Sesso e disabilità: storie di preconcetti

Una delle credenze più diffuse? Che una persona disabile non sia interessata al sesso. Sbagliato, e anche la nuova figura dell'assistente sessuale lo conferma
Sesso e disabilità storie di preconcetti

Avere un sano appetito sessuale e una disabilità fisica non sono due cose che si escludono a vicenda, anzi. Eppure, troppe persone presumono che lo stato di diversamente abile precluda l'accesso al piacere o la capacità fisica di fare del sesso. Pregiudizi, leggende, credenze metropolitane: «I disabili hanno gli stessi impulsi e desideri dei normodotati – ci racconta Max Ulivieri, Project Manager sulla disabilità e fondatore del Comitato Lovegiver per l'assistenza sessuale in Italia, affetto da distrofia muscolare – Ho sempre lavorato come web designer e da appassionato di tecnologia e Internet, ho sempre sfruttato la Rete per promuovere i miei progetti: dapprima un sito dove parlavo di turismo accessibile, poi un blog dove ho cominciato a raccontare la mia vita, con le mie esperienze e difficoltà, anche a livello sessuale. Questo ha spronato anche altri ad aprirsi, a commentare, a raccontare la loro storia. Storie che ho raccolto in Loveability, un sito dove era ed è anche possibile fare nuove conoscenze, e che mi hanno dato lo spunto di approfondire e di scoprire che all'estero, per esempio in Svizzera, è presente da tempo la figura dell'assistente sessuale, ovvero una persona formata professionalmente, che aiuta il disabile a vivere a 360 gradi la propria dimensione sessuale, soprattutto da un punto di vista affettivo».

Una figura che però in Italia ufficialmente non esiste e che non è regolamentata: «Nel 2014 il senatore Sergio Lo Giudice aveva proposto in Senato il disegno di legge 1442, per istituire ufficialmente questa professione, ma non è mai stata calendarizzato né discusso. Ma noi non ci siamo fermati: attraverso il Comitato che presiedo abbiamo dato il via a dei corsi di formazione per diventare assistente sessuale, o meglio OEAS, ovvero Operatore per l'Emotività, l'Affettività e la Sessualità. Ne abbiamo già formati 17 e il prossimo autunno ripartiremo con la seconda edizione».

Per diventare assistente sessuale si segue un corso, quindi. «Innanzitutto, chi lo diventa non deve necessariamente aver studiato da infermiere o da ASA, chiunque può candidarsi, uomo o donna che sia. Vi è un test d'accesso, guidato da sessuologi e psicologi, perché uno dei requisiti fondamentali è che il candidato abbia una sessualità sana. Dopodiché, dopo una formazione teorica, è previsto anche un tirocinio all'interno delle associazioni che hanno aderito all'osservatorio. Alla fine, si ottiene un attestato privato che riconosce l'inquadratura come se fosse una professione vera e propria».

E nel pratico, cosa fa? «L’operatore definito del “benessere sessuale” non concentra esclusivamente l’attenzione sul semplice processo “meccanico”, ma promuove attentamente anche l’educazione sessuo-affettiva, indirizzando al meglio le “energie” intrappolate all’interno del corpo della persona con disabilità. Perché uno dei nostri obiettivi è abbattere lo stereotipo che continua a essere ingombrante e che vede le persone con difficoltà e disabilità assoggettate all’“asessualità”, o comunque non idonee a vivere e sperimentare la sessualità».

Molti associano quest'attività a un'illegale mercificazione del sesso. «Non è prostituzione, in quanto la prostituta ha come primo obiettivo quello di fidelizzare il cliente, mentre l'assistente sessuale, anche se dietro compenso, fa di tutto per emancipare il disabile, per aiutarlo a vivere serenamente la sua sessualità. In merito all'illegalità, sì, in Italia non vi sono ancora delle leggi che regolamentano questo ambito, ma era un grido d'aiuto che non potevo ignorare: in tutti questi anni ho raccolto migliaia e migliaia di richieste, non solo di disabili, ma anche di genitori costretti a masturbare i propri figli. Sono tanti anche i disabili che non sono d'accordo con questo percorso, perché pensano che invece che risolvere possa solo contribuire a ghettizzare ancora di più la categoria. Della serie: ma se quel ragazzo ha bisogno di un assistente sessuale per fare l'amore, allora come può approcciarsi nel modo giusto un normodotato? Eppure qualcosa andava fatto e questa è una soluzione».

Uno dei modi possibili per sgomberare il campo da ogni tipo di pregiudizio, di stereotipo che troppo spesso aleggiano su questo argomento: «Il problema è che i media ci hanno propinato per anni e anni e anni un certo canone di bellezza, che nulla ha a che fare con la disabilità. Provate a pensarci, quando si parla di disabilità in tv? Quando si citano gli eroi sportivi o per le raccolte fondi. Se si cambiasse il modo di parlare della disabilità, si cambierebbe anche lo sguardo nei nostri confronti e si comincerebbe ad andare oltre i preconcetti, soprattutto in fatto di sesso».