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Giovanni XXIII e l’antica gloria del Giappone

Il 16 febbraio di 60 anni fa, Papa Roncalli inaugurava con un radiomessaggio in latino le trasmissioni della Radio Vaticana in lingua giapponese. Un anniversario che cade nell’anno in cui Papa Francesco progetta di recarsi in visita nel Paese del Sol Levante

Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

“La nostra bocca si è aperta a voi, Giapponesi, il nostro cuore si è dilatato”. I giornali del giorno dopo probabilmente non avranno riportato queste parole del “Papa buono”, che peraltro sarebbe stato soprannominato così solo quattro anni dopo. I giornali del giorno dopo, il 17 febbraio 1959, devono raccontare l’inizio della “nuova era” di Cuba, con l’elezione di Fidel Castro a “primo ministro del governo rivoluzionario” dopo il rovesciamento del presidente Batista. Due giorni prima, il 15, un altro premier, l’italiano Antonio Segni, futuro capo dello Stato, aveva avviato il suo secondo governo. C’è molto che comincia in quei primi giorni di febbraio di 60 anni fa e quelle parole lanciate via etere verso il Giappone passano inosservate ai più. Ma anch’esse segnano l’inizio di una storia.

Parole verso Oriente

Quel giorno, il 16 febbraio 1959, Giovanni XXIII siede davanti al microfono per registrare un radiomessaggio. Come Pio XII, anche Papa Roncalli segue la pratica di utilizzare di frequente la Radio Vaticana per raggiungere persone in posti lontani (a fine anno avrà registrato 21 radiomessaggi). Quello del 16 febbraio vuole celebrare un evento, la prima messa in onda del Programma giapponese dell’emittente pontificia, il 29.mo idioma che va ad aggiungersi alla lista di lingue “radioparlate”. Un programma presente nel palinsesto tre volte alla settimana, della durata di un quarto d’ora, diretto a una piccola Chiesa rimasta praticamente clandestina fino agli inizi del Novecento. Chiesa che in quello scorcio di fine Anni Cinquanta si sta organizzando sia strutturalmente (nel ’59 viene creata una seconda provincia a Nagasaki, la città dei 26 martiri crocifissi nel 1597, primi di una lunga serie), sia con iniziative mirate, come la prima traduzione cattolica della Bibbia in lingua popolare che vede la luce sempre in quell’anno.

“Un popolo molto noto per l’antica gloria di civiltà, la quieta sopportazione delle sventure”

Civiltà e resilienza

“In questo giorno veramente felice, in cui, superati tanti e così grandi tratti della terra e dell’oceano, per la prima volta si può parlare per radio dal Vaticano con il Giappone, la voce della bocca, anzi del Nostro animo (…) risuoni lieta e lieti vi trovi”. Ai lontanissimi ascoltatori Giovanni XXIII si rivolge in latino, un popolo – afferma – “molto noto per l’antica gloria di civiltà, il vigore della fortezza, la quieta sopportazione delle sventure, lo straordinario splendore delle [sue] arti”. Con quattro espressioni Papa Roncalli sintetizza una storia millenaria, culminata poco più di dieci anni prima con l’orrore delle bombe atomiche, il cui spettro di lì a poco si riallungherà sul mondo con la crisi dei missili a Cuba. Ma in quel “quieta sopportazione delle sventure” si può leggere anche un riconoscimento al coraggio dei kakure kirishitan, i “cristiani nascosti”, generazioni di battezzati capaci di resistere per 300 anni a ondate di persecuzioni particolarmente crudeli.

Non solo una “voce”

“In queste lontane isole mettete tutto l’impegno possibile perché la vostra fede cristiana (…) rifulga con sempre maggior splendore”. In quel 1959 di Guerra fredda e paure che si prepara ai muri, le onde corte sono ancora una specie di miracolo tecnico-fisico, un angelo senza barriere che può portare la benedizione di un Papa a 10 mila km di distanza. “La voce della bocca, anzi del Nostro animo (…) risuoni lieta e lieti vi trovi”, era il massimo che poteva auspicare Giovanni XXIII parlando senza vedere. Forse tra qualche mese quella voce di un Papa invisibile ritornerà in Giappone con i passi e la benedizione in mondovisione di Francesco.

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16 febbraio 2019, 11:35