Addio ad Aldo Biscardi, «Se non c’era lui, non ci saremmo divertiti noi»

Furio Zara, giornalista e scrittore di sport, racconta per Vanity Fair poesia e ironia dell'uomo che ha inventato il processo del lunedì e portato le discussioni da bar in televisione
Addio ad Aldo Biscardi «Se non cera lui non ci saremmo divertiti noi»

Profetica l’autobiografia. Titolo: «Se non c’ero io». Uscita nel 2010, a giochi fatti, quando ormai l’uomo si era consegnato alla Storia, relegando alla cronaca gli ultimi «Sgub», petardi lanciati fuori tempo massimo nell’ultimo giro di giostra tra emittenti sempre più periferiche, sempre più private. Se n’è andato a 86 anni Aldo Biscardi, un uomo un processo, preferibilmente di lunedì, giornata dedicata al pallone, quando ha smesso di rotolare e non resta che discuterne.

IL PROFETA DELLA CHIACCHIERABiscardi è stato il sommo profeta della chiacchiera televisiva sul calcio: un rivoluzionario, un pioniere, un eternauta che dalla prima puntata condotta in studio - il «Processo» nasce nel 1979 ma Biscardi la conduce per la prima volta nel 1983 - ha viaggiato per terre sconosciute dalla grammatica, ridisegnando quello che all’epoca era il perimetro concesso al giornalista sportivo.

Dopo anni a «Paese Sera» come capo dei servizi sportivi entrò in Rai nel 1979 ed ebbe l’intuizione che gli cambiò la vita leggendo una «Storia del giornalismo» a cura di Gianni Rodari. Scriveva il poeta: «Di una partita di calcio bisogna parlare come si parla di un processo». Alè. Bingo. E processo fu. Un po’ celebrazione eucaristica, un po’ sagra di paese, sempre e comunque «spettacolo d’arte varia».

Uno show. Unico, irripetibile. Una trasmissione che parlava alla pancia del paese, tra «sgub», «bombe di mercato», decorative vallette mute per contratto, collaboratori «inseguiti da uno stormo di piranhas levato in volo sul Rio de la Plata», baruffe a tavolino, grida belluine come non se n’erano mai viste nella tv ingessata di allora, invocazioni alla moviola - gliene va reso atto: fu il primo a volerla - liti organizzate a favore di telecamera, il tutto in un meccanismo oliato e perfetto che ha fatto scuola. «E ora la scheda di Carlo Nesti», a tutt’oggi, rimane un momento di rara intensità emotiva. Negli anni d’oro scrisse di lui Giovanni Arpino: «Nel folto dello studio trapela, freddamente, anche l’angoscia clinica del chirurgo sempre all’opera, vittima e complice di un sistema».

SPETTACOLO D’ARTE VARIAE quindi: «Parlate non più di due per volta se no non si capisce». Di natura burattinesca - e il gran burattinaio di quel sistema era lui - ma alla fine inoffensiva - come dimostrò una sentenza della Cassazione - il «Processo» aveva nel dna una scintilla di ironia che gli epigoni di Biscardi non sono mai riusciti a replicare. Com’era quella? «Cerchiamo di non provocare scintille polemiche, altrimenti si sollevano polveroni che intorbidano le acque». Una risata, vi seppellirà. Certo «Stasera al Processo le polemiche fioccano come nespole», ma poi finiva sempre a tarallucci e vino. «Abbiamo fatto questo pingo-pongo per svirilizzare gli animi troppo accesi in questa contesa».

Biscardi stesso faceva dell’autoironia il suo piedistallo. «Io sono come Joyce, Pascoli, Leopardi e Pasolini, è il destino dei grandi poeti essere dileggiati». Che altro dire? Andava fiero di aver scritto un libro su Papa Wojtyla. L’idea gli venne quando, camminando per un’assolata Roma, incrociò monsignor Kowalski, padre spirituale del Legia Varsavia, che - qualche anno prima - gli aveva fatto intervistare il campione polacco Deyna. Ma il Papa lo farebbe un libro con me? Kowalski, consigliere di Wojtyla, promise di parlarne a Wojtyla. Nel 1979 uscì Il Papa dal volto umano, oggi conservato nella Pinacoteca del Vaticano.

QUANTI SGUBIl primo «sgub» l’aveva dato a Paese Mattina, come corrispondente dall’Abruzzo e dal Molise - era nato a Larino, in provincia di Campobasso - di Paese Sera. Aveva raccontato che i due migliori giocatori del Pescara di allora, tali Alfredo De Angelis e Mario Tontodonati, sarebbero stati venduti rispettivamente all’Inter e alla Roma. Ne azzeccò uno su due, una discreta media. Tontodonati andò alla Roma, De Angelis all’Inter preferì il negozio di abbigliamento che da tempo gestiva nel corso principale di Pescara.

Al «Processo» - in tanti anni di onorata carriera partita in Rai e passata anche a Telepiù, Tmc, Italia 7 Gold - ha avuto ospiti eccellenti e ossequiati, sportivi, politici, cantanti, vippume vario in un «Bagaglino» che non aveva bisogno di sosia. Tutto vero, tutto certificato. Ecco allora il presidente della Repubblica Sandro Pertini in collegamento dalla Val Gardena, Giulio Andreotti che durante una puntata annunciò che Falcao, all’epoca concupito dall’Inter, sarebbe rimasto alla Roma, Massimo D’Alema e Umberto Bossi, Silvio Berlusconi che rivelò che non avrebbe ceduto Kakà.

Pochi hanno saputo trasformarsi in (in)credibili maschere nazional-popolari come lo è stato Aldo Biscardi. Una sera fece giurare al ct della nazionale Trapattoni che avrebbe obbligato gli azzurri a imparare a memoria l’Inno di Mameli, distribuì lo stampato agli ospiti in studio, aprì il «Processo» cantando - lui e i sodali - l’Inno a squarciagola e riuscì ad avere - in diretta - un fugace e imbarazzato saluto dal presidente Carlo Azeglio Ciampi, di passaggio al Quirinale.

DENGHIU’ MAESTROBiscardi ha dato dignità di presenza scenica a decine di giornalisti che - non potendo arruolarsi al partito delle «Grandi Firme» - timbrarono il cartellino all’ufficio «Grandi Facce» inscenato settimanalmente al «Processo». Dovrebbero fargli un monumento. «Denghiù denghiù», dovrebbero celebralo così, nell’ultimo inchino che si riserva al maestro. Negli ultimi anni, indomito e definitivo come quando disse: «Il moviolone me l’ha chiesto pure il Vaticano per l’attentato al Papa», resisteva nella fitta boscaglia di una giungla televisiva che con lui aveva sicuramente perso qualche regola di grammatica, ma pure quel candore del tempo che fu.

«E ora leggiamo qualche mail che riassuma il bombardamento che c’è su questo tema». Ma negli ultimi tempi le mail non le mandava più nessuno, e gonfiare cifre, dati, telefonate, era diventato un esercizio stilistico che metteva tenerezza. Quando disse che «al Milan hanno negato un rigore piramidale» tutti capimmo - e non a stento - che Aldo Biscardi e il suo modo di fare televisione sarebbe rimasto per sempre, unico e irraggiungibile. In questi anni di fuffa, chiunque ha cercato di copiare Aldo Biscardi - e ne abbiamo visti - ha fallito miseramente. La gente - sì, la gente - gli voleva bene, nonostante il vilipendio della grammatica e altre amenità. Memorabile lo striscione apparso in curva, un pomeriggio vintage in quel di Cesena. «Biscardi, processa il tuo parrucchiere». Se non c’era lui, non ci saremmo divertiti noi.

di Furio Zara

LEGGI ANCHE

6 cose per cui non dimenticheremo Aldo Biscardi

LEGGI ANCHE

Antonio Cabrini: «I miei 60 anni, tra donne, pallone, lupi e Agnelli»