India, se la vita delle bambine dipende dal prezzo dell'oro

La tradizione della dote è proibita per legge, ma ancora esiste in molta parte del paese: vale fra 4 e 8 volte lo stipendio annuale e incide sul destino delle figlie femmine

Formalmente la dote è proibita in India dal 1961, ma la pratica esiste ancora ed è talmente radicata che mette a rischio la vita delle figlie femmine troppo costose per la famiglia. Prova di quanto accade è in una ricerca di Selim Gulesci, assistant professor presso il Dipartimento di economia dell’Università Bocconi di Milano, che mette in diretta correlazione l’esistenza delle bambine indiane e le fluttuazioni del pezzo dell’oro.

«L’oro, tipicamente sotto forma di gioielli», spiega la ricerca, «è parte integrante della dote in India e poiché l’India importa più del 90% del suo oro, le fluttuazioni del prezzo internazionale si traducono in fluttuazioni nel costo della dote».

In collaborazione con Sonia Bhalotra della Essex University e Abhishek Chakravarty della Manchester University, Gulesci ha combinato i dati mensili sui prezzi internazionali dell’oro nel periodo 1972-2005 con i dati mensili delle coorti di nascita, che includono misure di sopravvivenza dei bambini e delle bambine. Sono stati così osservati più di 100mila casi ed è risultato che «nei mesi di inflazione del prezzo dell’oro, le probabilità che una bambina sopravviva fino a un mese dopo la nascita sono significativamente più basse».

Sono probabilità molto diverse da quelle della sopravvivenza dei maschi che anzi migliorano con il rialzarsi del prezzo dell’oro. Le femmine nate in mesi in cui il prezzo dell’oro stava aumentando e che sopravvivono fino all’età adulta sono anche più basse. Questo a causa delle privazioni imposte dai genitori: per loro il cibo è meno.

Ancora diversa la situazione dal 1985 in poi, quando ormai l’ecografia era diffusa. I genitori sembrano essere passati dalla trascuratezza per le femmine dopo la nascita all’aborto. È sempre una reazione ai prezzi dell’oro che riducono le possibilità di sopravvivenza delle femmine per cui la famiglia deve provvedere a una dote stimata in un costo che è fra le 4 e le 8 volte superiore al reddito familiare annuo.

Se in origine i pagamenti della dote erano pre-mortem alle figlie, i diritti di proprietà sulla dote sono ora spesso confiscati dallo sposo o dai suoi genitori e non restano alle donne. Ricerche precedenti hanno sostenuto che i costi della dote contribuiscono al fenomeno per cui i genitori indiani preferiscono avere figli piuttosto che figlie, ma senza portare prove sistematiche. Da qui sono partiti i ricercatori. «Recenti dati governativi», spiega Selim Gulesci, «il rapporto fra i sessi in India segnala 900 femmine ogni 1000 maschi nel 2013-15.Nonostante i persistenti periodi di alta crescita economica e il calo della povertà in India negli ultimi tre decenni, il numero di "donne scomparse" nella popolazione indiana è aumentato».

Meglio i maschi. «Un ampio gruppo di ricerche», continua il professore, «mostra che l'aborto selettivo di feti femminili, l'insufficienza di cure sanitarie e nutrizione per le figlie e l'infanticidio femminile sono tra le modalità di discriminazione genitoriale che generano lo squilibrio del rapporto tra i sessi…Alcune spiegazioni puntano a regole di ereditarietà patrilineare in base alle quali i figli adulti ereditano la proprietà ancestrale e co-vivono con i loro genitori, altri evidenziano norme restrittive di genere che impediscono alle donne di guadagnare reddito fuori casa. Un'altra spiegazione è stata collegata all'onere finanziario della dote».

Il risultato della ricerca è chiaro: bisogna abolire davvero la dote. «Quando i genitori si preoccupano maggiormente del costo della dote, perché i prezzi dell'oro aumentano molto, preferiscono più figli e meno figlie. L'implicazione politica diretta è che la pratica della dote dovrebbe essere abolita. Che tipo di politiche possono essere affettive per raggiungere questo obiettivo è una questione molto importante su cui abbiamo bisogno di più ricerca in futuro».

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