Fan Bingbing, l'attrice scomparsa e poi riapparsa

Un mistero ha avvolto negli ultimi mesi la superstar del cinema cinese Fan Bingbing. Che, quando è tornata in pubblico, ha spiegato di provare «profonda vergogna». Perché?
Fan Bingbing l'attrice scomparsa e poi riapparsa

Quando, da un giorno all’altro e senza alcuna spiegazione, Fan Bingbing – l’attrice più famosa e meglio pagata della Cina – è sparita, lo scorso luglio, sono iniziate a fioccare varie teorie cospirative. Che fosse stata rapita? O invece era stata messa in esilio? O forse «la bellezza n. 1 di tutti i cieli» – come viene chiamata – aveva avuto una liaison con il vicepresidente ed era stata obbligata a nascondersi?

In Cina, dove l’industria cinematografica adora tutto quanto è fantasia e mistero, la vicenda della sua scomparsa ha dato vita a un plot giallo in cui Fan stessa potrebbe dare il suo meglio come attrice. Poi, la scorsa settimana, dopo un’assenza durata più di tre mesi, Fan è riemersa dal buio con una dichiarazione che potrebbe valerle una parte di spicco in qualche famosa serie tv: un discorso di scuse, pubbliche e forzate. Non ha parlato di fronte alle telecamere, ma difficilmente avrebbe potuto realizzare una performance più strappalacrime della lettera aperta che ha pubblicato su Weibo, l’equivalente cinese di Twitter, dove conta 62 milioni di follower.

Dopo aver espresso «profonda vergogna e tristezza», Fan ha ammesso di aver sottostimato le proprie entrate a causa della pratica dei «contratti yin-yang», pratica diffusa in Cina con cui di fatto viene dichiarato un guadagno inferiore a quello realmente percepito. In totale, tra arretrati e sanzioni, l’attrice è stata obbligata a pagare 130 milioni di dollari. Le sue azioni, ha scritto, non sono state solo un passo falso personale, ma un tradimento ai danni della Cina.

«Devo la mia fama al supporto che ho sempre avuto dal mio Paese e dalla sua gente. Senza le grandi politiche del Partito comunista cinese e della nazione, senza l’amore del popolo cinese, Fan Bingbing non esisterebbe», scrive**. E aggiunge: «Ho deluso il mio Paese».** In una nazione in rapida crescita economica come la Cina, dove l’evasione fiscale dilaga tra i ricchi, quello che ha colpito molte persone non è stato tanto il presunto misfatto – così prevedibile da apparire quasi banale – ma il modo sorprendente in cui è stato gestito il caso.

Il Paese ha un numero record di attivisti per i diritti umani e dissidenti politici scomparsi, le cui assenze attirano pochissima attenzione. Ma la scomparsa della star più in vista della Cina – quella che, come riporta il South China Morning Post, è stata trattenuta in una «località di villeggiatura» – indica l’inizio di una nuova era, che fa pensare però a un ritorno al passato. Per quei cinesi che hanno vissuto la Rivoluzione culturale, durata dal 1966 al 1976, il tono della dichiarazione di pentimento di Fan ha tutta l’aria delle autocritiche umilianti che i sospettati non rivoluzionari erano costretti a scrivere sotto tortura o sotto ricatto di morte.

Durante quel decennio di violenze spietate e persecuzioni, i processi e le sessioni di dibattito pubblici sono stati strumenti potenti nelle mani dello Stato, usati per intimidire la popolazione e, in maniera del tutto perversa, per screditare le accuse di abusi di potere. Quando Fan ha dichiarato di vergognarsi per «non aver salvaguardato gli interessi del mio Paese e della nostra società contro i miei interessi personali», il linguaggio sembrava preso pari pari dai discorsi di Mao Zedong – o, per la materia trattata, da quelli di Xi Jinping – sull’importanza della responsabilità sociale e del dovere nei confronti della patria.

Nata nel 1981 in una famiglia di origini modeste nella città orientale di Qingdao, Fan è cresciuta durante gli «anni di trasformazione e apertura» del boom del libero mercato di Deng Xiaoping, quando le politiche liberali aprivano opportunità culturali ed economiche che solo pochi anni prima lo Stato avrebbe definito sovversive.

