Una rivoluzione antirazzista

In Italia negli ultimi mesi il razzismo è dilagante ed è grave perché proviene dall’alto, da molti rappresentanti governativi. In questo numero il giornale prende posizione: vi troverete una serie di racconti, interviste e riflessioni che vogliono coltivare la coesistenza attraverso l’incontro e oltre la paura della diversità

Veduta di Palermo è un quadro di Francesco Lojacono dipinto nel 1875: custodito nella Galleria d’Arte Moderna del capoluogo siciliano, ritrae uno scorcio della flora che ancora oggi rappresenta l’isola nell’immaginario comune. A un occhio attento, però, gli alberi ritratti non sono prettamente siciliani: l’ulivo proviene dall’Asia, il pioppo dal Medio Oriente, l’eucalipto dall’Australia, il fico d’India dal Messico, il nespolo dal Giappone. Persino i famosi agrumi sono stati introdotti dalla dominazione araba.

Il quadro è stato scelto come simbolo di convivenza tra diversità dai curatori di Manifesta, la biennale nomade europea d’arte contemporanea che si è svolta a Palermo la scorsa estate. I giardini, infatti, sono luoghi «in cui forme diverse si mescolano e si adattano per convivere, spazi in cui l’impollinazione incrociata avviene attraverso l’incontro», scrivono i curatori spiegando anche il pensiero del «Giardino Planetario», progetto di Gilles Clément, botanico francese che ha utilizzato la natura come esempio della necessità umana di coltivare la coesistenza.

Quello che sta succedendo in Italia negli ultimi mesi è l’esatto opposto di tutto questo: il razzismo è dilagante ed è grave perché proviene dall’alto, da molti rappresentanti governativi, figure che lo legittimano e lo giustificano. E non c’è solo l’Italia. Il razzismo ammanta l’Europa e l’America dei muri innalzati. E il razzismo oltrepassa addirittura gli oceani finendo con il simbolico nome di Luca Traini (l’autore della tentata strage con finalità razziste a Macerata del febbraio 2018, culminata con il ferimento di sei persone) sul fucile di Brenton Tarrant, il 28enne che in Nuova Zelanda ha ucciso, in diretta Facebook, 50 persone e feritone altrettante che stavano pregando in due moschee. Cosa fare, ci siamo chiesti. La risposta è questo numero di Vanity Fair, un giornale che vuole prendere posizione contro il razzismo. Vi troverete una serie di racconti, interviste e riflessioni che vogliono coltivare la coesistenza attraverso l’incontro e oltre la paura della diversità.

In mancanza di una classe politica che illumini e che faccia sognare, invece di spaventare e deludere, forse è arrivato il momento di fare una piccola rivoluzione antirazzista partendo dal basso, dai piccoli gesti quotidiani. Eshkol Nevo, lo scrittore israeliano che trovate nella prossima pagina, sostiene che tutto inizia dai piccoli gesti, da come, per esempio, spieghiamo ai nostri figli il rispetto e l’apertura verso chi è diverso da noi. Perché una cosa è certa: non bisogna vergognarsi del pregiudizio, un’ombra che ci accompagnerà (purtroppo) sempre. Il vero problema è non riuscire a passare dal pregiudizio al giudizio, ovvero alla comprensione, alla coesistenza, all’inclusione.

È ora di tornare a essere umani, come strilliamo in copertina. Perché se si rinuncia al giudizio, dopo il pregiudizio c’è il lager, come insegna la storia e come ben scrive Mattia Feltri.

PS Questo numero speciale prevede anche la traduzione in inglese di alcuni articoli allo scopo di raggiungere il maggior numero di persone possibile.