Lombardia, il capogruppo Pd Brambilla: «Il Referendum? Uno spot elettorale»

Lombardia e Veneto si preparano al Referendum che si svolgerà il 22 ottobre. A cosa serve questo voto? Lo abbiamo chiesto al capogruppo del Pd regionale Enrico Brambilla
Lombardia il capogruppo Pd Brambilla «Il Referendum Uno spot elettorale»

Il 22 ottobre la Lombardia e il Veneto vanno al voto. Si svolgerà dalle 7 alle 23 il referendum consultivo (il cui esito non ha valore vincolante) con cui le due Regioni, governate da Roberto Maroni e Luca Zaia, entrambi leghisti, chiedono maggiore autonomia dallo Stato, aumentando le materie di propria competenza. Una possibilità prevista dal Titolo V della Carta Costituzionale sui rapporti tra Stato e Regioni, all’articolo 116.

Il quesito a cui i cittadini lombardi e veneti dovranno rispondere SÌ o NO chiede se si vuole che la giunta regionale «intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse».

Gli scontri seguiti all'esito del recente referendum in Catalogna hanno gettato una luce diversa sulla consultazione del 22 ottobre, in molti temono infatti una ripresa dei movimenti autonomisti e indipendentisti del nord Italia. Gli organizzatori ribadiscono «che tutto si svolgerà nella legalità e in via pacifica» mentre il Pd, con una parte di sindaci dem che si sono esposti a favore del SÌ, tra cui il milanese Beppe Sala, e un'ampia fetta che ha dichiarato l'astensione dal voto, appare spaccato, anche questa volta.

Ne abbiamo parlato con Enrico Brambilla, capogruppo del Pd in Consiglio Regionale Lombardia e autore del libro Il referendum inutile e l'autonomia necessaria (Novecento Editore).

Qual è l'obiettivo di questo referendum?«La finalità dichiarata è avviare una trattativa tra la regione e lo stato perché la Lombardia abbia maggiore autonomia su alcune materie».

E quella non dichiarata?«Lanciare la campagna elettorale per il rinnovo della presidenza. Serve sicuramente questo passaggio al governatore Roberto Maroni per rafforzare la sua immagine e la sua presa sull'elettorato lombardo».

Ha scritto un libro dal titolo «Il Referendum inutile e l'autonomia necessaria». Cosa non le piace del Referendum?«La sua strumentalità e questa sua ambivalenza. La richiesta in sé è assolutamente banale e condivisibile ma è del tutto evidente che dietro questa si celano altri fini e soprattutto si fa intendere agli elettori lombardi di potere ottenere delle cose che non sono palesemente ottenibili, se non a costo di mettere in gioco l'unità stessa della nazione»

Per esempio?«In particolare la questione fiscale: si dice che con l'autonomia verrebbe trattenuta in Lombardia una buona parte dei 50 miliardi che la Regione versa a Roma in più, rispetto ai servizi che ottiene in cambio. Al di là della veridicità di questo dato, uno spostamento tale di risorse (o anche solo della metà) metterebbe naturalmente a repentaglio la tenuta dei servizi in molte altre Regioni, poiché i soldi in più che si dovrebbe trattenere la Lombardia sarebbero sottratti ad altri».

Il suo libro è uscito a poco più di un mese dal Referendum, qual è l'obiettivo?«Richiamare alla necessità di una solidarietà nazionale e anche al pensiero  che probabilmente delle riforme andranno fatte ma sempre avendo a mente e a cuore l'unione, condurre una competizione di squadra e non da soli. Infine smontare le falsità della propaganda che attorno a questo tema la Regione Lombardia sta distribuendo a piene mani».

Può spiegarci meglio?«Mentre il quesito ufficiale si colloca all’interno della Costituzione Italiana, le ragioni illustrate sul sito di regione Lombardia vanno in senso opposto, sia in materia fiscale (con cifre assolutamente di fantasia ) che nell’intenzione di appropriarsi di competenze non trattabili quali la sicurezza, l’ordine pubblico, l’immigrazione».

Una vittoria del Sì potrebbe dare più forza all'autonomia davanti al governo?«Si tratta di un referendum consultivo e quindi privo di qualsiasi conseguenza di natura pratica, in secondo luogo siamo a fine legislatura sia regionale che nazionale, probabilmente nessuno tra anno si ricorderà nemmeno più del referendum lombardo. Noi a Roberto Maroni avevamo proposto di avviare da subito delle trattative concrete su poche e selezionate materie e cercare da subito un'intesa possibile con lo stato, per avere più autonomia. Questa invece è una operazione tutta politica e da palcoscenico».

**La posizione del Pd rispetto al Referendum è confusa. ** «Il Pd regionale ha lasciato libertà di voto  proprio perché se dovessimo stare alla domanda in sè si potrebbe dire che non ci sia materia del contendere, è come chiedere a una persona se vuole bene alla mamma. Non convince la strumentalizzazione dell'operazione».

Alcuni sindaci del Pd però si sono esposti a favore del Sì.«Sì, lo hanno fatto pensando di potere condizionare l'esito, è una scelta che comprendo e non condivido».

Nel suo libro si definisce «un partigiano dell'autonomia», lei voterà?«No. Ho condotto tutta la mia carriera politica all'interno delle autonomie locali prima da sindaco poi da consigliere regionale. Credo che sia necessario dare maggiore libertà di manovra insieme alla responsabilità, ai livelli locali di governo. Penso anche che chi sta più vicino al cittadino possa meglio interpretarne i bisogni ma tutto questo deve rimanere all'interno di un quadro di solidarietà complessiva. Non si può pensare di essere soli al mondo».

Qual è la sua proposta per una maggiore autonomia?«I principi sono tutti scritti nella Costituzione, ma non sono attuati: si dovrebbe modificare la distribuzione delle risorse e fare in modo che i livelli locali vengano responsabilizzati nel raccogliere soldi dai cittadini e rendere conto di come li spendono. È necessario ottenere inoltre che in tutto il paese si applichino i cosiddetti "costi standard", ovvero applicare allo stesso servizio un costo unico da Bolzano alla Sicilia».

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