Chiamatelo pure il "Governo guerriglia". Per la centesima volta, infatti, litigano. Il Governo si divide, i vicepremier minacciano, e per la centesima volta i quotidiani italiani, i telegiornali, i siti di informazione, titolano su una rottura imminente che è annunciata ma non si celebra mai.

In effetti gialli e verdi in questi mesi hanno litigato con Tria, su Tria, sulle concessioni autostradali, sulla premiership, sulla Tap, sul Reddito, sugli studi di fattibilità per le grandi opere, sulla legittima difesa, sugli immigrati, sulla Flat Tax parziale o integrale, sul decreto sicurezza, su Savona, sulla Tav, sulla castrazione chimica, sui porti aperti o chiusi, sull'inchiesta che ha coinvolto il ministro dell'Interno, su se votare o meno l'autorizzazione ad indagare il ministro dell'Interno, nientemeno che sul Venezuela, sulle famiglie politiche europee, persino su Mahmood, sulla via della Cina, sul congresso di Verona, poi di nuovo su Tria, adesso litigano finanche sulla presenza di forze che negano l'Olocausto nel gruppo di partiti - l'Afd - con cui la Lega si vuole alleare. Ogni volta che questo accade lo strappo nell'esecutivo sembra sempre più imminente, la stampa anti-governativa si esalta, i social impazziscono, i sondaggi si impennano e poi (fatalmente) non accade nulla.

Il motivo è semplice: in questo Parlamento (data la scelta del Pd) non esiste un'altra maggioranza possibile. Per avere un altro parlamento bisognerebbe avere un voto anticipato che per ora non è all'orizzonte, e che Sergio Mattarella, forse, data la situazione economica faticherebbe a concedere.

Invece, il modello dell'alleanza gialloverde, produce guerra permanente ma tiene, riassume nel governo sia la maggioranza che la minoranza, e diventa una sorta di versione 2.0 (per chi ha memoria storica) del vecchio pentapartito: Bettino Craxi e Ciriaco De Mita litigavano su tutto, ogni giorno, ma poi continuavano fatalmente a governare insieme. All'epoca il Pci era fuori dai giochi delle maggioranze per effetto della cosiddetta "conventio ad escludendum" (i comunisti non potevano partecipare al governo finché il muro di Berlino era in piedi) oggi il Pd è fuori dal governo per una sorta di conventio ad auto-escludendum, perché (per ora) è lo stesso gruppo dirigente di quel partito a dire che non vuole costruire maggioranze alternative con il M5s. A marzo dello scorso anno fu Matteo Renzi a tirare il freno: «Farò tutto quello che posso per impedire che questo accordo si faccia». Ora è Nicola Zingaretti che è costretto a tenere la stessa linea (malgrado ne Lazio governo con il M5s). Il motivo? Semplice: i gruppi parlamentari del Pd sono ancora renziani - soprattutto al Senato - e su quella linea non lo seguirebbero.

Ecco perché - salvo terremoti elettorali che per ora i sondaggisti non riescono nemmeno ad intuire - anche dopo il voto delle elezioni europee l'unica cosa che potrà cambiare saranno i rapporti di forza, non il patto tra le forze. Prova ne è che "la nave va" (altro celebre slogan degli anni Ottanta, ricordate Federico Fellini) e che i termometri demoscopici ci dicono incredibilmente che la polemica continua sta stabilizzando il "governo guerriglia": secondo Nando Pagnoncelli, che ieri pubblicava il suo sondaggio settimanale sul Corriere della sera, con gli ultimi litigi il movimento di Di Maio ha recuperato due punti in sette giorni (è al 23.3%) mentre la Lega si flette (si fa per dire) dello 0.2% (assestandosi comunque ad un clamoroso 35.7%).

Il tema da porsi, dunque, non è cosa non vada nel "Governo guerriglia", che pur cambiando i suoi pesi specifici continua a viaggiare intorno ad uno stabile 60%, ma piuttosto cosa non vada nell'opposizione. Anche perché, prima del voto, nelle tasche di un milione di italiani arriveranno gli effetti economici del cosiddetto Decretone. Questa cifra mette insieme, infatti, mal contati, coloro che hanno fatto domanda di pensione con Quota Cento, e coloro che hanno già presentato domanda però il Reddito di Cittadinanza. Quindi se Salvini ha già due forni (uno con Di Maio e uno con la Meloni e Berlusconi) il Pd deve decidere se aprirne uno con il M5s, o continuare con il suo splendido isolamento. Forse con percentuali di voto superiori al 18% delle politiche, ma comunque fuori dai giochi.

Il problema di questi mesi infatti è semplice: se vuoi costruire una alternativa al potere egemonico e crescente del salvinismo devi sapere due cose: non lo potrai fare in poco tempo. E - soprattutto - non lo potrai fare da solo. Altrimenti il governo continuerà a dividersi ma anche a tenere dentro di sé sia la maggioranza che l'opposizione. E agli altri resteranno solo le briciole.

Luca Telese

(Giornalista e autore televisivo)
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