Zanardi, abusato da un prete: «Continuerò a sentirmi un vaso rotto»

Il fondatore della rete «L’Abuso» ci ha raccontato le contraddizioni della Chiesa nell’affrontare la questione della pedofilia, anche durante il summit vaticano
Zanardi abusato da un prete «Continuerò a sentirmi un vaso rotto»

«Un vaso rotto: così si rimane. Si possono rimettere insieme i cocci, ma le crepe continueranno a segnarlo. Un bambino abusato non riuscirà mai a dimenticare, mai a mettere davvero da parte quello che gli è stato fatto». Francesco Zanardi, 48 anni, a 11 è stato vittima di violenza da parte del prete della parrocchia che frequentava, è diventato un attivista e ha fondato la rete «L’Abuso». Questi sono stati giorni molto importanti per lui: quelli del summit sulla pedofilia in Vaticano. Zanardi, che vive a Savona, li ha trascorsi a Roma, in attesa di novità e aperture che, però, non si sono concretizzate.

«Nel documento rilasciato dalla Santa Sede, la Chiesa dice di essere vittima. Ma le vittime siamo noi: la Chiesa è stata carnefice. Sono deluso: mi è dispiaciuto sentire le solite promesse rivolte al futuro», ci spiega. «Non ci sono stati provvedimenti tangibili, il passato sembra essere stato dimenticato. È come se ci fosse stato detto: “Siete stati delle vittime? Ci spiace, non lo facciamo più”. Ma quante volte abbiamo già sentito quella promessa? Noi ci aspettavamo almeno che venissero consegnati alle autorità quei fascicoli mai rilasciati alla magistratura. Non sappiamo dove siano e cosa facciano tutti i preti pedofili, ma la Chiesa lo sa». Molti dei dossier con i nomi dei colpevoli, poi, sono stati distrutti. «Ma quelli che sono rimasti, perché non sono stati consegnati? Qual è il motivo?».

«Ci saremmo aspettati che Papa Francesco avesse destituito tutti quei vescovi che per tanto tempo hanno insabbiato i casi di pedofilia». A dicembre, il Pontefice ha rimosso dal suo circolo due stretti consiglieri coinvolti nello scandalo degli abusi sessuali: uno è George Pell, l’altro Francisco Errázuriz Ossa. Ma Zanardi ricorda il caso di don Giovanni Trotta: accusato di una dozzina di abusi, venne ridotto allo stato laicale. «Il suo caso fu coperto da Luis Ladaria, l’attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, quella che dovrebbe giudicare i preti pedofili», continua Zanardi. «La sua riduzione allo stato laicale non venne comunicata ai fedeli per non dare scandalo e Ladaria, il responsabile di questa insabbiatura, continua a ricoprire il suo incarico nella Congregazione». Zanardi aggiunge che, grazie alla discrezione di Ladaria, «Trotta continuò a fingersi prete e abusò di altri otto ragazzini».

Per Zanardi, l’altro problema è che i processi a cui vengono sottoposti gli accusati sono quelli canonici, e non quelli del tribunale civile. «Questi procedimenti interni alla Chiesa contestano la violazione del sesto comandamento: la vittima non è il bambino abusato, ma Dio. E la massima pena che si può comminare a un prete è la riduzione allo stato laicale. A noi interessa che i carnefici subiscano un processo penale, che siano condannati e che debbano risarcire le vittime. Il processo canonico restituisce giustizia solo a Dio: non dico di non farlo, ma non è sufficiente. Non basta cacciare i pedofili: bisogna processarli, perché i preti che violentavano i bambini continueranno a farlo, magari solo non più in chiesa».

Altre volte, la Chiesa ha coperto i carnefici: Zanardi ricorda il caso di don Mauro Inzoli, ex Comunione e Liberazione, condannato per molestie sui minori. «La magistratura chiese al Vaticano i documenti che lo riguardavano, ma non li ricevette. E così, mentre la Chiesa dorme e non collabora, tanti altri bambini diventano vittime».

Come successe a lui. «Quel prete abusò di me per quattro eterni anni, da quando ne avevo 11.Riuscii poi finalmente a lasciare la parrocchia, ma fu un trauma che mi segna ancora oggi. Lasciai gli amici, mi feci trascinare nel tunnel della droga. Quelle aggressioni bloccarono la mia sfera sessuale, l’affettività e i rapporti sociali: avevo una paura folle di tutto. Non a caso quello che si subisce viene chiamato “danno biologico”: ti condiziona la vita, e non riesci a recuperare».

Le ex vittime che fanno parte della sua rete sono 800 circa: la maggior parte ha subito violenza quando aveva dagli 11 ai 14 anni, ma ci sono anche casi di bambini violentati a sei, otto anni. «Fra tutti noi è molto comune la somatizzazione: io mi sono ammalato di tumore al colon, molti hanno problemi intestinali, come il morbo di Crohn. Ci si abitua a vivere da vittime: una parte di se stessi muore per sempre e una parte di coscienza non matura. Continuiamo a sentirci in colpa. Ripariamo un po’, ma non superiamo mai. L’unica certezza che abbiamo è che non vogliamo che succeda ad altre persone: vogliamo che i bambini siano al sicuro».

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