Ritorno in Zimbabwe: l'esercito di elefanti

A un anno dalla caduta di Robert Mugabe, il Paese che era fuori dalla mappa cerca la strada per rinascere. E punta tutto sulla bellezza mozzafiato, gli elefanti, i leoni del Parco Hwange fratelli di Cecil. Abbiamo seguito la famiglia Mavros nella (bella) impresa di spostare, grazie ai safari, il centro della scena africana
Ritorno in Zimbabwe l'esercito di elefanti

Nellla jeep nessuno parla, quasi nemmeno si respira. Quando Paul, il ranger del Verney’s Camp, ha detto «Non sono stati loro», pur con gli occhi fissi nel punto che indica il suo dito non avevamo messo a fuoco la scena. «Loro chi?», chiediamo tutti. Domanda assurda, come a volte capita quando hai davanti cose mai viste, non ci siamo accorti che qui davanti a noi c’è quello che resta di un gigantesco elefante, una montagna, nemmeno sembrava un animale da quanto è grande e inerte, come parte del paesaggio.

Ma non è tutto: ancora più vicino, a poco più di un metro dal nostro veicolo, stanno sdraiati due grossi, crinieruti leoni che cercano invano di rialzarsi da terra dopo l’enorme pranzo. Sono così fuori gioco che alcuni giovani impala, che di norma si terrebbero timorosi a centinaia di metri, hanno invaso il campo visivo e stanno passando tranquilli in fila indiana come in un cartoon Disney, saltando quasi sulle zampe del loro predatore più temuto. Lasciano perfino i cuccioli in retroguardia incustoditi. «Nessun pericolo, i due leoni sono tramortiti dalle proteine, sarà così per ore e gli impala lo sanno», spiega Paul mentre gira lentamente l’auto per seguire uno dei due che si trascina fino a una pozza d’acqua vicina per bere. «Non hanno ucciso l’elefante, che è morto forse per l’età, ma di certo hanno approfittato della situazione. Il più grande si chiama Humba», dice Paul, «avrà già 5 o 6 anni, è un parente di Cecil (il leone considerato il simbolo dello Zimbabwe che è stato ucciso in questa zona da un cacciatore americano nel luglio 2015, ndr). Loro due sono certamente della stessa famiglia, li conoscono tutti qui».

Ma qui, in realtà, non c’è nessuno. A parte noi e lo staff del Verney’s Camp, aperto da pochi giorni con le sue sedie di metallo studiatamente semplici, il falò, le tende cachi vecchio stile con i pali di alluminio, mazzi di fiori del deserto su tavoli edoardiani che ti domandi come siano arrivati fino qui e le tazze del tè sui bauli antichi da La mia Africa, in tutto il giorno non abbiamo incontrato anima viva.

Se siamo arrivati a Hwange è grazie alla buona entratura di Alexander Mavros, uno degli avventurosi componenti di una famiglia tra le più note fra Londra e lo Zimbabwe grazie al patriarca Patrick Mavros (non è così âgé, ma carismatico, ci scuserà) che ha unito l’idea pioniera dell’avventura e della natura, praticamente congenita tra gli zimbabweans, con la creazione di gioielli e oggetti d’arte soprattutto d’argento ispirati alla natura che portano il suo nome.

Alexander, uno dei figli Mavros, quest’anno ha deciso di aprire la sua preziosa agenda e c’è da scommetterci anche quelle dei suoi interessanti parenti per fare quello che già faceva per hobby: organizzare viaggi unici in Zimbabwe e in tutta l’Africa centro-sud con il nome di Mavros Safaris (mavrossafaris.com. Instagram mozzafiato: @mavrossafaris) coinvolgendo le guide, gli amici personali, esperti pescati in tutta l’Africa australe dal delta dell’Okavango alla Namibia, insomma chiunque della loro preziosa cerchia di raffinati avventurieri di lungo corso potesse contribuire a presentare il meglio del meglio di un Paese che in realtà, al netto delle Cascate Victoria (che lo Zimbabwe divide con lo Zambia, noi naturalmente tifiamo per la parte «Zim», più spettacolare), conoscono bene solo gli intenditori.

Così, sotto l’egida dei Mavros, con il mio gruppetto di giornalisti all british (moltissimi dei travel writer più noti d’Inghilterra, sarà un caso, hanno radici zimbabwane) abbiamo dormito in case private sospese su luoghi mozzafiato che non sono su nessuna mappa come Khayelitshe, una villa african industrial design sulle stupende colline di granito di Matobo di proprietà di Beks Ndolovu, guida di safari diventato imprenditore che qui è un simbolo del riscatto di un Paese intero, viaggiato con un safari butler al seguito che cucina pasti gourmand e organizza sundowners, aperitivi al calar del sole che sono l’essenza stessa dell’Africa nel bush, nei posti più impervi che si possano immaginare, soggiornato nelle ville sullo Zambesi del Matetsi Victoria Falls a Victoria Falls, dove Sara Gardiner, figlia dei proprietari, ha lasciato a casa la sua laurea a Oxford e con aria angelica da inglese di buona famiglia si occupa di tenere lontani coccodrilli ed elefanti dalle rive del suo stupendo lodge (anche il suo Instagram, vale la pena, è come partire: @sara_snaps).

