I gioielli rubati a Venezia, «ossessione» di Al Thani

A Palazzo Ducale, spariscono da una teca alcuni monili della collezione del principe Hamad bin Abdullah Al Thani. Che, secondo la regina Elisabetta, sua intima amica, vive «in un modo molto più sfarzoso» del suo
I gioielli rubati a Venezia «ossessione» di Al Thani

Come in un film: gioielli da sogno, un palazzo ancor più strabiliante nella città più cinematografica del mondo e ladri degni di Ocean's Eleven. La sequenza, verissima, è andata in scena questa mattina al Palazzo Ducale di Venezia, dove verso le 10 sono spariti da una teca alcuni monili della collezione del principe Hamad bin Abdullah Al Thani, in mostra fino a oggi. Un furto dai diversi punti oscuri – com'è possibile che una teca sia stata aperta facendo scattare l'allarme in ritardo? - sul quale gli inquirenti stanno cercando di fare luce.

Per fortuna, si tratta di alcuni pezzi minori dell'esposizione Tesori dei Moghul e dei Maharaja, non delle pietre più importanti messe insieme dal collezionista Al Thani in otto anni di ricerche e shopping compulsivo. «Quando mi alzo il mattino, solitamente trovo una mail che lo sceicco Hamad mi ha mandato alle tre di notte», ha raccontato Amin Jaffer, responsabile della collezione e tra i curatori della mostra veneziana. «Il tono è più o meno questo: ho visto il gioiello X sul libro Y, troviamo dov’è e comperiamolo». Una passione esplosa per caso nel 2009, quando visitando la mostra Maharajas al Victoria and Albert Museum di Londra lo sceicco rimase talmente affascinato da una daga di giada da volerla acquistare a ogni costo. «La mia è un’ossessione, ma sono selettivo: il confine tra eleganza e volgarità è molto sottile», ha spiegato Al Thani, che la regina Elisabetta, sua intima amica, dice «vivere in un modo molto più sfarzoso del mio».

E pensare che lo sceicco in India c'è stato solo due volte, la prima per un tour del Rajastan e la seconda per visitare il Taj Mahal che lo Shah Jahan fece costruire per ospitare le spoglie della moglie Mumtaz Mahal. Di tutti gli imperatori moghul che guidarono l'India, il “re del mondo” che governò l’India tra il 1628 e il 1658 rappresenta per Al Thani l'apoteosi. Di suo, lo sceicco possiede ahilui solo quattro gioielli: una daga, una collana con un grande diamante con inciso il suo nome, uno smeraldo anch’esso scolpito e una gigantesca perla che ornava uno dei suoi turbanti. Sebbene non i più opulenti, sono per Al Thani i pezzi più preziosi di una collezione di centinaia di oggetti che coprono oltre quattrocento anni di storia indiana, da quando Zahir ud-din Babur, un principe originario dell’Asia centrale di-scendente diretto di Tamerlano e Gengis Khan, conquistò l’India nel 1526 dando vita all’impero.

Le pietre divennero immediatamente uno strumento per mostrare agli altri potere e averi. Il gioiello è appannaggio degli uomini, ad abbondare è la giada, simbolo di vittoria nel mondo musulmano che ha anche un vantaggio pratico: rivelare la presenza di veleni nei liquidi e annullarne gli effetti (per questo era molto usata per brocche e bicchieri). Poi arrivano diamanti, rubini, zaffiri e smeraldi, montati senza l'utilizzo di griffe grazie alla tecnica del kundan. È dalla miniera di Golconda che si estraggono le pietre più incredibili: il gran moghul Jahangir, padre di Shah Jahan, metterà insieme una collezione di oltre 127 mila carati.

Nel Seicento, il francese Jean-Baptiste Tavernier si spinge fino a Delhi per cercare nuove pietre da commercializzare alla corte del re Sole. Fa man bassa, tra queste c'è il diamante blu Hope da 45 carati (oggi esposto a Washington) che Luigi XIV pagherà 998 mila lire (paragonabili a 40 milioni di euro odierni). Quando nel 1857 l’esercito di sua maestà Vittoria conquisterà l'India e seppellirà la dinastia moghul, saranno i maharaja spogliati di ogni autorità a rivolgersi a occidente: per compiacere l’invasore, i gioielli devono seguire il gusto europeo. A Londra o a Parigi vengono smontati e rimodellati, se non affidati ex novo ai grandi nomi dell’alta gioielleria. I maharaja e le maharani – indimenticabili i gioielli di quella di Baroda che in preda ai debiti venderà tutto a Ljuba Rizzoli - scelgono Cartier, Bucheron e Chaumet che daranno vita a creazioni uniche destinate a finire nelle mani di Al Thani. E di ladri misteriosi capaci di un colpo davvero grosso.