Matteo Salvini e il fascismo: è tutta una strategia di comunicazione?

Il ministro dell'Interno, nella sua carriera politica, ha citato più volte frasi appartenenti a Benito Mussolini. Ma qual è la giusta misura per non essere accusati di apologia al fascismo? Ne abbiamo parlato con lo storico Marco Gervasoni
Matteo Salvini e il fascismo è tutta una strategia di comunicazione

«Tanti nemici, tanto onore». Il ministro dell'Interno Matteo Salvini cita Benito Mussolini che cita a sua volta Giulio Cesare. Non è la prima volta che il leader della Lega viene accusato di utilizzare modi e frasi appartenenti al fascismo.

Questa volta è accaduto il 29 luglio scorso (nello stesso giorno del 1883 nasceva Mussolini), quando per rispondere alla copertina di Famiglia Cristiana «Vade retro Salvini» e ad altre denunce della sua politica sui migranti, il vicepremier Matteo Salvini ha pubblicato sui social network la frase della propaganda fascista.

Nello stesso giorno, il Comune di Carpi, in Emilia Romagna, ha modificato il regolamento legato alla concessione degli spazi pubblici. Prima di potere essere utilizzati è necessario ora compilare un modulo in cui si dichiara esplicitamente di essere antifascista.

Qual è la giusta misura? In Italia dal 1952, con la legge Scelba, l’apologia del fascismo è diventata un reato. La legge venne approvata per mettere in atto la XII disposizione transitoria della Costituzione italiana, che recita: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». E punisce anche «chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche». Anni dopo, nel 1993, venne introdotta la legge Mancino, che punisce i reati di odio e discriminazione razziale e punisce esplicitamente «l'esaltazione di esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo».

Per fare chiarezza, ne abbiamo parlato con lo storico e docente dell'Università Luiss di Roma, **Marco Gervasoni. **

Il ministro dell'Interno Matteo Salvini potrebbe essere accusato di apologia?«No. Se fossi stato io ministro dell'Interno non avrei pronunciato quella frase però non ci vedrei un'apologia di fascismo né dal punto di vista giuridico e nemmeno storico. Lo sarebbe nel caso del saluto romano ma anche su questo c'è una discussione aperta da parte dei giuristi».

La frase, però, richiama chiaramente il fascismo.«La frase in sé non è caratteristica del fascismo. Ci sono altre espressioni di Mussolini, come "Spezzeremo le reni alla Grecia", o "Li cacceremo sul bagnasciuga" che sono diventate un po' patrimonio comune e sono utilizzate in forma spesso parodistica ed esagerata. Una caratteristica propria del fascismo e dei movimenti neofascisti è stata quella dell'utilizzo della violenza politica, cioè utilizzare i propri militanti per colpire gli avversari politici, con violenza sia fisica che psicologica. Da storico farei una distinzione netta».

Di che tipo?«C'è un problema terminologico dato dal fatto che ormai da molti anni il termine fascismo è utilizzato per identificare tendenze, parole, movimenti, che col fascismo vero e proprio, quello che l'Italia ha vissuto nel ventennio mussoliniano, hanno poco a che vedere. Fascista oggi è considerato chi ha, per esempio, posizioni muscolari sull'immigrazione. Donald Trump nella stampa americana viene spesso chiamato fascista ma è in realtà molto distante dalla tradizione fascista che in America è stata sempre minoritaria».

Quando c'è reato di apologia del fascismo?«Nel momento in cui queste espressioni diventano azione politica. Dopo la legge Scelba, il problema si è posto con la proposta di legge firmata da Emanuele Fiano, onorevole del Pd, per introdurre il reato di propaganda del regime fascista e nazi-fascista. Io mi ero espresso criticamente nei confronti di questo progetto di legge perché se fosse passato avrebbe portato secondo me alla repressione anche nei confronti delle espressioni. Allo stato attuale della legislazione, mostrare in un luogo pubblico, ad esempio in un ristorante, il busto di Mussolini non può essere considerato apologia di fascismo».

Oggi, che valore ha perseguire questo reato?«Rispetto ai divieti, personalmente  sono critico nei confronti di leggi che incidono sulla libertà di espressione. Non lo sono solo per ragioni di principio ma anche per ragioni effettuali. Nella storia spesso si è visto che mettere fuori legge delle espressioni di pensiero, anche se le si considera pericolose e sbagliate, produce l'effetto opposto, crea dei martiri politici. Produce quel senso di fascinazione che i movimenti fascisti hanno sempre avuto. In questo caso, la demonizzazione può spingere molti giovani ad avvicinarsi».

È questa la strategia salviniana?«Pronunciare queste frasi rientra nella sua strategia di comunicazione, molto simile a quella del presidente americano Donald Trump, con l'unico obiettivo di tenere sempre alta l'attenzione, volta a polarizzare tra amico e nemico. Un importante giurista tedesco, Carl Schmitt, prima dell'avvento del nazismo aveva teorizzato che la politica è contrapposizione tra amico e nemico e il leader di rottura, sia a destra che a sinistra, tendono a polarizzare l'opinione pubblica tra amico e nemico».

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