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Catalogna: Rajoy, destituiti Puidgemont e il governo

Il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy,. KEYSTONE/EPA EFE/SPANISH GOVERNMENT sda-ats

(Keystone-ATS) È la resa dei conti fra Barcellona e Madrid.

Nel ‘D-Day’ della secessione, il parlamento catalano ha proclamato la Repubblica, che il governo spagnolo in poche ore ha letteralmente decapitato, destituendo il presidente Carles Puigdemont e il suo Govern, sciogliendo il Parlament e convocando elezioni il 21 dicembre.

Lo Stato spagnolo e la regione ribelle sono entrate in una terra ignota, irta di incognite e pericoli. Alle 15:27 di oggi, venerdì 27 settembre 2017, il Parlamento catalano ha votato la Repubblica, “stato indipendente e sovrano”, e la secessione dalla Spagna. Un voto definito “storico” dal fronte indipendentista. “Un atto fuori dalla legge e criminale”, ha subito tuonato Rajoy.

Praticamente nello stesso momento il Senato di Madrid approvava l’attivazione dell’articolo 155 della Costituzione chiesto da Rajoy contro la Catalogna, dando pieni poteri al premier, appoggiato dai leader unionisti di Psoe e Ciudadanos, per riprendere in mano le redini della regione ribelle.

Rajoy ha convocato a fine pomeriggio un Consiglio dei ministri e ha annunciato in serata le prime durissime misure: destituzione di Puigdemont, del vicepresidente Oriol Junqueras e di tutto il governo, scioglimento del Parlament e elezioni anticipate il 21 dicembre. Sono stati anche licenziati i collaboratori di Puigdemont e Junqueras, le delegazioni all’estero sono state chiuse, come pure il servizio diplomatico catalano Diplocat. I ministeri di Madrid assumeranno la guida di quelli catalani. Madrid ha destituito inoltre il segretario generale agli Interni e il direttore generale dei Mossos d’Esquadra, Pere Soler, ma non ancora il comandante Josep Lluis Trapero. La polizia catalana sarà usata come ariete per imporre il commissariamento.

Non è chiaro però come avverrà la presa di controllo della Catalogna. Tutto dipenderà dalla resistenza del popolo indipendentista e dei funzionari catalani al blitz spagnolo. Finora le manifestazioni per l’indipendenza sono sempre state pacifiche. Lo stesso Puigdemont ha invitato il popolo a difendere la Repubblica “in maniera pacifica e civile”. Ma l’emozione suscitata dallo strappo dell’indipendenza e dalle durissime misure di Madrid può accendere gli animi. Il rischio è di un’esplosione di violenza. Lo scenario dei prossimi giorni è imprevedibile in buona parte. In gioco c’è una ‘doppia legittimità’, quella della Costituzione per la Spagna, la ‘legge catalana’ – bocciata dalla Corte costituzionale spagnola – per Barcellona.

Il risultato del voto per l’indipendenza – 70 sì e 10 no – aveva suscitato nel pomeriggio un boato di gioia fra le migliaia di persone che attendevano davanti al Parlamento. Nell’aula i deputati secessionisti si sono abbracciati cantando l’inno di Els Segadors, e al grido di “Llibertat”. Decine di migliaia di persone hanno festeggiato in tutte le città della Catalogna, dalla Costa Brava ai Pirenei, le bandiere spagnole sono state tolte dalle facciate di decine di municipi, da Girona a Tortosa, da Figueres a Lleida.

Certo, il futuro della neonata ‘Repubblica’ è dei più complicati, forse impraticabile. La scure di Madrid si è abbattuta sull’autogoverno, all’estero nessuno la riconosce, Ue e Usa hanno confermato pieno appoggio a Madrid. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha però invitato la Spagna a non usare la forza. Non è chiaro come Puigdemont e i suoi ministri reagiranno alla loro destituzione. Sembra improbabile la accettino. Si trincereranno nella Generalità, difesi da decine di migliaia di cittadini? Guideranno un governo parallelo? Come reagirà la piazza? Quanto durerà la “resistenza pacifica di massa” annunciata dagli indipendentisti? Le incertezze sono enormi. Fino a che punto lo Stato userà la forza? La procura vuole incriminare per “ribellione” e arrestare Puigdemont: sarebbe per molti catalani una dichiarazione di guerra.

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