Se le spose bambine sono anche a Milano

L'ultima è stata una piccola di 10 anni, che è riuscita a evitare un matrimonio combinato in Bangladesh solo grazie all'intervento disperato della madre. «Ma le segnalazioni di questa forma di schiavitù sono in aumento anche nel nostro Paese», spiegano dal Telefono Azzurro
Se le spose bambine sono anche a Milano

Sono 15 milioni ogni anno. Una ogni 7 secondi. Sono le minorenni costrette a sposarsi, spesso con uomini molto più grandi di loro. In Bangladesh, Paese che detiene il triste primato mondiale, sono il 52 per cento. Una percentuale salita ancora di più dopo la modifica al Child Marriage Restraint Act che ha reso la pratica legale.

Proprio da lì veniva la bambina di 10 anni che era stata promessa in sposa a un uomo di ventidue. A Milano. A salvarla, è stato l'intervento disperato della madre, che riferisce Il Giorno ha impedito che la figlia fosse portata in Bangladesh, il paese d’origine della sua famiglia, per un matrimonio troppo precoce con un parente più vecchio. La donna ha strappato i passaporti e i documenti di viaggio che il padre aveva preparato per partire. Subito dopo ha preso coraggio ed è andata a denunciare il marito per maltrattamenti in famiglia. Adesso, insieme alla figlia, è stata portata al sicuro, in una casa di accoglienza gestita dai servizi sociali.

Non era da molto tempo che lei e la piccola erano arrivate in Italia, ma da quel momento in poi erano state costrette a vivere in una specie di isolamento. La bimba doveva studiare il Corano in casa e non poteva frequentare la scuola né conoscere i coetanei. La donna ha anche raccontato di un’aggressione subita dal marito, che l’avrebbe ferita ad una mano con un coltello perché lei si era permessa di mettersi a cucinare senza chiedergli il permesso.

Un caso isolato in Italia? No. «Non ci sono dati precisi sulle spose bambine nel nostro Paese», ci spiega Simona Maurino, Referente del Servizio 114 Emergenza Infanzia di «SOS Il Telefono Azzurro». «Ma rispetto a qualche anno fa sono aumentate le segnalazioni: è difficile stabilire se il fenomeno è più frequente o se viene solamente denunciato più spesso. In Italia il numero delle ragazze di “seconda generazione” è piuttosto alto: sono nate e cresciute qui, frequentano le scuole e altri contesti aggregativi con le coetanee figlie di italiani. Questo confronto facilita l’emergere della richiesta di aiuto».

Queste ragazze, però, fanno spesso fatica a raccontare che cosa succede, perché si tratta di storie famigliari, e di vicende che si ripetono di generazione in generazione. «Ma quando vengono in contatto con un contesto diverso, in questo caso quello italiano, scoprono di poter scegliere per se stesse le relazioni o le unioni a lungo termine», continua la psicologa.

Spesso le famiglie, per costringerle a seguire le loro «regole», minacciano il rimpatrio forzato. «Queste richieste d’aiuto implicano una presa di posizione contro la propria famiglia, contro la cultura delle proprie origini. Sono considerate un tradimento, pur se le ragazze comprendono di avere il diritto di farle emergere. Nelle loro famiglie spesso le violenze non sono di tipo fisico, ma psicologico: con loro i genitori sfruttano il ricatto emotivo, ed è difficile per le ragazze chiedere aiuto».

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