E nella sua Puglia D'Alema arrivò ultimo
Le battute verrebbero facili. Tipo che, come Jep Gambardella, non voleva soltanto frequentare i partiti. Voleva avere il potere di farli fallire. Oppure che all'età di 69 anni ha parzialmente risposto all'appello di Nanni Moretti in Aprile. Non ha detto una cosa di sinistra ma l'ha fatta: ha perso rovinosamente.
Perché Massimo D'Alema, domenica sera, ha perso due volte. La prima volta ha perso col suo Liberi e Uguali. Era un partito che aveva creato assieme a colleghi di variegate provenienze e prospettive (come Grasso, Bersani, Pisapia, Boldrini, Grasso, Speranza, Fratoianni e Civati) ma che con lui condividevano una viscerale antipatia per il leader del Pd Matteo Renzi. Con loro si era posto l'obiettivo di arrivare almeno al 7%. Si è fermato sotto il 4.
La seconda volta ha perso personalmente, finendo all'ultimo posto tra i candidati del suo collegio storico salentino di Nardò-Gallipoli, dove correva per l’uninominale al Senato. «Sono disponibile se i miei elettori lo vorranno», diceva prima della corsa elettorale. «E i miei elettori sono i cittadini del Salento. Sono sempre stato un parlamentare della Puglia». Ecco, non più.
Nella sua Puglia il lìder maximo si è fermato alla percentuale minima (3,9%), poco sopra la media regionale presa dal partito di Grasso. Sopra di lui, la candidata del Movimento 5 Stelle al 40%, quello del centrodestra al 35% e quella del Pd al 17%.
Certo, l'ex Presidente del Consiglio sconta una mazzata che agli uninominali si è abbattuta su tutta la passata classe dirigente (da Marco Minniti a Roberto Pinotti, fino a Dario Franceschini), segno forse di una non aprioristicamente positiva voglia di rinnovamento.
E lui si era impegnato con tutto se stesso in campagna elettorale. Aveva passato le mattinate tra i pescatori del porto, trascorso i pomeriggi tra gli anziani dei bar. Aveva persino firmato un patto come Silvio Berlusconi, in cui si impegnava a non far passare l'opera del Tap. Niente da fare. I voti personali presi, sui 10 mila totali, non sono stati più di 500.
Un po' di più dei soprannomi che gli hanno affibbiato: «Volpe del Tavoliere», «Togliattino», «Sarcasmo da Rotterdam» e tanti altri. Difficile prevedere ora come reagirà «Baffino». Dovessimo basarci sulle parole del suo ex collega Peppino Caldarola («È competitivo su tutto, e con chiunque. Se prende un caffè al bar, deve spiegare al barista come si fa un buon caffè») scommetteremmo sul suo ritorno. O magari su un suo rientro, dalla porta o dalla finestra, in un partito che ha sempre sentito suo. Un partito il cui leader, ci perdonerà Renzi e forse gongolerà D'Alema, al momento è già fallito.
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