Come cambia il nostro rapporto con i migranti

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“Sono tra i primi ad aver conosciuto l’emigrazione e la clandestinità. Sono passato attraverso tempi duri e avventurosi, ho sofferto la fame, la solitudine, la nostalgia. [Però] tra le umiliazioni e le offese c’è sempre stato qualcuno che ha preso le nostre difese”.

Il pezzo è tratto dal libro “Io, venditore di elefanti”, la storia di un immigrato africano che, giunto nel nostro paese, finisce per fare il “Vucumprà”. L’autore è Pap Khouma, senegalese di nascita e italiano di adozione, diventato una figura nota nella letteratura migrante in Italia. Il libro, pubblicato per la prima volta nel 1990, continua ad essere attuale, «una cronaca di tre anni della mia vita, il racconto difatti reali, come una panoramica col cellulare!» afferma Khouma.

Con Pap Khouma e con Lamine Sow, anche lui di origine senegalese e responsabile del coordinamento immigrati CGIL Piemonte, ripercorriamo le prime immigrazioni dall’Africa e i cambiamenti nella società italiana, attraverso i loro racconti e i loro vissuti.

Pap Khouma mi racconta di quando è arrivato in Italia. Era il 1984 e l’immigrazione dall’Africa era all’inizio: «L’Italia era una meta di passaggio, noi volevamo andare in Francia, soprattutto per la lingua. Si prendeva l’aereo non il barcone, ed il permesso di entrare nel paese veniva dato in base ai soldi che ogni migrante aveva a disposizione, come garanzia economica».

Lamine Sow, arrivato in Italia nel 1985 racconta che«Non c’era una legge sull’immigrazione, e gli stranieri extracomunitari non potevano stabilirsi in Italia per lavorare. Io ero qui per motivi di studio ma tanti africani per vivere svolgevano la vendita ambulante abusiva. Così, nel parlare comune si diffondeva il termine “Vu Cumprà”, per indicare in senso un po’ scherzoso e un po’ dispregiativo, i venditori ambulanti di origine africana».

Pap Khouma inizia così la sua vita in Italia, lavorando sulle spiagge romagnole: «Nel libro “Io Venditore di elefanti” racconto di quando ero “clandestino” e dato che non potevo lavorare, facevo il Vucumprà». Poi, quando nel 1986 viene approvata la legge n. 943,che apriva la possibilità agli immigrati extracomunitari di fare un lavoro subordinatoHo iniziato praticamente subito a lavorare come operaio», sottolinea Khouma.

Lamine Sow inquadra la situazione: «Dopo il 1986, sul posto di lavoro italiani e africani iniziavano ad interagire ma la diffidenza restava. La casa era un problema grave: poche persone affittavano agli africani e per questo in tanti vivevano in uno stesso appartamento, anche piccolo. L’impatto con il vicinato e la scarsa conoscenza delle rispettive culture facevano aumentare le reciproche chiusure».

Come sottolinea Pap Khouma, a fine anni Ottanta in Italia si iniziava a parlare, bene o male, degli africani e quando viene pubblicato il suo libro emerge finalmente la voce diretta di uno di loro. «L’approccio alla scrittura è stato casuale – racconta. – Io ero impegnato per i diritti degli immigrati,che all’epoca non potevano esercitare un lavoro autonomo, cosa poi resa possibile con la Legge Martelli del 1990. Organizzavamo manifestazioni, proponevamo soluzioni, andavamo in tv, sui giornali. Così ho conosciuto Oreste Pivetta giornalista dell’Unità, e a quattro mani abbiamo scritto “Io, venditore di elefanti”».

Siamo arrivati agli anni Novanta e «il volto delle migrazioni cambia» sottolinea Lamine Sow, che racconta: «Iniziavano i ricongiungimenti familiari e se fino ad allora gli africani nelle città italiane erano soprattutto uomini, ora comparivano anche donne e bambini. Parallelamente però arrivavano le donne africane vittime di tratta, costrette a prostituirsi. Questo creò una visione distorta nella società italiana e le donne africane, con profonda vergogna, venivano spesso additate come prostitute. L’integrazione ha fatto comunque il suo corso naturale. I bambini di origine africana frequentano la scuola, socializzano con i coetanei. E di conseguenza anche i rispettivi genitori si conoscono. Oggi l’intercultura è ovunque nelle nostre città, basta coglierla».

Questi sono anche gli anni della Lega Nord, come racconta Pap Khouma: «Caduto il muro di Berlino arrivarono in Italia tanti rumeni e albanesi e la Lega iniziò il passaggio dall’essere contro i meridionali all’essere contro gli immigrati. Scrivevo molto delle loro teorie, ironizzavo sulle tante assurdità che dicevano. Ma le loro parole facevano colpo sulla gente, creavano consenso tra gli elettori. Erano messaggi efficaci, come lo sono ancora oggi».

Arriviamo ad oggi. I tanti figli di africani nati e cresciuti in Italia sono italiani a tutti gli effetti ma ancora non si è avuto il coraggio di formalizzare questa realtà riconoscendo loro il diritto di cittadinanza. Il tema dell’identità in cambiamento è il cuore di un altro libro di Pap Khouma,“Noi italiani neri. Storie di ordinario razzismo” che racconta«come i nuovi cittadini facciano paura, come le persone con la pelle nera fanno paura» argomenta Pap Khouma che è impegnato anche nelle scuole a parlare di intercultura e integrazione:«Sono gli adulti che sottolineano quelle differenze che per i bambini non esistono, ad esempio indicando “il tuo compagno di colore….” Invece, di dire semplicemente “Moustapha..”. Nelle classi dei più grandi invece ci sono tanti pregiudizi ed i messaggi passati dalla stampa e dalla politica risuonano molto più forti delle mie parole. In generale oggi chi controbatte è additato come“Buonista, e con questo il dibattito finisce».

Il recente dossier curato dall’associazione Lunaria “Il Ritorno della Razza” conta 169 casi di violenza razzista in Italia nei primi tre mesi dell’anno, individuando due cause della diffusione del senso comune xenofobo: la deriva securitaria del governo precedente e la cassa di risonanza dei media. Questo incide pesantemente sulla nostra società ma come dimostrano la storia del protagonista del libro “Io, venditore di elefanti” e di tanti altri nuovi cittadini di origine straniera, il nostro è un Paese che faticosamente sta cambiando e che faticosamente sta imparando a considerare come parte di sé donne e uomini di altre lingue, di altre religioni, di altre culture.

Lia Curcio

Sono da sempre interessata alle questioni globali, amo viaggiare e conoscere culture diverse, mi appassionano le persone e le loro storie di vita in Italia e nel mondo. Parallelamente, mi occupo di progettazione in ambito educativo, interculturale e di sviluppo umano. Credo che i media abbiano una grande responsabilità culturale nel fare informazione e per questo ho scelto Unimondo: mi piacerebbe instillare curiosità, intuizioni e domande oltre il racconto, spesso stereotipato, del mondo di oggi.

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