Qatar, la forza che viene dal deserto

Dalla sabbia spunta una Stonehenge d’acciaio: quattro pilastri-punti cardinali firmati da Richard Serra. Ci sono anche Jean Nouvel e due ragazze di Gauguin (da 250 milioni di dollari) e fuochi beduini accesi nella notte per accogliere i viandanti. Siamo andati a Doha, da dove il Qatar chiama il mondo, puntando tutto su arte, cultura e tecno-tradizione
Qatar la forza che viene dal deserto

Se volate in Qatar, chiedete sempre un posto finestrino: vi offrirà una sintesi immediata delle contraddizioni nel Paese geopoliticamente più denso del mondo. I voli del mattino dall’Italia arrivano al tramonto, aggirando l’Arabia Saudita causa embargo. Sul deserto di questa penisola grande quanto l’Abruzzo non vedrete altro che piccoli insediamenti e fuochi sparsi. Lasciarli accesi come promessa di ospitalità per i viandanti è un’antica usanza beduina, una scena di secoli fa. Poi, all’improvviso, appare Doha, metropoli del deserto, lo skyline da un milione di luci accanto alle moschee, alle guardie a cammello e ai souq. Ci sono tanti motivi per venire qui: architettura, arte, tradizioni. Un altro me lo suggerisce uno sconosciuto fumatore di shisha nella terrazza dell’hotel St. Regis: «Se volete capire il futuro del mondo, venite in Qatar. Lo stiamo letteralmente costruendo dal nulla, e in contanti. Abbiamo una tradizione di ospitalità vecchia di secoli e l’orgoglio di mostrare ciò che stiamo facendo oggi».

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In nessun altro posto il contesto è importante quanto qui. Nel 2017 l’Arabia Saudita, con la quale ha il suo unico confine di terra, ha sottoposto il Qatar a un duro embargo per rovesciare l’orgogliosa e autonoma famiglia reale. Ma il Qatar ha retto con l’aiuto di Paesi amici come la Turchia. La prima cosa che scoprirete è che qui si parla molto degli Al Thani e che per capire il Qatar dovete conoscerne la famiglia reale. La faccia stilizzata dell’emiro è ovunque: palazzi, vetrine, parabrezza. Tamim bin Hamad Al Thani è uno dei più giovani sovrani al mondo, voleva fare il tennista, gli è rimasta la passione per lo sport: ha comprato il Paris St. Germain e ottenuto i Mondiali di calcio, così nel 2022 Doha avrà otto stadi e una rete metropolitana. Le altre figure da ricordare sono la madre e la sorella. La mamma, Mozah, è il volto illuminato del regime, la mente dietro l’idea che se Dubai è il parco giochi del Golfo, Doha ne sarebbe stata la biblioteca, centro di attrazione per artisti e architetti. A casa ha allevato una Peggy Guggenheim araba, la figlia al-Mayassa, definita da Art Review «la persona più potente nel mondo dell’arte». È un’instancabile collezionista, c’è lei dietro l’acquisto record di Nafea faa ipoipo di Paul Gauguin («Quando ti sposi?», del 1892: due donne polinesiane sedute, uno dei dipinti più famosi esistenti), a 250 milioni di dollari.

Aggiungete il petrolio, il gas e il pil pro-capite più alto al mondo e avrete Doha, con la sua estetica a metà tra downtown Manhattan e il mondo arabo. La passeggiata più bella è la Corniche, lungo la baia occidentale, Golfo a destra e luci ovunque. Se l’aveste percorsa negli anni ’80 avreste visto solo lo Sheraton, primo hotel ad aprire, con la forma delle piramidi di Blade Runner. Oggi la stessa inquadratura è il sogno di ogni studente di architettura. C’è il MIA, il Museo di Arte Islamica, uno degli edifici moderni più belli del Medio Oriente. Progetto di Ieoh Ming Pei, è un omaggio alla moschea Ibn Tulun del Cairo e all’Alhambra di Granada, ospita la più vasta collezione di arte islamica al mondo. È difficile trovare un grande architetto che non si sia messo alla prova nel mescolare lo stile occidentale e l’atmosfera mediorientale. Jean Nouvel ha firmato la Doha Tower, che ricorda un razzo decorato con il mashrabiya, il pattern dell’arte araba, e inaugurerà, a marzo, il Museo Nazionale del Qatar, creato per raccontarne il viaggio da nomadi a élite economica.

