Karl Marx spiegato ai millennial, le lezioni del padre del comunismo che resistono

Dal proletariato alla religione oppio dei popoli passando per le lotte di classe e il capitalismo. Il filosofo tedesco che ha influenzato la storia del mondo compie 200 anni

5 maggio. Se siete tifosi questa data è una storica sconfitta dell’Inter (2002). Se siete letterari è una poesia di Manzoni che ricorda la morte di Napoleone Bonaparte (1821). Se siete filosofico-politici è una data di nascita: quella di Karl Marx (1818). Il 5 maggio 2018 saranno passati 200 anni dalla nascita del teorico del comunismo. Cosa resta di lui? Statue, strade, una a Berlino è monito di un passato diviso da un muro, idee e polemiche.

C’è chi lo considera l’origine di tutti i mali, il padre dei morti nei gulag, nelle purghe staliniste, nei paesi che hanno preso la via del comunismo. C’è invece chi guarda alle sue teorie, senza guardare le applicazioni pratiche, e ci ritrova tanto del mondo attuale. Allora partiamo nel raccontarlo da chi non lo ha conosciuto.

KARL MARXNato a Treviri, in Germania, dalla media borghesia, era di famiglia ebrea, il padre cambiò il cognome Mordecai per dare ai figli la possibilità di entrare nell’esercito o nell’amministrazione statale. Tutt’altra strada farà Karl dopo gli studi a Berlino e i viaggi in mezza Europa.

I CONCETTIBorghese non era termine che Marx avrebbe volentieri dato a sé stesso. Per lui la borghesia era carnefice nel sistema capitalista perché privava, con un furto, l’operaio di parte del suo guadagno legittimo, perché non gli concedeva il plusvalore del prodotto finito. Partendo da Hegel che aveva teorizzato che la storia è continua lotta fra classi: c’è sempre un padrone e sempre un servo. Poi Karl faceva un passo in più: il servo, lo sfruttato, prende coscienza dello sfruttamento e cerca di rovesciare il rapporto diventando padrone di sé stesso. È la rivoluzione del proletariato che porta a una società senza classi, in cui tutti sono padroni dei mezzi di produzione, quelli che rendono ricchi i capitalisti, e non ci sono sovrastruttura sociale.

LE APPLICAZIONIMarx lo ha raccontato in teoria nel Capitale come nel Manifesto del Partito Comunista scritto con Engels nel 1848, l’anno delle rivoluzioni in Europa. In pratica le applicazioni sono state diverse e nessuna senza gerarchie all’interno. La prima rivoluzione è avvenuta in Russia, il paese dove non c’era la borghesia, contro la quale l’autore del Capitale, diceva di doversi ribellare. C’era lo Zar e il feudalesimo non era lontano. In Russia il potere doveva andare alla classe operaia, nella dittatura del proletariato, che divenne potere pieno per il partito comunista da Lenin in poi. In Cina il potere è invece dei rivoluzionari di professione, un partito quello di Mao, sopra le masse contadine. Ancora una volta almeno un gradino sociale c’è e il crescente capitalismo all’interno del comunismo cinese è quanto di meno marxista esista.

QUEL CHE RIMANENon le applicazioni pratiche, ma i passaggi sociologici sono il forte delle teorie di Marx che in fin dei conti ha capito il capitalismo meglio di altri perché ha teorizzato l’accumularsi progressivo di quantità sempre maggiori di ricchezza nelle mani di pochi a fronte di un sempre più largo proletariato, la classe operaia. Se si guardano le statistiche è quello che viene raccontato ogni volta con una forbice sempre più ampia fra chi ha sempre di più e chi ha sempre meno.

LE FRASIChe lo si sia studiato o no restano frasi di Marx patrimonio dell’umanità come quel «Lavoratori di tutto il mondo unitevi» che era inno di rivoluzione, ma è passato anche per la satira.

«La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l’oppio dei popoli».

«Non è libero un popolo che ne opprime un altro».

«C’è solo un modo per uccidere il capitalismo – con tasse, tasse, e ancora più tasse».

«La teoria dei Comunisti può essere riassunta in una singola frase: Abolizione della proprietà privata».

«In linea di principio un facchino differisce da un filosofo meno che un mastino da un levriero. È la divisione del lavoro che ha creato un abisso tra l’uno e l’altro».

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