Il licenziamento dopo il cesto di Natale, il caso della Hps di Marnate

I dipendenti dell'azienda hanno avuto gli auguri di Natale e la lettera di licenziamento nel giro di due ore. Solo l'ultimo caso di chiusura improvvisa dopo Pernigotti e Hug

C’è chi è stato dipendente della Hammond Power Solutions per 24 ore appena. La lettera di assunzione il 17 dicembre quella di licenziamento il 18 insieme al cesto di Natale secondo quanto riporta il quotidiano Il Giorno per spiegare quanto sia stato un fulmine a ciel sereno l’annuncio della chiusura della sede di Marnate, in provincia di Varese, dell’azienda, a pochi giorni dal Natale.

Sono quaranta i dipendenti della Hammond, che ha nome straniero perché acquistata 6 anni fa da una multinazionale canadese, ma storica realtà del territorio da sempre, prima come Elettromeccanica Marnatese e poi come Marnate Trasformatori.

Alle due del pomeriggio di martedì 18 hanno ricevuto la cesta di Natale con gli auguri, due ore dopo la comunicazione che per la sede di Marnate era stata aperta la procedura di cessazione dell’attività. La chiusura definitiva dell’azienda è una delle possibili cause per il licenziamento collettivo come sarebbe per gli operai di Varese.

È la rapidità con cui tutto è avvenuto che ha stupito dipendenti e sindacati che avevano già appuntamenti fissati. Rino Pezone della segreteria provinciale Fiom Cgil Varese ha spiegato che «non c’erano avvisaglie, anzi nel mese di settembre erano stati annunciati per il 2019 investimenti e assunzioni». Invece l’azienda canadese avrebbe trovato che i costi fiscali relativi al 2019 sarebbero stati più alti dei ricavi e per questo avrebbe deciso la chiusura dello stabilimento, uno dei due italiani del gruppo che ha sedi in Canada, India e Messico. Il gruppo è quotato alla Borsa di Toronto ed è leader di mercato nel Nord America.

I dipendenti sono in ferie fino al 7 gennaio. Dopo questa data ci sono 45 giorni per trovare un accordo con l’azienda. La speranza è di mantenere aperto lo stabilimento, ma si dovrà probabilmente trattare l’uscita degli operai.

La vicenda ricorda quella della Pernigotti di Novi Ligure dove, nella notte di Natale il vescovo di Tortona, Vittorio Viola, ha celebrato la messa nel cortile dell’azienda che la proprietà turca vuole chiudere. «Il Bambino è venuto a riportarci la dignità di ogni uomo, smascherando l'idolo falso del denaro. Non dobbiamo arrenderci all’idea che il sistema sia più grande di noi e che non potremo fare nulla. Va ripensato tutto il nostro vivere insieme, scegliendo valori comuni con al centro la persona e la sua dignità».

Per l’azienda ci sono due manifestazioni di interesse. Un fondo indiano e la Sperlari è interessata non solo al marchio, ma anche all'acquisto dello stabilimento piemontese, con il mantenimento degli attuali livelli occupazionali.

Lo stesso per il caffè Hag che, con la chiusura dello stabilimento di Andezeno, in provincia di Torino, cesserebbe di essere italiano. La Jde, multinazionale olandese proprietaria dei due marchi, vuole spostare la produzione in altri stabilimenti europei. Manuela Vendola della Uila-Uil ha spiegato a Vanity Fair che «la multinazionale olandese che gestisce Hag e Splendid ha 15 stabilimenti in Europa. Ha rilevato lo stabilimento con i suoi marchi nel 2015 e ha chiuso gli ultimi tre bilanci in attivo. Tutto potevamo immaginare, il 25 settembre, quando ci hanno chiamato a un tavolo, tranne che ci annunciassero la chiusura dello stabilimento. Pensavamo dovessero parlarci dei premi produzione: i risultati erano brillanti, i tassi di assenteismo bassi».

Secondo la sindacalista il problema è che «non esistono strumenti a tutela del Made in Italy, e la libertà di impresa impone che un’azienda possa scegliere di delocalizzare». Vale per i dolci, il caffè e i trasformatori.

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