L’idea di rimettere lo Zimbabwe sul mappamondo delle migliori rotte africane arriva in seguito alla caduta del presidente-dittatore eterno Robert Mugabe dopo 37 anni, esattamente un anno fa, che ha dato a tutto il Paese uno slancio di entusiasmo e speranza per il futuro che ha riportato a casa moltissimi espatriati di tutte le età, pronti ad aprire attività e progetti. E anche se la nuova situazione dopo la fuga del 93enne padre padrone 12 mesi dopo non è la palingenesi immediata, soprattutto dal punto di vista economico, alcune buone nuove sono già realtà: il fronte della conservazione naturale e dell’anti-bracconaggio sta timidamente cominciando a vincere. Un dato recente delle statistiche che fa ben sperare chi come i Mavros crede che il riscatto del Paese stia nello sviluppo di un turismo di alto livello, attento alla tutela dei luoghi, in una parola nel safari, dice che il poaching, il bracconaggio, in Zimbabwe dopo il 2017 sarebbe diminuito (il condizionale è d’obbligo). Il numero di elefanti uccisi nel 2017 era 53, nel 2018 quasi finito sono 12.Di certo nel parco di Hwange, dove il leone si era addormentato, da questo punto di vista è una promettente isola felice.

Mentre lo percorriamo incantati dal nulla assoluto, lasciata la «scena del crimine» un gruppo di elefanti che sembra non finire mai ci si para davanti bloccando la strada. Una migrazione. Grossi maschi nervosi che passando fanno tremare tutto e buttano giù interi tronchi di alberi, madri con i piccoli attaccati alla coda che inchiodano di colpo bloccando tutta la fila. Non è il solito safari, e non siamo in uno dei famosi parchi e riserve africane dove l’arrivo di uno qualsiasi dei Big Five (elefante, leone, leopardo, rinoceronte e bufalo; quando si aggiunge la balena come in Sudafrica o in Namibia diventano i Big Six) è salutato da sgommate di veicoli, anche decine — l’ingorgo si chiama elephant jam, lion jam, leopard jam e così via — che corrono a mettersi in scia con obiettivi da mezzo metro ai finestrini. Siamo in un luogo completamente diverso: Hwange National Park, il più grande dello Zimbabwe (14.650 km quadrati), nell’angolo Nord Ovest del Paese.

Hwange, remoto ma vicino all’aeroporto internazionale di Victoria Falls, potrebbe essere la metafora di tutto il Paese, e diventerà certamente famoso. Di una bellezza e ricchezza naturale struggenti, popolato da poche persone e 100 specie di animali, 400 di uccelli e, soprattutto, dalla più grande concentrazione di elefanti del mondo: oltre 35 mila. Anche alle Cascate Victoria è tutto un elefante, ma non solo. Ippopotami in acqua, barche sullo Zambesi (sembra placido, ma non è il lago di Garda e la vita animale abbonda, kayak riservato agli intrepidi). Su tutto, il rombo incessante della cascata. Dopo aver incrociato un esodo di babbuini visibilmente molto tristi (per un funerale, i babbuini, scopriamo, celebrano lutti e festività in modo molto simile al nostro), corriamo in una missione notturna nella grande riserva del Matetsi Victoria Falls alla ricerca di un leopardo avvistato, che forse non c’è e poi appare proprio accanto, nella notte illuminata dalle fotoelettriche come un grosso gatto che fiuta la caccia. A questo punto tutti noi giornalisti ci informiamo con i Mavros sul prezzo di questi viaggi in un Paese che non c’era e che sta tornando grazie alla sua natura e alla sua gente fiduciosa. Compresi i voli e tutto fino all’ultimo gin tonic con vista leone e aeroplanini vari, come si usa nei safari, per una settimana si spendono circa 5 mila euro. Investimento per la fabbrica di ricordi personale assicurato.

COME ANDARCIMavros Safaris (www.mavrossafaris.com, su Instagram @mavrossafaris) organizza viaggi su misura in Zimbabwe partendo da  US$6000 (circa 5300 euro) a persona, inclusi tutti i lodge, pasti e attività, voli internazionali dall’Europa e transfer. Per informazioni o prenotazioni:  tel. +44 2038246000 oppure via email scrivendo al explore@mavrossafaris.com**.

Nel nostro viaggio abbiamo pernottato in questi lodge: