Fiona May, un salto in teatro

La campionessa di salto in lungo debutta in scena, con lo spettacolo «Maratona a New York»

Si apre, il 25 agosto, con la Maratona di New York. Poi, passo dopo passo, il 32° Todi Festival proseguirà con Shakespeare messo in scena nei bar della città medievale, con l’Argentina Sulle vie di Borges fra recitazione (di Massimo Popolizio) e jazz (di Javier Girotto), con spettacoli e musica, compreso un concerto in piazza di Ornella Vanoni. Fino al 1° settembre, quando *Anelante *di Flavia Mastrella e Antonio Rezza concluderà la kermesse.

In un festival che mescola generi e location, già la *Maratona *del debutto dà il polso della situazione. A interpretare in chiave femminile lo spettacolo che Edoardo Erba scrisse nel 1994 per una coppia recitante maschile stavolta sono l’attrice fiorentina Luisa Cattaneo e Fiona May. Campionessa di salto in lungo, record italiano con i suoi 7,11 metri, due argenti olimpici, due ori mondiali e molte altre medaglie: May è salita tante volte sul podio, mai sul palcoscenico. Anche se in passato le è capitato di recitare: negli spot Kinder, con le figlie Larissa prima (oggi anche lei atleta, molto promettente) e Anastasia poi, e in tv, nella serie (con sequel) Butta la luna, dove si affrontava anche il razzismo. Un tema che per lei, nata in Gran Bretagna da famiglia giamaicana e diventata italiana dopo il matrimonio con l’astista Gianni Iapichino, è troppo serio per pensare di poterlo risolvere con due battute di un’intervista. Meglio, allora, cominciare con il teatro.

Perché ha scelto di debuttare in scena, a 48 anni?«È il regista, Andrea Bruno Savelli, che mi ha scelto: mi ha dato il copione, ci ho pensato qualche settimana e poi ho accettato. Tutta colpa sua».

Sarà stata incuriosita.«Non solo: è una sfida. Avevo già fatto la fiction, ma poi non c’erano state altre opportunità. Sono molto contenta».

Lei e Luisa Cattaneo recitate su un tapis roulant...«E corriamo piuttosto veloci, altrimenti non sarebbe credibile. Ci diamo il cambio: Luisa, che non lo aveva mai fatto, diventa un’atleta, mentre io faccio l’attrice. Ci siamo aiutate, abbiamo lavorato come una squadra».

Il teatro quindi è come lo sport: lavoro di squadra.«Finalmente qualcuno ha capito! Corriamo per 55 minuti ed è tosta».

E mentre correte parlate molto?«Anche troppo. Quando si corre è difficile parlare, io in genere non lo faccio, perché vado da sola. Però certo, se c’è un’amica, come nello spettacolo…».

© Pino Le Pera

Nel mondo dello spettacolo la bellezza femminile è importante. E nello sport?«Nei campionati di atletica si vedono ragazze molto belle, ma fuori dello sport non se ne accorgono. E così, anche per fare pubblicità a prodotti sportivi, le aziende usano delle modelle, anziché le bellissime atlete che ci sono. È perché nessuno vuole vedere oltre il proprio naso».

Lei però è stata protagonista di campagne pubblicitarie.«Sì, ma in quanto personaggio sportivo e come mamma di Larissa e Anastasia. Il tema era: come faccio a conciliare sport e figlie».

Ha dovuto affrontare problemi di razzismo?«Nell’atletica, mai. Fuori, ci sono sempre momenti così. Ma a volte si mette lo stampino di razzismo su cose che non c’entrano, è una questione di pregiudizi. Io però guardo sempre avanti. Perché alla fine il razzismo è paura, quella che provano le persone che non vogliono conoscere gli altri. Certo, ci sono passata anch’io. Ma sono situazioni molto particolari e non voglio parlarne».

Lei è cresciuta in Gran Bretagna: rispetto all’Italia com’era?«Quand’ero piccola, in Inghilterra c’erano molti episodi di razzismo. Adesso, là è cambiato. E invece l’Italia è come l’Inghilterra di 30-40 anni fa. Speriamo che cambi anche qui, ma mi sembra difficile. Però preferisco non insisterci, altrimenti si entra in un tunnel da cui non si esce. Bisogna parlarne con intelligenza, non mettere l’etichetta di razzismo così, senza conoscere bene i fatti, parlando a vuoto. E quando qualcuno parla in pubblico e gioca con le paure delle persone, e i social media o i giornali insistono su questo… da lì escono i pregiudizi, e non penso solo a quelli contro la razza».

La scuola può aiutare a superare paure e pregiudizi?«Certo, i bambini non nascono razzisti, e le nuove generazioni non sono stupide, capiscono la realtà. Razzismo è la paura che qualcuno ti rubi qualcosa, ti porti via il lavoro, che arrivi un’invasione di estranei. E tutto questo non sono i bambini a provarlo, ma i grandi».

Come donna, invece, come vede il mondo dello sport? Avverte discriminazioni di qualche tipo?«A me non è mai successo. Però, quante donne sono a capo delle federazioni sportive? Guardiamo nei posti molto alti: quante ci arrivano?».

Lei ha vinto la terza edizione di Ballando con le stelle. Va spesso a ballare?«No, sono mamma di due bambine, una fa atletica e l’altra va a scuola, non ci penso. Però avevo fatto danza per 4-5 anni prima dell’atletica, e questo mi ha aiutato tanto».

Rimpianti?«Assolutamente no»

Non le manca la Gran Bretagna?«Certo, tutta la mia famiglia è lì».

La Brexit quanto cambierà le vite?«Per le mie figlie, con mamma inglese, non dovrebbe succedere niente. Ma è un disastro. Anche qui: ha vinto l’outperché hanno giocato su tante paure della gente, dicendo cose non vere, sugli stranieri, gli immigrati...».

Lei ha paure?«Tante, ma me le tengo e vado avanti. Bisogna vincerle per forza».

Andando avanti, reciterà ancora?«Ho fatto un cortometraggio,Guinea Pig, con cui anni fa ho vinto un premio come miglior attrice. Mi piacerebbe, ma vediamo se mi chiamano: non è che posso aspettare troppo, ho quasi 50 anni».

Ma lei ha mai corso la vera Maratona di New York?«Non ci penso proprio!»