A quel periodo è seguita una fase di vertiginosi e rapidi cambiamenti. L’etica imprenditoriale sostenuta da Deng implicava che, in un caso come quello di Fan, il fatto di essere stata così fortunata da essere nata bella e di aver lavorato sodo, studiato e incontrato le persone giuste poteva significare raggiungere livelli stratosferici di successo e ricchezza: «Non mi serve sposare un uomo benestante», si è vantata qualche tempo fa. «Sono io la famiglia agiata di cui ho bisogno».

A 33 anni Fan ha ottenuto il record di quarta attrice più pagata al mondo, battendo Angelina Jolie e Julia Roberts, e per ben quattro anni ha scalato la Celebrity List cinese di Forbes. È a lei che si rivolgono puntualmente i grandi marchi internazionali e gli studi di Hollywood intenzionati a penetrare nel mercato cinese.

Nel 2013 ha recitato in Iron Man 3, l’anno seguente in X-Men - Giorni di un futuro passato. Presto la vedremo nel film drammatico Air Strike accanto a Bruce Willis e Adrien Brody. In Cina, la sua ubiquità – è stata brand ambassador di Louis Vuitton, Cartier e Mercedes-Benz, tra gli altri – è stata pareggiata solo dal presidente Xi. Accanto a ogni cartellone scintillante con slogan nazionalista urlato sotto il volto ritoccato di Xi ce n’è uno con Fan ingioiellata, fotografata in posa languida come testimonial di qualche griffe del lusso.

In Cina la realtà assomiglia moltissimo alle trame di un thriller, con eventi disparati che si susseguono come in un sequel della stessa saga. Il giorno dopo il ritorno alla luce di Fan, è stato comunicato che Meng Hongwei, presidente dell’Interpol e vice ministro della Sicurezza pubblica cinese, 64 anni, era scomparso poco dopo essere atterrato in Cina con un volo da Lione, in Francia, dove si trova il quartiere generale di Interpol. Domenica scorsa Pechino ha rilasciato una sintetica dichiarazione, facendo sapere che Meng era sotto inchiesta. Poche ore dopo, l’Interpol ha riferito che Meng si era dimesso da presidente. Poi, lunedì, le autorità cinesi hanno annunciato che Meng era in stato di fermo, accusato di abuso d’ufficio e corruzione. Sua moglie Grace, che con una mossa rara in questi casi ha fatto un appello pubblico per la sua sicurezza, e che sostiene l’innocenza del marito, da un mese non riceve più sue notizie. Ha anche riferito di essere stata minacciata di morte, tanto che ora vive sotto scorta della polizia francese, lei e i suoi due bambini di sette anni. Se le prove trovate dagli alti funzionari fossero significative, il destino di Meng potrebbe essere già segnato.

Stando al sistema giudiziario cinese, è improbabile che l’imputato, una volta in custodia, abbia l’opportunità di presentare prove di innocenza e discolparsi. Il tasso di condanne in tutto il Paese supera il novantanove per cento. Nonostante sia trapelato che l’errore di Meng possa essere stato per via di «un’ostinazione politica», è probabile che non si saprà mai l’esatta natura della sua (presunta) colpa.

Nessuno – ironia dei fatti – ha maggiore familiarità con il funzionamento del sistema giudiziario cinese di Meng, il quale ha svolto un ruolo importante nelle operazioni di polizia del Paese, per esempio provvedendo al rimpatrio di alti funzionari sospettati di corruzione. Negli ultimi cinque anni, oltre un milione e mezzo di funzionari sono stati puniti nel giro di vite anticorruzione voluto da Xi. Il fallito tentativo da parte di Meng di salvare Guo Wengui, magnate immobiliare miliardario in esilio, le cui critiche al governo cinese lo hanno fatto automaticamente diventare un nemico importante del regime, potrebbe aver contribuito al suo stesso crollo.

Messe una accanto all’altra, le rovinose e brusche cadute di Fan e Meng suggeriscono un drastico allargamento del sistema a trappola seguito al consolidamento dell’autorità di Xi che, da quando nel 2013 ha assunto la presidenza, ha predicato senza sosta la supremazia del Partito comunista.

Il punto chiave del «pensiero di Xi Jinping», sancito nella costituzione del partito e annunciato durante la conferenza annuale lo scorso anno, è l’idea che la fedeltà al partito non  sia una scelta, quanto – ancora una volta – un dovere. Come appare evidente dalla dichiarazione-confessione di Fan, il personale è necessariamente politico in Cina.

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