Amato dai suoi fedelissimi, detestato dai suoi detrattori, rispettato, ma anche temuto dai compagni di partito e dagli avversari politici. Questo è stato Giulio Andreotti, uno dei grandi protagonisti di quella stagione della storia italiana che va sotto il nome di Prima repubblica. Tra il Dopoguerra e gli inizi degli anni Novanta del Novecento, infatti, il leader democristiano è stato inquilino abituale nella stanza dei bottoni della politica nostrana, apparentemente imperturbabile a tutto e capace di sopravvivere a ogni tempesta, compresi ben sei processi. A cent'anni dalla nascita di Andreotti, avvenuta il 14 gennaio 1919, il giornalista del Corriere della Sera Massimo Franco, uno dei maggiori studiosi del politico democristiano ci racconta il mondo andreottiano, i suoi alleati, i suoi nemici, l'ambiente di potere in cui il "Divo Giulio" si muoveva nel suo "C’era una volta Andreotti" (Solferino, 2019, pp. 496, anche e-book). Ma il “c’era una volta” del titolo significa che Andreotti appartiene definitivamente al passato italiano? Lo chiediamo proprio a Massimo Franco:

"Il mondo di Andreotti è totalmente tramontato perché il leader democristiano è stato il garante dello status quo in Italia durante la Guerra fredda. E la Guerra fredda non c'è più, come non c’è più la società italiana dell’epoca, quella che si riconosceva nell'interclassismo della Democrazia cristiana. E non c'è più neppure quel Vaticano a cui era tanto vicino Andreotti".

Non avrebbe nessun ruolo allora il "Divo Giulio" nella politica odierna?

"Potrebbe portare competenza tecnica al governo, la sua grande conoscenza dei dossier sulle varie materie. E poi una visione non provinciale ma molto internazionale dei problemi. Una visione che gli veniva dall'essere nello stesso tempo rappresentante dell'Italia e del Vaticano nei consessi internazionali. Se ci pensiamo Andreotti faceva parte di una sorta di super-club di potenti della Terra, potenti che durante la Guerra fredda si consultavano nei momenti di crisi per cercare soluzioni oppure scambiarsi informazioni strategiche".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Andreotti è stato spesso accusato di cinismo. Era veramente tanto cinico e spregiudicato?

"Era una persona cinica perché il potere è cinico e Andreotti era la sublimazione del potere, incarnava il potere. Certamente era un uomo che metteva sempre in secondo piano i principi quando si trattava di potere. Non si poneva il problema delle conseguenze che una sua legge poteva avere. Se c'era un problema lo risolveva senza curarsi del futuro e senza grandi astrazioni. Insomma, la sua concretezza sconfinava nel cinismo. Non c’era però solo questo nel leader democristiano: in lui c'era anche grande capacità di governo".

Spesso Aldo Moro e Giulio Andreotti sono citati in contrapposizione: Andreotti uomo di potere, Moro uomo di Stato capace di visioni di più ampio respiro. Erano tanto distanti?

"Sicuramente, più che di Stato, Andreotti fu uomo di governo e un grande amministratore del governo italiano. La dicotomia tra Moro e Andreotti è comunque esagerata. C'erano differenze, anche profonde, ma non un contrasto tra i due leader democristiani. Ricordiamoci che dal 1976, quando decise di fare entrare i comunisti nella maggioranza di governo, Moro volle alla guida dell'esecutivo proprio Andreotti perché consapevole che così non si sarebbe spaccata la Democrazia cristiana. Perché Andreotti era il garante dei ceti medi, dell'America, del Vaticano".

Parliamo allora dei rapporti con il Vaticano: nel libro, Andreotti viene descritto come una sorta di rappresentante non ufficiale del papa, un politico al servizio dell’Italia ma anche del pontefice. Ma questo rapporto con il Vaticano durò anche nonostante disavventure giudiziarie del leader democristiano?

"È assolutamente vero, come disse una volta Francesco Cossiga, che Andreotti è stato una sorta di Segretario di Stato aggiunto del Vaticano e che aveva peso a livello internazionale perché in un certo senso rappresentava la Santa Sede. Esisteva comunque una Realpolitik andreottiana e una Realpolitik vaticana e non sempre coincidevano. Però il rapporto tra il leader democristiano e la Santa Sede non si è mai interrotto, neppure durante le disavventure giudiarie, ed è stato sempre molto forte, con tutti i pontefici. Una volta ho chiesto direttamente ad Andreotti come mai avesse rapporti così stretti e continui con il Vaticano nonostante le tante ombre che gravavano su di lui. Mi rispose: 'Li ho perché forse loro mi conoscono meglio di voi'".

L'interesse che ancora c'è attorno alla figura di Andreotti è solo legato all’alone di mistero che lo ha sempre circondato o c'è qualcosa di più in questo personaggio tanto sfuggente?

"Sicuramente conta il mistero che lo ha sempre circondato e che Andreotti ha contribuito ad alimentare, creando una sorta di mito. Però c’è molto da approfondire sul personaggio a patto di uscire dallo schema per cui Andreotti o viene santificato oppure demonizzato. Andreotti è stato un grande protagonista della storia italiana per un cinquantennio, ha incarnato le contraddizioni nostrane…non lo si può raccontare e analizzare in maniera manichea".

Andreotti allora cosa ha rappresentato nella storia italiana recente?

"È stato l'emblema del Purgatorio italiano, di un’Italia in perenne bilico tra Paradiso occidentale e Inferno comunista. È stato un italiano atipico ma nello stesso tempo emblematico, insomma un paradosso. Andreotti di sé stesso diceva 'sono un italiano medio', ma non era vero, non era medio, era un fuoriclasse. Però, comprendeva molto bene il carattere dell'Italia moderata. Per questo ha permesso per mezzo secolo all'Italia di rispecchiarsi in lui, sentendosi migliore e quindi autoassolvendosi per i propri vizi".
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