Il posto ideale per capire tutto questo è la Biblioteca Nazionale firmata da Rem Koolhaas, dove l’emiro in persona ha posato il milionesimo volume. La forma ricorda quella di un libro poggiato in una pausa dalla lettura: entrate e sfogliate i testi in arabo e in inglese, i tomi più pregiati sono al piano interrato. Potreste trovarvi nel mezzo di una gara di robotica, dove ragazzi e ragazze in abiti tradizionali, mescolati a compagni in felpe di Star Wars, attivano i robot costruiti a casa. «Una nazione guidata dalla conoscenza», dice una scritta. Il Qatar attira artisti con borse di studio e residenze. Federica Visani, italiana, ha avuto un finanziamento per sviluppare i suoi progetti alla Fire Station, centro di arte contemporanea aperto in una vecchia stazione dei pompieri: «Questo è un Paese piccolo e pieno di opportunità», spiega, presentandomi la sua terra promessa araba, «consuma tanto e non produce niente, c’è molto da fare per chi ha voglia».

Il Qatar è proteso verso il futuro, ma è fortemente attaccato alle sue tradizioni. Nel Souq Waqif, il grande mercato, chiedete di Saad Ismail Al Jassem, ultimo testimone di quando qui erano tutti pescatori di perle. Una vita dura e pericolosa, cinquanta immersioni al giorno, una pietra alla caviglia per andare giù. Ascoltate le storie, guardate le foto in cui sembra un pugile americano anni ’70 e testate la forza delle sue braccia.

I datteri migliori li vendono i giordani, il miele dei mercanti yemeniti è indimenticabile. C’è un angolo dedicato alla grande passione locale, la falconeria. Interrogate i commercianti del souq sui costi (dai 3 mila dollari in su) e curiosate (con discrezione) al Falcon Hospital. La sala d’aspetto con padroni e falchi sarà una delle scene che varranno il viaggio. I qatarini sono diventati gente di città, ma ogni volta che possono tornano da dove sono partiti: il deserto. Al Enna, la gita sulla sabbia, è la più autentica delle tradizioni locali. Quello a sud è morbido, sinuoso, dune fatte per giocare con un 4x4 (nel tour Francorosso avrete la vostra dose di salti, con un ex pilota di rally palestinese dall’insospettato talento nelle playlist pop), quello a nord è austero e roccioso.

Qui Richard Serra, uno dei più importanti scultori al mondo, ha costruito una monumentale opera di land art, quattro monoliti di acciaio dal titolo East-West/West-East. Quando al-Mayassa, committente dell’opera, lo incontrò per la prima volta, gli disse: «Dovrebbe costruire qualcosa nel paesaggio». «Quale paesaggio?», chiese. «Il deserto». «Non mi interessa il deserto», rispose Serra. Poi, perché lui è un artista e lei la sorella di un emiro, è andato a dare un’occhiata e ha scoperto che il deserto interessava anche a lui.  Ha poi detto al Telegraph che è la cosa più soddisfacente che abbia mai fatto: «È l’opera a darti un punto di riferimento, tiene il contesto insieme, lo rende afferrabile. Ora è un posto, prima non lo era». A questo servono gli artisti.

foto CARLO RAMERINO

----- COME ANDARCIIl periodo migliore per visitare il Qatar va da ottobre ad aprile. Francorosso organizza tour completi a tema cultura, arte, mare ed escursioni nel deserto. Si arriva al lussuoso St. Regis di Doha e si chiude con relax balneare sul Golfo al Seaclub Sealine Beach. Un esempio di costo: per 7 notti (volo Qatar Airways incluso) si parte da 1.031 euro a persona. Informazioni sul Paese: Qatar National Tourism Council.