene acquistato in forma di partecipazione agli investimenti sempre su Trieste, che sarebbe – così si riprende a sussurrare, questa volta non nei caffè cittadini ma a un livello molto più alto – una ‘città libera’: un territorio libero non italiano.

Roberto Srelz
Roberto Srelzhttps://trieste.news
Giornalista iscritto all'Ordine del Friuli Venezia Giulia

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