«Sposa un milionario!», la pubblicità «vende» ancora il corpo delle donne

Proteste in Francia per il cartellone di un sito di incontri, ma gli stereotipi al femminile non mancano anche da noi. Ne abbiamo parlato con una sociologa
«Sposa un milionario» la pubblicità «vende» ancora il corpo delle donne

Meglio sposare un uomo ricco che studiare. In soldoni dice questo il cartellone pubblicitario che gira per le strade di Parigi. Il comune lo ha definito vergognoso e ha chiesto al sito di incontri RichMeetBeautiful di eliminarlo. L’invito della pubblicità è a trovarsi uno sugardaddy. «Romanticismo, passione e nessun debito per finanziarsi gli studi: inizia a uscire con uno sugar daddy o una sugar mama».

Non fosse chiaro per tutti il concetto, ci pensa a spiegarlo la versione italiana del sito: sugar daddy o una sugar mama «sono uomini e donne di successo che sanno quello che vogliono dalla vita. Sono persone sicure di sé che hanno piacere di condividere il loro tempo libero con persone attraenti. Il denaro non è un problema, quindi non si tirano indietro quando si tratta di sostenere uno sugarbaby».

Non una pubblicità progresso, ma regresso e non funzionava neanche negli anni Cinquanta del film con Marilyn Monroe. Saveria Capecchi insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna e da tempo si occupa di genere e media. «Rientra in quelle pubblicità che si possono definire sessiste e tradizionaliste e che rimandano a una concezione dei rapporti uomo-donna obsoleta e asimmetrica, con questa idea che una donna possa farsi strada tramite un uomo. È il consiglio della nonna a sposare un buon partito che non è sostenibile oggi e suona paradossale perché il messaggio, dalla seconda ondata del femminismo, è per le donne di essere indipendenti dagli uomini. Economicamente e psicologicamente».

La questione non è limitata a questo cartellone pubblicitario. Ce ne sono decine (alcuni sono nella gallery in alto) in cui la logica di base è che le donne siano dei corpi, ma lo stesso accade anche in politica e in molti altri settori. «Il loro corpo è oggettivato e questo corpo è a disposizione degli uomini. È una logica che si rifà al modello patriarcale» spiega la professoressa. «Su un tema simile – aggiunge – si è dibattuto al tempo delle olgettine. Le escort stesse allora rivendicarono la consapevolezza del loro ruolo e la loro libertà di scelta».

È la stessa logica che usano i contenuti dei media post femministi, della traduzione che i media hanno fatto del femminismo. «L’idea che si sfrutta è che le donne fanno del loro corpo quello che vogliono, sono i soggetti che lo oggettivano. Se sono le donne stesse a oggettivare il corpo i media non possono accusati di sessismo. È però anche il sistema pubblicitario stesso che spinge le donne a esaltare soprattutto il loro fisico per ottenere successo in ogni ambito della vita». La pubblicità del sito di incontri segue questa logica, invita a seguire la scorciatoia del corpo per poter vivere una vita migliore che però è sempre dipendente dal potere di un’altra persona.

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La pubblicità con le donne non è però solo questa. È anche quella su tv e cartelloni dei prodotti per la casa, per i bambini e per la spesa, tutta o quasi rivolta a un pubblico femminile. È perché le donne sono ancora le principali acquirenti o perché si perpetua uno stereotipo? «Entrambe le cose. Ai pubblicitari non conviene innovare il modello femminile perché hanno un pubblico di età non giovane, uscire dal binario della tradizione non funziona. Lo stereotipo si perpetua, ma conferma un dato di realtà: fra i paesi europei siamo quelli in cui gli uomini fanno meno in casa. I dati dell’Istat sull’uso del tempo ci dicono che le donne lavorano 3-4 ore più degli uomini per cura della casa e della famiglia».

Siamo un paese statico e la pubblicità fa di conseguenza. Negli ultimi 5 anni gli uomini hanno dato segni di miglioramento: 17 minuti in più. Sono invece 8 i punti percentuali in più per i maschi nelle classifiche di chi ha trovato lavoro a un anno dalla laurea anche se più ragazze si sono iscritte all’Università e la maggior parte si sono laureate prima dei colleghi. Sempre i dati di Almalaurea dicono che con un figlio il gap lavorativo sale del 30% fra uomo e donna. Sono queste le prime a restare a casa. La pubblicità non fa passi avanti perché non li fa la società.

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