Ecco cosa succede quando il nostro Paese è razzista

Nicole Phillip è una giornalista del New York Times che recentemente ha scritto un articolo su quello che ha vissuto a Firenze, cinque anni fa, quando era una studentessa. L'abbiamo sentita e discusso con lei di discriminazione

La prima cosa che Nicole Phillip ci tiene a specificare è che non pensa che l'Italia sia razzista. D'altra parte, però, non può negare che quello che ha vissuto nel nostro Paese non si tratti di razzismo che l'ha ferita profondamente. Nicole è una ragazza di 25 anni, giornalista del New York Times, afroamericana che vive a New York. Cinque anni fa, da studentessa è venuta quattro mesi a Firenze nel campus della New York University e, oltre alle lasagne, l'arte e il buon vino, ha scoperto che cosa voglia dire essere discriminati. E lo ha scritto sulle pagine del giornale per cui lavora in un articolo dal titolo «Il mio primo incontro col razzismo all'estero». «Mi ha stupito come la storia abbia fatto il giro del mondo», mi dice via Skype, «l'ho scritta perché mi stavo preparando a un viaggio in Italia per il matrimonio di un'amica, e tutto quello che mi era successo è tornato a galla».

Ai tempi, Nicole è stata aggredita da un uomo in spiaggia, alle Cinque Terre, che, dopo averle rovesciato della birra addosso le ha urlato «negra disgustosa». Per le nostre strade è stata chiamata «cioccolatino», «Obama», «Beyoncé». È stata scansata dalle persone a cui chiedeva indicazioni, scambiata per senza tetto. «Prima di allora, non mi era mai successo nulla del genere», racconta, «nonostante abbia ben presente che anche negli Stati Uniti gli episodi di razzismo siano all'ordine del giorno, è lì, in Italia, che è successo a me». La cosa che la ha più sconvolta, è stato rendersi conto, alla fine del suo soggiorno, quanto tutti questi episodi fossero riusciti a farle cambiare atteggiamento nei confronti di se stessa: «Facevo di tutto per essere accettata dagli altri, per esempio stavo sempre con persone bianche perché temevo di sentirmi diversa», mi dice. «Prima di partire, avevo sentito solo cose positive sull'Italia dai miei compagni di corso, ma non avevo calcolato una cosa che poi ho capito essere fondamentale: erano tutti bianchi».

Ora si rende conto di essere venuta nel nostro Paese senza conoscerne bene la storia. Per esempio, non sapeva nulla sulle migrazioni dall'Africa, e solo una volta qui ha scoperto l'esistenza dei venditori ambulanti che per vivere vendono accendini per le strade, e ha capito come, una parte della popolazione, sia ostile nei loro confronti. «Questa esperienza mi ha aperto gli occhi anche sul razzismo in America», continua.

Le spiego che leggendo i commenti agli articoli che hanno fatto seguito al racconto pubblicato sul New York Times, molti italiani hanno trovato le sue parole eccessive e offensive. «Ma io non posso cambiare quello che ho provato», risponde lei. Alcuni, sui social, scrivono che molto probabilmente ha scambiato «complimenti» o «scherzi» per aggressioni. Perché, ci giustifichiamo, noi siamo il Paese del politicamente scorretto, siamo sfrontati nei toni, diretti e a volte burloni. «Oltre all'episodio in spiaggia che ritengo gravissimo, urlarmi per la strada Michelle Obama, o Beyoncé, due bellissime, certo, e dire che noi donne nere siamo tutte uguali, io lo definisco offensivo, non divertente», commenta lei. Tutte quelle micro aggressioni, a volte visibili, a volte più sottili, l'hanno ferita e fatta sentire trattata come un oggetto.

Intanto, il sindaco di Firenze, Dario Nardella, oltre a ricordare che la sua città non è razzista, ha invitato Nicole a tornare nel capoluogo toscano. Nicole ci sta pensando, forse tornerà. Più che altro, le piacerebbe poter parlare con gli studenti: «Perché nessuno si senta più come mi sono sentita io».