Quanto caos sull'aborto

In Irlanda si vota per modificare la Costituzione che vieta l'interruzione di gravidanza, in Iowa una nuova norma restringe l'accesso. E da noi, a 40 anni dalla legge, si ricorre al «fai da te» e si parla di «sindrome»
Quanto caos sull'aborto

Questo articolo è stato estratto dal numero di Vanity Fair in edicola dal 16 maggio

22 maggio 1978. L’Italia ha una legge che regolarizza l’accesso all’aborto e consente alle donne di richiedere l’interruzione di gravidanza (fino a quel momento illegale) all’interno delle strutture ospedaliere nazionali. Una primavera dei diritti. È la 194 e compie 40 anni.  Ci sarebbe da festeggiare se non fosse che nel nostro Paese, che vanta una legge sull’aborto tra le più valide e permissive al mondo, le donne che in età fertile ci accedono è di 6,5 ogni mille. Pochissime. Nei Paesi in cui l’interruzione di gravidanza è permessa la media è di 37.  La legge per cui Emma Bonino si è autodenunciata nel 1975 dando vita alla battaglia, è tradita ogni giorno dall’obiezione di coscienza. Una scelta a cui ricorre il 70 per cento dei medici (dati Ministero della Salute), con picchi in alcune regioni come il Molise e la Basilicata che raggiungono rispettivamente il 97 e l’88 per cento. Se il medico che in queste zone pratica l’interruzione di gravidanza si ammala, le donne che la richiedono sono costrette a spostarsi altrove.

E se da una parte i dati rivelano che dal 1982 gli aborti sono in calo (nel 2016 le regioni hanno registrato 84.926 Igv, il 3,1 per cento in meno del 2015), dall’altra restano i vissuti di chi non ha facile accesso all’aborto farmacologico (solo il 15 per cento dei casi), meglio noto come pillola RU486, che può essere assunta solo in ospedale entro la settima settimana di gravidanza. In altri Paesi come Francia, Finlandia, Portogallo viene prescritta dal medico di base. Pesa sulla situazione italiana il dibattito culturale che ha toni sempre più accesi e violenti. Basti pensare ai manifesti di Forza Nuova «194, strage di stato» e ai mega poster ancora in circolazione firmati Provita con immagini di feti di poche settimane e la scritta: «Tu sei qui perché tua mamma non ti ha abortito».

Campagne mediatiche che spingono sull’acceleratore di notizie errate. Una su tutte la Sindrome Post Aborto. «Ribadiamolo, non esiste», ci spiega la dottoressa Anna Pompili, ginecologa e socio fondatore dell’Associazione Medici Italiani Contraccezione e aborto. «Le donne che non abbiano patologie psichiatriche a priori non hanno nessuna insorgenza di patologia psichiatrica dopo l’aborto. Dire che c’è una maggiore probabilità di suicidi è un falso. Sono bugie con intento ideologico che giocano con la salute delle donne».

In questo contesto sfugge alla logica dei numeri l’aborto fai da te. «Non serve più la mediazione di un operatore», continua la dottoressa Pompili. «È sufficiente prendere una pasticca, magari comprata su internet». Mentre l’ultra cattolica Irlanda si prepara, con il referendum del 25 maggio, ad abolire (forse) l’ottavo emendamento con cui la Costituzione in sostanza vieta in ogni caso l’aborto, nel mondo (25milioni di ivg l’anno) restano ancora troppe le limitazioni a questo diritto fondamentale. E se in Iowa è stata proprio una donna, la governatrice repubblicana Kim Reynolds, a firmare in questi giorni la legge sull’aborto più severa negli Stati Uniti, vietandolo dopo le sei settimane, c’è ancora molto da fare.