Nel Pd ha vinto Renzi: no a governi con Lega o M5

La Direzione si conclude con una tregua tra i renzinani e Martina. Che, dal canto suo, parla di «rifondare il Pd». Una frase, archivi alla mano, sentita già 30 volte nei 10 anni di vita del partito
Nel Pd ha vinto Renzi no a governi con Lega o M5
Michele Emiliano
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La Direzione del Pd che cercava una direzione per il Pd si è chiusa con un armistizio. E all'unanimità ha votato la mozione del segretario reggente Maurizio Martina che di fatto dice: abbiamo scherzato. Nessuna apertura ai 5 Stelle, che pure lui stesso aveva appoggiato; nessuna apertura neanche al centrodestra, di cui pure si era parlato; fiducia allo stesso Martina, almeno fino all'assemblea nazionale; e il solito appello all'unità: «Basta odi tra noi».

LA TREGUA TRA MARTINA E RENZIÈ tregua dunque con l'area renziana (quella contraria a qualsiasi dialogo con i 5 Stelle chiesto da Di Maio). Il patto tra Martina e Renzi, stando alle indiscrezioni, è semplice: nessuna apertura a Di Maio, in cambio della fiducia al segretario reggente.

CONSULTAZIONI LUNEDI'Tutto fermo fino a lunedì, quando la palla tornerà nelle mani di Sergio Mattarella. Il Presidente della Repubblica convocherà per quel giorno un nuovo giro di consultazioni (il terzo) con tutte le forze politiche. Si tratterà però di incontri lampo, 20 minuti, che avverranno tutti in giornata. Mattarella verificherà con i vari leader se esistono «altre prospettive di governo» oltre a quelle già esplorate invano negli ultimi due mesi.

LE DUE IPOTESIDopo l'ultima chiamata, finiti gli incontri, Mattarella scioglierà la riserva e farà la sua mossa. Esclusa l'ipotesi di un voto a giugno (troppo tardi), la più probabile è quella di un governo di tregua presieduto da un a personalità terza, che approvi la legge di stabilità, affronti le scadenze europee in vista e traghetti il Paese fino alle prossime elezioni, che magari si terranno nella primavera del 2019.Il piano B, nel caso i partiti vincenti alle elezioni non dovessero appoggiare il governo del Presidente, prevede un prolungamento del governo Gentiloni ed elezioni anche in autunno.

«RIFONDARE IL PD»? UNA FRASE GIA' SENTITA 30 VOLTE«Supporteremo l'operato del presidente Mattarella. Saremo costruttivi», ha detto sicuro Martina. Che poi, ha lanciato la mitologica frase: «C'è bisogno di rifondare il Pd». Di più: «Serve davvero un nuovo inizio. Riprogettare per ripartire». E così il segretario fa sua una frase che, ricerca d'archivio alla mano, abbiamo già sentito dire a esponenti del partito almeno trenta volte. In poco più di 10 anni dalla sua fondazione, il Partito Democratico è stato «rifondato» in media più di tre volte l'anno, con una punta nel 2013, anno in cui aveva «non vinto» le elezioni. Il primo a volerlo rifondare, ad appena un anno dalla sua nascita, fu, com'è giusto che sia, Massimo D'Alema: «Dobbiamo partire per rifondare un nuovo centrosinistra», disse agli elettori perché Veltroni intendesse. Salvo poi, a gennaio, commentare amaramente: «Sono pronto, ma nessuno mi ha chiamato».

Seguì pochi mesi dopo Pippo Civati, consigliere regionale del Pd e futuro sfidante di Renzi: «Bisogna rinnovare e rifondare il Pd da Milano». Anni dopo, Civati fondò un altro partito.

Nel luglio 2009, alle primarie, sempre per rifondare il partito, si presentò un comico venuto da Genova. E pure lui si associò al lessico democratico: «Partecipo per rifondare un movimento che ha tolto ogni speranza di opposizione a questo Paese», scrisse Beppe Grillo. Il Pd non lo accettò. Rifondazione mancata.

Fortuna che dopo l'estate si affacciò Michele Emiliano, che dalla Puglia parlava dell'«occasione per rifondare il Pd, anche moralmente». Da Roma due anni dopo arrivò il presidente della provincia Nicola Zingaretti: «È tempo di rifondare il Partito democratico». E dalla Campania si offrì in suo aiuto Andrea Orlando, che puntava piuttosto in alto: «Il Pd è un partito da rifondare nella sua classe dirigente». Concordavano nelle stesse settimane Pier Luigi Bersani («E' un Pd da rifondare») e Maurizio Cacciari («Da questa situazione si esce soltanto rifondando il Pd»). Entrambi hanno rifondato se stessi fuori dal Pd.

Ma l'anno in cui la volontà di rifondazione toccò il suo apice fu il 2013, quello delle elezioni politiche «non vinte», secondo l'interpretazione di Bersani. In quell'anno appelli arrivarono, nell'ordine, da un certo Matteo Renzi («Rifondare il Pd. Un anno di governo e poi al voto»); da Enrico Rossi («Rifondare il Pd? Io direi piuttosto che il Pd va ricostruito»); David Sassoli («Bisogna rifondare il partito: il Pd deve allargare i propri confini»); Nicola Zingaretti («Bisogna rifondare la cultura unitaria del partito»); Stefano Bonaccini («Rafforziamo la democrazia per rifondare il partito»); Deborah Serrrachiani («Renzi è la persona giusta per rifondare il Pd»); ancora Civati («Rifondare l'alleanza con Sel e con il popolo delle primarie»); Francesco Boccia («Dobbiamo utilizzare il tempo di questo governo per rifondare questo partito»); Franco Marini («Il nuovo segretario dovrà dedicarsi per quattro anni a rifondare il partito»); Gianni Cuperlo («Bisogna azzerare e rifondare il Partito democratico»).

Persino i giovani del Pd, in modalità di protesta contro i vecchi del Pd, non dimostrarono di conoscere parole diverse da quelle del Pd e chiamarono a raccolta i ragazzi di Sel, partito a sinistra del Pd. Il motivo? «Per rifondare il Pd tutti insieme», ovviamente.

L'anno dopo fu il turno di Fabrizio Barca, che iniziò il suo tour attraverso le varie sedi del partito «per rifondare l'idea di partito». Il solito Cuperlo, davanti agli scandali di Mafia Capitale, ammoniva: «Non basta ringraziare la procura, bisogna rifondare il partito».

A marzo l'allora ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina offriva per la prima volta la sua ricetta: «Occorre rifondare i socialisti e i democratici europei». Ovvio. Una variante linguistica era arrivata da Andrea Orlando, che forse esausto dagli appelli aveva richiamato tutti alle origini: «Più che rifondare, bisogna "fondare" il Pd». Acuto ma niente. Roberto Speranza, che si opponeva a Renzi con il ticket assieme a Michele Emiliano, urlò: «Rifondare il Pd». Appello non colto. Cuperlo ammoniva ancora: «Resta isolato chi non ha il coraggio di rifondare tutto». Si rifonda? Macché.

Dopo il disastro alle elezioni del 2018, però, qualcosa ricomincia a muoversi. «Bisogna rifondare un'identità in cui una comunità politica possa riconoscersi», auspica Chiamparino. «Per arrivare a scegliere un segretario dobbiamo prima rifondare il Pd», si associa Orlando.

Adesso, Maurizio Martina: «Bisogna rifondare il Pd. Serve davvero un nuovo inizio». Uno di quelli sentiti almeno trenta volte. Perché l'impegno è quello di rifondare per evitare di affondare. Nel tentativo di riemergere, dopo aver toccato il fondo.

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